CULTURA

La casa dei delfini

Un’altra storia vera appena un po’ romanzata, la descrizione di un esperimento realmente avvenuto, di quelli che oggi si definiscono “controversi”, visto dalle parti della non-scienziata che ci finì in mezzo per caso. E un pizzico di invenzione. Questo La casa dei delfini, scritto dall’autrice naturalista Audrey Schulman e portato in Italia dalle edizioni e/o, è un libro appassionante, strano, che riesce a raccontare la scienza e i suoi processi, i personaggi e le loro brutture, infilandoci nei panni di Cora: una ventenne sorda che incontra tre scienziati importanti, e accetta di vivere per alcuni mesi in una casa costruita dentro una enorme vasca insieme a un giovane delfino. L’obiettivo degli scienziati è capire se ai delfini si può insegnare a parlare, lo scenario sono le isole Vergini, il capo dell’esperimento è un eccentrico scienziato americano dalle idee forti, e probabilmente spesso sbagliate. Il committente è la Nasa.

L’esperimento della casa dei delfini è avvenuto davvero: sull’isola di St. Thomas a metà degli anni sessanta una villa vista Mar dei Caraibi ha davvero ospitato il Dolphin Point Laboratory. A dirigerlo c’era il professor John C. Lilly, biologo marino, che aveva previsto di poter insegnare agli animali il linguaggio umano nel giro di dieci, vent’anni. E anche Cora è esistita, e vive ancora: nella realtà si chiama Margaret Howe, all’epoca dell’esperimento aveva ventitré anni, e per dieci settimane ha vissuto in una vasca con un tursiope di nome Peter. Nella realtà non era di origine Seminole né era sorda, come in questo romanzo, che insiste (senza esagerare) sulle competenze comunicative del personaggio, la sua capacità di interpretare segnali non verbali (“grazie al suo tirocinio con gli esseri umani, Cora sapeva bene che aspetto aveva una conversazione che non era in grado di sentire”), e la sua empatia verso gli animali non umani. Ma è quasi tutto vero, e molto ben raccontato, tutto il resto.

Lilly, alias Blum, era effettivamente più bravo a convincere i finanziatori che a interpretare i comportamenti dei delfini. Era, come molti dirigenti della ricerca di quegli anni (…), vanesio e fondamentalmente ignorante: curioso, questo sì, ma anche prepotente e disonesto. Analogamente, i suoi assistenti erano i classici fautori degli esperimenti sociali degli anni sessanta, attentissimi ai “dati” ma incapaci di vederne i vizi o di andare al di là del proprio naso di maschi adulti bianchi (“La sofferenza degli animali era ridotta a dei numeri”). E mentre Cora comincia a studiare i suoi compagni di lavoro e soprattutto a maturare un pensiero sulla protezione degli animali non umani, loro pensano a lei come produttrice di risultati scientifici da usare a proprio vantaggio, e come preda sessuale.

Sarà proprio il sesso a far crollare l’equilibrio che si è creato intorno alle vasche dove vivono i delfini. Il sesso pulsione naturale di Peter, che Cora, diventata “madre” di Peter, accoglie senza vergogna, e che accompagna il giovane animale all’apprendimento del linguaggio. E il sesso scandalistico che diventa vendetta da parte degli uomini invidiosi del successo scientifico, e poi anche mediatico, di Cora. Per tutto il libro non si può far altro che seguire, anche un po’ stupiti, i comportamenti e l’evoluzione di Cora, che si troverà presto a dover difendere se stessa e, insieme, gli animali che le sono stati affidati. Mentre i maschi di essere umano ne escono tutti malissimo: ridicoli, violenti, sleali e soprattutto molto stupidi. Vale la pena allora riportare le parole conclusive dell’autrice, che in qualche pagina a chiosa del romanzo rivela il “che cosa c’è di vero” di tutta la storia: “ricordo molti uomini comportarsi proprio come loro negli anni ’60 e ’70. Nel mezzo secolo trascorso da allora sono cambiate parecchie cose tra cui il modo in cui ci si può rivolgere a una donna per strada, a casa o in ufficio. Grazie all’impegno di tante persone, si è modificato lo standard di ciò che viene ritenuto un comportamento accettabile”. Vale anche per gli animali coinvolti negli esperimenti. Ed è utile a tutti continuare a ricordarlo.

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