CULTURA

Chimica, fisica, matematica: comunicare la “meraviglia” della scienza di base

Dopo il 14 settembre 2015, di onde gravitazionali si continuò a parlare per molto. A distanza di 100 anni fu confermata una delle più importanti predizioni di Albert Einstein, e il mondo intero concentrò la propria attenzione sulla scoperta scientifica. Nonostante, fino al giorno precedente, di fisica non si parlasse certo sulle prime pagine dei giornali. Si trattava di un argomento che non era (e non è) percepito come rilevante nella nostra quotidianità. Allo stesso modo anche altre discipline, dalla matematica alla chimica, fino agli studi evoluzionistici, possono risultare di primo acchito di scarso interesse per il grande pubblico, poiché non hanno applicazioni dirette nella vita di tutti i giorni. “La scienza di base – si legge sul Journal of Science Communication, a cui abbiamo attinto e che riporta il pensiero di Rick Borchelt, direttore delle comunicazioni e degli affari pubblici del dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti – non suscita dibattiti diffusi come in altri campi, come la ricerca sul clima, i vaccini e le accese discussioni sulla disinformazione. La ricerca di base non è particolarmente divisiva e questo potrebbe sembrare un bene, ma in realtà rischia di non attirare abbastanza attenzione”. 

Yurij Castelfranchi e Nico Pitrelli in un volume di qualche anno fa osservavano però che “non c’è scienza senza comunicazione”, sottolineando che in ogni sua fase la scienza è stata sempre indissolubilmente legata a forme disparate di diffusione e discussione delle informazioni. Nelle università, comunicare la scienza è cruciale in ogni progetto di ricerca ed è anche un obiettivo di terza missione.

Per approfondire il tema dunque ci siamo rivolti proprio a Pitrelli, fisico e direttore del master in Comunicazione della scienza “Franco Prattico” della Sissa di Trieste, che propone innanzitutto una riflessione sul rapporto tra scienza di base e applicata. “Io non credo molto in un rapporto lineare di causalità fra scienza di base e scienza applicata – esordisce il docente –. Questa visione andrebbe ridiscussa”. Non necessariamente cioè la riflessione teorica si colloca a monte del percorso scientifico. “Personalmente credo più nella serendipity, cioè nel fatto che le applicazioni nascano grazie alla vitalità dell’ecosistema complessivo della ricerca”. Secondo il direttore, la scienza di base andrebbe favorita indipendentemente dalle possibili applicazioni. “Questo tipo di ricerca deve essere il più libero possibile nell’esplorazione della conoscenza, perché è proprio questa libertà che permette di considerare ambiti e contesti anche inimmaginabili. Se invece la scienza di base viene imbrigliata nelle aspettative, è possibile che questi vincoli impediscano proprio quella fantasia, quell’immaginazione, quella libertà che invece si rivelano feconde”.

Scienza di base, “il mondo che vogliamo”

La nostra chiacchierata prosegue e chiediamo quali siano gli obiettivi della comunicazione in questo settore e gli aspetti su cui fare leva per instaurare un dialogo proficuo con il pubblico. “Uno degli aspetti più difficili da comunicare ma più importanti è il valore a lungo termine della ricerca di base, perché quest’ultima non necessariamente si traduce in applicazioni immediate”. La storia della scienza lo dimostra frequentemente: lo studio dei numeri primi, per esempio, solo a distanza di tempo ha trovato applicazione nella crittografia, nelle carte di credito. “La scienza di base assume anche un valore politico e rappresenta il mondo che vogliamo, che ci auspichiamo, ciò che intendiamo essere attraverso la conoscenza”. E su tali argomenti si può instaurare un dialogo con i cittadini. 

In secondo luogo, nell'ottica di Pitrelli la scienza di base si presta molto a comunicare il senso di meraviglia, di scoperta e di bellezza anche in settori distanti dalla vita quotidiana. Ha un'intrinseca capacità di affascinare il pubblico, perché stimola domande profonde, che hanno a che fare con la vastità e il  mistero dell'universo, con le ragioni per cui siamo qui. Suscita curiosità per la profondità con cui consente di esplorare il mondo. “La ricerca di base si presta a presentare la scienza come un sistema filosofico di pensiero, come un modo completamente diverso di guardare alla realtà rispetto alla filosofia o alla religione”. Pur non essendo guidata da un'immediata utilità pratica, può risuonare in modo anche più intimo in chi apprezza la cultura, l'arte, la bellezza in generale. 

