CULTURA

Una Biennale per tornare a vivere di nuovo insieme l'architettura

Insieme. In questo momento storico, in cui la vicinanza fisica incute timore e la distanza sembra essere l’unica garanzia di salvezza, la 17. Mostra Internazionale di Architettura propone una riflessione proprio sulla dimensione sociale dell’architettura. “How will we live together?”, il titolo della prossima Biennale, solleva una domanda che oggi è quanto mai urgente, anche se annunciata inizialmente in tempi non sospetti, nel 2019. Dopo quell’annuncio, la Biennale è slittata nei tempi a causa dell’emergenza sanitaria; le date di inizio sono state spostate più volte, le conferenze stampa si sono ripetute, nella speranza di un avvio dei lavori che sembrava ogni volta imminente, ma che purtroppo non si è rivelato tale.

E così arriviamo ad oggi, alla primavera 2021, in cui di nuovo una conferenza di presentazione annuncia una nuova data per l’inaugurazione della prossima Biennale Architettura: il 22 maggio di quest’anno, con la speranza di poter prolungare poi l’esposizione fino ad autunno inoltrato. La situazione non è cambiata molto, anche se le prospettive di riuscire a realizzare finalmente una edizione 2021 - che doveva essere 2020 – sono forse più realistiche, grazie alla campagna vaccinale che speriamo ci porti fuori da questo tunnel di attese deluse.

Sulle spalle del curatore della mostra e dei padiglioni nazionali c’è un anno in più, e c’è la consapevolezza che, per usare le parole che riecheggiano nel progetto del padiglione italiano in fieri, “lo status quo non è un'opzione”.

Lo status quo non è un'opzione Padiglione Italia

Potremmo mai dunque vivere di nuovo insieme l’architettura? Questa è la domanda che pone oggi il curatore, l’architetto libanese Hashim Sarkis, che commenta: “La pandemia senza dubbio ha reso la domanda che avevo posto come titolo della Biennale ancora più importante, in un certo senso ironica, considerato l'isolamento che la situazione ci ha imposto. Può essere una coincidenza che la domanda How we will live together? l'avessimo posta qualche mese prima della pandemia, ma c'è anche un collegamento con le stesse ragioni che ci avevano portato a farci questa domanda: la crisi climatica, gli spostamenti di popolazione, la polarizzazione politica, l'aumento delle disuguaglianze economiche e sociali”. Sempre più al centro della 17ma biennale internazionale di architettura si afferma dunque l’impegno dell'architettura, che si assume un ruolo importante nella società.

I contenuti della mostra, non cambiano ma si riaffermano, e si arricchiscono: “Come aggiungere significato e come beneficiare da questa esperienza della pandemia e da quest'anno in più per elaborare ulteriormente i singoli progetti e la mostra collettiva? Abbiamo trasformato la Biennale da un evento a un processo: una discussione aperta, una vera collaborazione che ha permesso di includere molti eventi e iniziative online” ha commentato Sarkis. 

Grazie a questo bagaglio temporale, la Biennale si amplia dunque anche in digitale, con un programma allargato, anticipato da sneak peak e da una sorta di backstage online, che il curatore spiega con l’intenzione di “condividere l’importante processo di installazione che è sempre stato nascosto al pubblico e ai media. Questo verrà presentato sulle piattaforme per vedere che cosa accade dietro alle quinte”. 

Sneak Peak: Italia, "Comunità resilienti"

L’espansione della mostra su media diversi è una proposta originale di questa Biennale, che in particolare segue una direzione indicata dal suo nuovo presidente, Roberto Cicutto. Veneziano, legato principalmente al mondo cinematografico, Cicutto raccoglie l’ingombrante eredità di un ex presidente di lungo corso (dal 1998 al 2001 e dal 2008 al 2020), Paolo Baratta. Quest’ultimo, alla conferenza stampa di febbraio dell’anno scorso, all’inizio della pandemia, aveva affermato: “Come dimostrano numerosi fenomeni che interessano il mondo proprio in questi giorni i progetti non possono essere che il frutto di una estesa consapevolezza e diffusa collaborazione. Anche gli ultimi accadimenti ci spingono a pensare che abbiamo bisogno di collaborare, di vivere e progettare insieme. Non abbiamo bisogno di visioni ristrette e particolaristiche”. 

Ed è difficile oggi pensare alla vicinanza fisica, al “lavorare insieme” se non attraverso espedienti tecnologici e lunghi meeting Zoom. Eppure l’urgenza della vita ci spinge a guardare avanti, a progettare immaginando un futuro che si nutra anche di questo terribile momento per costruire e abitare un mondo sostenibile, il mondo, la nostra “casa infinita”, che il padiglione argentino mette al centro della sua proposta per la biennale curata da Gerardo Caballero: “La casa infinita rappresenta il nostro mondo, il mondo che abitiamo insieme. Ha grandi giardini, con montagne e praterie. Ha piccole stanze da letto, con sedie e tavoli. Ogni spazio è connesso”. Non ci sono altre via per la vita, che viverlo insieme.

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