“Vive le Québec libre!”. A Montreal ricordano ancora quel 24 luglio di 52 anni fa, Charles de Gaulle a braccia aperte e pugni serrati sul balcone dell’hôtel de ville, l’entusiasmo della folla. Allora il discorso del presidente francese provocò un incidente diplomatico con Ottawa; oggi la sua statua è a poche centinaia di metri, quasi in atteggiamento di attesa. Dopo due referendum falliti potrebbe essere venuto il momento di tornare a pensare all’indipendenza.
Alle ultime elezioni infatti i liberali del premier uscente Justin Trudeau sono usciti vincitori ma fortemente indeboliti: il partito conservatore guidato dal rivale Andrew Scheer infatti, pur avendo meno seggi per via del sistema maggioritario, ha vinto il voto popolare ottenendo il 34.44% contro il 33.10%. A destare preoccupazione è anche l’exploit dei secessionisti del Bloc Québécois, passati da 10 a 32 seggi, in un Paese che si presenta sempre più diviso tra campagne e città, regione atlantica e ovest, anglofoni e francofoni. “Oggi non ci sono più forti partiti nazionali ma solo deboli partiti regionali”, è il commento dell’analista e sondaggista Nik Nanos per CTV, prima emittente televisiva privata canadese. I liberali sono forti in Ontario, il cuore anglofono della federazione dove vive circa un terzo dei canadesi, mentre i conservatori hanno vinto a mani basse soprattutto nell’Alberta e nel Saskatchewan.
Ora Justin Trudeau guarda soprattutto alla sinistra del New Democratic Party (NDP) guidato dall’astro nascente Jagmeet Singh, che e con i suoi 24 seggi permetterebbe al governo di raggiungere quota 171, appena uno sopra la maggioranza. Potrebbero essere della partita anche i Verdi – Trudeau ha impostato la sua campagna sul contrasto al cambiamento climatico, aspetto non banale in un Paese estrattore come il Canada – che però porterebbero in dote soltanto tre seggi.
Per il momento insomma la maggioranza sembra (quasi) assicurata, ma resta il problema di garantire l’unità di un Paese sempre più sfilacciato. In Québec il Bloc ha ottenuto il 32,5% dei voti (7,7% a livello nazionale), risultando a livello locale il secondo partito dopo i Liberals (34,2% e 35 seggi). Bisogna però considerare che anche una parte di coloro che hanno votato per altri partiti, messi di fronte all’ipotesi di un referendum, potrebbero optare per l’indipendenza: nell’ultimo referendum del 1995 il fronte unionista ottenne il 50,58% delle preferenze, poco più di 50.000 voti in più su cinque milioni di schede.
Da fuori si fatica forse a comprendere il malessere strutturale che caratterizza la convivenza tra anglofoni e francofoni. Paese dalle risorse immense, negli ultimi anni il Canada è divenuto una delle mete più desiderate da parte dei giovani di tutto il mondo, compresi tanti italiani. Con un reddito pro capite elevato ma un welfare presente e una grande attenzione per le minoranze, il Canada oggi sembra offrire una versione meno estrema e più 'europea' del sogno americano, senza gli eccessi dei cugini statunitensi in tema di disuguaglianze e di circolazione delle armi.
Anche qui però da tempo cova l'insoddisfazione, e forse per rendersene conto basta vedere un film di Denis Arcand. “Nella storia sono importanti tre cose: innanzitutto il numero, poi il numero e per finire il numero”, sostiene il protagonista Denys all’inizio de Il declino dell'impero americano (1986). Il Québec è abituato a percepirsi come una fiera, ma piccola isola di francofonia circondata da oltre 350 milioni di anglofoni. Come in Francia – ancora più che in Francia – qui la lingua è una questione politica, con lo Stato che cerca in ogni occasione di spingere per il bilinguismo. Oggi appare scontato che un leader politico nazionale debba essere fluente in francese, e tutti i candidati nell’ultima campagna si sono rivolti ai quebecchesi nella loro lingua.
“ Il Canada oggi sembra offrire una versione meno estrema e più 'europea' del sogno americano
L’altra grande divisione che percorreva la società canadese, quella tra protestanti e cattolici, sembra invece aver perso progressivamente significato: oggi infatti il Canada e in particolare il Québec sono tra le società più secolarizzate al mondo. Al tempo stesso una nuova questione si è affacciata nel dibattito politico: l’immigrazione. Su questo una parte importante dell’elettorato si mostra sempre meno convinta dalla narrativa ottimista di Trudeau. Tanto più in Québec, dove l’anno scorso per la prima volta le elezioni per l’assemblea provinciale sono state vinte da un partito autonomista di destra, la Coalition Avenir Québec (CAQ), che ha messo al centro della sua campagna proprio il contrasto all’immigrazione, compresa quella regolare.
Così, in un momento in cui il vento del sovranismo pare soffiare in tutto il mondo, anche il Bloc Québécois, pur avendo radici a sinistra, ha deciso di adottare messaggi fortemente identitari. “Vota chi ti assomiglia” è stato lo slogan scandito durante in queste settimane, provocando l’indignazione della sinistra e in particolare di Jagmeet Singh, che non nasconde affatto le sue origini Sikh ma anzi ne ha fatto un punto di forza.
Ora il Bloc non fa mistero di puntare a un nuovo referendum, ma una separazione darebbe non pochi problemi, vista tra l’altro la presenza di larghi settori a maggioranza anglofona in Québec, soprattutto nelle grandi città e dove è più alta la presenza di immigrati. Con una vittoria degli indipendentisti nel migliore dei casi si preparerebbe uno scenario da Brexit, con trattative estenuanti e inconcludenti. Ma c’è anche chi paventa uno futuro ben peggiore, quasi bosniaco. C’è insomma di che perdere il sonno, a nord del 49° parallelo.