Non si deve dimenticare poi che la scienza di base solleva molti interrogativi etici, può stimolare dibattiti sul fine vita ma anche sul principio della vita, sui diritti umani, sulle questioni di genere. “Il dibattito etico, dunque, è un modo attraverso cui si possono coinvolgere le persone nelle discussioni intorno alla ricerca di base”. 

Cruciale infine è il ruolo della scienza di base nella società, per trovare soluzioni pratiche a questioni come i cambiamenti climatici, le biotecnologie, l'intelligenza artificiale: serve comprensione innanzitutto, e i cittadini possono essere coinvolti nel dibattito pubblico. 

Comunicare la scienza di base ha anche lo scopo di rendere conto dei finanziamenti alla ricerca. “Lo sforzo comunicativo deve tradursi nella capacità di informare i cittadini sugli investimenti nella ricerca di base, allo scopo anche di ottenere maggiore sostegno pubblico in questo settore”.

Adattare il contenuto scientifico al contesto sociale

Veicolare concetti complessi a un pubblico non specializzato pone anche un’altra questione e cioè quale sia il registro comunicativo più idoneo e quale il linguaggio da adottare. “Come comunicatori e comunicatrici dobbiamo favorire delle porte d'ingresso alla scienza in generale – sostiene Pitrelli –, e dunque alla scienza di base. Dobbiamo costruire delle vie d'accesso, di incontro e di familiarizzazione. La comunicazione e il giornalismo scientifico si sono a lungo concentrati sul tema dell’accuratezza e del rigore dei contenuti, perché ovviamente è un nodo importante e un valore che bisogna cercare di conservare. Questo però spesso è andato a discapito della salienza, cioè della rilevanza che certi argomenti assumono nella vita delle persone”. 

Spiega il docente: “Più che di semplificazione, io parlerei di un adattamento del contenuto scientifico al contesto sociale. Dal mio punto di vista il metro di valutazione dell'efficacia comunicativa non dovrebbe essere tanto, o non solo, l'accuratezza, la certezza che il messaggio veicolato non tradisca l’originale, quanto piuttosto la capacità dello sforzo comunicativo di trasferire significato alle comunità cui quel messaggio è diretto”. Pitrelli osserva che nella comunicazione si tende a trattenere  la memoria di un’emozione, più che di un dato. Il concetto in sé dovrebbe essere solo un punto di partenza, che introduce il pubblico in un mondo diverso da quello che frequenta abitualmente. Non si tratta di una rinuncia, ma della possibilità di produrre una comunicazione sensata. 

“La comunicazione della scienza non è solo trasferimento di conoscenza, ma trasferimento di un sistema di valori: si comunica una visione del mondo, un modo di essere, una visione politica, il futuro che auspichiamo. La parte più difficile della comunicazione non è la traduzione dei concetti dal complesso al semplice, ma riuscire a generare un dialogo che non metta in discussione i valori delle persone, delle comunità, che non crei un clima di rifiuto”.

Narrazione e visualizzazione in una logica ecosistemica

A Nico Pitrelli abbiamo chiesto infine se esistano metodi e strumenti da privilegiare nella comunicazione della ricerca di base. “Si può lavorare moltissimo sulla narrazione: il racconto della scienza di base dovrebbe essere affiancato dal racconto delle storie degli scienziati, delle persone che si impegnano nel settore. Serve cioè una narrazione-umanizzazione”. Il fisico spiega che quest’ambito di ricerca è stato avvolto per lungo tempo da un'aura di riverenza, di sacralità, proprio per quel legame con i misteri della vita cui si accennava, e questo dal punto di vista comunicativo si è tradotto in una certa timidezza nell’usare le storie, lo stile narrativo.

“È importante anche insistere sulla visualizzazione dei dati, sulle immagini, sui grafici, sulle infografiche, sui video. Da questo punto di vista si potrebbe fare molto, unendo magari anche le esperienze che arrivano dal mondo dell'educazione”. 

Secondo Pitrelli, bisogna pensare in una logica ecosistemica, che significa unire idealmente in un piano di comunicazione articolato i media tradizionali con i media digitali, insieme anche agli eventi pubblici, ai programmi educativi e alla citizen science, che prevede il coinvolgimento diretto dei cittadini nei progetti di ricerca.

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