SCIENZA E RICERCA

Buchi neri: le onde gravitazionali confermano Hawking

Era il 1971 quando Stephen Hawking teorizzò che in un buco nero l'area dell'orizzonte degli eventi – alla quale niente riesce a sfuggire e al cui interno persino il tempo sembra fermarsi – non avrebbe mai potuto diminuire, e con essa nemmeno la somma delle aree di tutti i buchi neri dell’universo. Un’ipotesi che a cinquant’anni esatti dalla sua formulazione viene per la prima volta confermata dalle osservazioni sulle onde gravitazionali.

Il gruppo di ricerca guidato da Maximiliano Isi, ricercatore al Kavli Institute for Astrophysics and Space Research del MIT, ha infatti pubblicato uno studio in cui vengono analizzati i dati delle prime onde gravitazionali registrate nel 2015, che riguardavano appunto la fusione di due buchi neri spiraleggianti. Si tratta del segnale noto in sigla come GW150914 (che sta per Gravitational Wave, seguito dalla data di rilevazione), ‘ascoltato’ per la prima volta dai padovani Gabriele Vedovato e Marco Drago e reso pubblico dopo mesi di verifiche serrate.

Quando Hawking seppe della scoperta contattò immediatamente Kip Thorne, docente di fisica teorica al Caltech e tra i padri del programma LIGO (Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory), per sapere se i dati registrati potevano in qualche modo confermare la sua teoria. La risposta fu però negativa: allora era infatti opinione comune che gli strumenti non fossero ancora sufficiente sensibili e precisi per risolvere la questione. Con le onde gravitazionali, ha raccontato una volta Gabriele Vedovato a Il Bo Live, si è finalmente riusciti ad ‘aggiungere l’udito alla vista’: adesso insomma possiamo anche ‘ascoltare’ quello che accade nell’universo, una possibilità particolarmente preziosa quando si tratta di oggetti di difficile osservazione come i buchi neri (anche se ultimamente si è riusciti addirittura a 'fotografarli').

Il 'suono' provocato dalla collisione di due buchi neri

Quando questi si fondono rilasciano un’enorme quantità di energia che genera delle increspature nello spazio-tempo: il ringdown, i ‘rintocchi di campana’ ascoltati dai nostri interferometri. Fino a poco tempo fa si credeva che con le nostre attuali strumentazioni non si potesse andare molto oltre, ma due anni fa è stata scoperta la possibilità di distinguere all’interno del segnale degli ipertoni: frequenze o suoni specifici paragonabili alle singole note che compongono un accordo musicale e che precedono il ringdown vero e proprio, con la possibilità di carpire dal segnale molte informazioni in più. Tra cui, appunto, la massa, lo spin e l’estensione delle aree degli orizzonti degli eventi prima e dopo la fusione.

Le onde gravitazionali sono deformazioni dello spazio-tempo, che a un certo punto si mette a vibrare”, spiega a Il Bo Live Gianfranco De Zotti, già astronomo presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) con una lunga esperienza nel campo della fenomenologia dei buchi neri, essendosi occupato soprattutto dei nuclei galattici attivi, più noti come quasar. “Nel caso specifico queste vibrazioni avvengono nel momento in cui due buchi neri si fondono insieme: la loro forma e le loro proprietà, le ampiezze e frequenze, portano dentro informazioni che adesso sappiamo leggere. Misurarle è una sfida tecnologica enorme, dato che si tratta di segnali incredibilmente deboli”.

Il teorema di Hawking dice che l’area dell’orizzonte degli eventi associata a un buco nero non dovrebbe mai diminuire: l’area finale derivata dalla fusione di due buchi neri non dovrebbe quindi essere inferiore alla somma di quelle iniziali – continua lo scienziato –. Un teorema in parte analogo al secondo principio termodinamica, che dice l’entropia di un sistema non può mai diminuire”. L’area dei buchi neri tende insomma sempre ad aumentare, esattamente come il livello di disordine dell’universo.

Le nuove informazioni ci dicono che la fisica dei buchi neri funziona, e questo comporta un’importante conferma della relatività generale e del modello standard

Nel caso di GW150914, usando nuovi modelli matematici, i ricercatori sono riusciti persino a calcolare la somma delle aree dell’orizzonte degli eventi prima e dopo la fusione, scoprendo che si sarebbe passati da un’estensione complessiva di circa 235.000 chilometri quadrati (più o meno la superficie della Romania) ai 367.000 nel super buco nero uscito dallo scontro (poco più della Germania), con un incremento di oltre il 50%. “Un risultato estremamente interessante, ma da prendere con cautela – avverte De Zotti –. Negli ultimi anni si nota la tendenza a enfatizzare questo tipo di comunicazioni, anche a causa della feroce competizione per ottenere fondi e carriere, soprattutto nel mondo anglosassone. Nel caso specifico il grado di certezza si ferma ancora al 95%: un margine ancora insufficiente per avvalorare definitivamente il teorema”.

 “La fisica dei buchi neri sfida molte delle nostre conoscenze e tutt’ora una parte importante dei fisici e degli astrofisici ha molti dubbi, in particolare sul concetto di singolarità, visto ancora come un’insufficienza della teoria – prosegue l’astrofisico –. Le nuove informazioni che riusciamo a raccogliere sembrano comunque dirci che la fisica dei buchi neri funziona, e questo comporta un’importante conferma della relatività generale e del modello standard che ne deriva”. Le nuove osservazioni aprono inoltre la strada a ulteriori sviluppi; conclude De Zotti: “Sarebbe interessante verificare anche un’altra intuizione di Hawking, quella della possibile ‘evaporazione’ dei buchi neri. Secondo questa teoria, effetti quantistici causano l’emissione di radiazione, nota come radiazione di Hawking, da parte di questi corpi celesti. Nel caso di buchi neri estremamente piccoli questa radiazione può portare al loro dissolvimento, anche in forma esplosiva. La verifica di questa straordinaria proprietà getterebbe nuova luce su quello che accade in uno degli oggetti più misteriosi a noi noti”. C’è insomma ancora molto da fare e da scoprire: l’unica cosa certa è che le onde gravitazioni si confermano uno strumento prezioso per capire l’universo in cui viviamo.

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