Un lavoro bello, magari pagato dignitosamente, rischia oggi di rimanere un miraggio per molti italiani. E la faccenda poi si complica, molto, se parliamo di persone con disabilità. Intendiamoci, non siamo all’anno zero: in Italia esistono norme come la legge 68 del 1999, che fin dal primo articolo si pone come finalità “la promozione dell'inserimento e dell'integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”. Quella che a volte sembra ancora mancare nelle aziende è soprattutto una cultura dell’inclusione, che invece di concentrarsi su ciò che manca valorizzi le competenze e le abilità specifiche di ciascuno.
Proprio costruire percorsi lavorativi aziendali per persone con esigenze speciali è il ruolo di Paolo Tognon, responsabile risorse umane e Diversity Manager delle cooperative sociali Riesco e Sobon, che operano rispettivamente negli ambiti della ristorazione e della panificazione. Un compito tutt’altro che facile: “Per quanto negli ultimi decenni siano stati fatti passi avanti ci sono ancora molte tematiche da affrontare. Basti pensare che nell’Europa a 28 meno di un disabile su due è occupato”, spiega a Il Bo Live. “C’è ancora molta diffidenza sul fatto che una persona con disabilità – sia essa fisica, intellettiva o psichica – possa lavorare e inserirsi all’interno di un’azienda, crearsi una mansione e un percorso in modo da divenire produttiva. Il lavoro è utile quando è reale e non serve solamente a sostentarsi dal punto di vista economico: è anche lo strumento per diventare cittadini”.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, riprese e montaggio di Elisa Speronello
Ma che valore aggiunto può dare una persona con disabilità a un’organizzazione? “Siamo cooperative sociali, quindi dobbiamo assumere almeno il 30% del personale con disabilità: per questo abbiamo organizzato le nostre produzioni attorno alle loro esigenze”, continua TognoN. Un approccio innovativo che non deve necessariamente restare confinato al non profit, ma che può essere sempre più esteso anche alle altre imprese: è nato così, all’interno del CCS - Consorzio Cooperative Sociali, il progetto Habile, recentemente presentato all’università di Padova in occasione del General Course in ‘Diritti Umani e Inclusione’. “L’obiettivo non è soltanto facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro delle persone con disabilità, ma accompagnare anche le aziende e collaborare con il settore pubblico, principalmente il Centro per l’impiego e il servizio di integrazione lavorativo dell’Ulss”.
Mete che implicano un rinnovamento dei processi organizzativi, che potrà in futuro rivelarsi utile anche per i cosiddetti normodotati: “Noi pensiamo che se costruiamo imprese più accessibili stiamo in realtà facendo un servizio a tutti, perché tutti riusciranno a lavorare meglio, non solo nelle imprese sociali”. Per arrivare a questo punto Paolo Tognon ha impiegato le competenze acquisite durante il suo percorso formativo e lavorativo: ha iniziato ad accostarsi alla disabilità da volontario, durante gli studi all’università di Padova (dove si è laureato in Lettere, indirizzo linguistica), “poi mi sono poi appassionato a questo lavoro e a questa forma d’impresa. Dopo la laurea ho quindi seguito un master Euricse a Trento in management delle imprese sociali, ma in cooperativa c’è anche chi viene da studi economici e chi ha competenze più tecniche nei processi di lavoro o, come in questo caso, nel settore food”.
“ Se costruiamo imprese più accessibili stiamo facendo un servizio a tutti, non solo ai disabili Paolo Tognon
“L’originalità e l’interesse di questa esperienza è riassumibile in alcuni punti – spiega a Il Bo Live Paolo Gubitta, docente di organizzazione aziendale e di gestione delle risorse umane presso l’università di Padova –; spesso nel mercato del lavoro si chiede alla persona con disabilità di ‘recuperare lo svantaggio’ prima di entrare: una richiesta a dir poco ‘offensiva’, perché le chiedi di fatto di arrangiarsi”. Partendo da questo assunto, alle persone svantaggiate vengono riservate posizioni di lavoro ad hoc, tendenzialmente poco qualificate e spesso non inserite in alcun percorso di sviluppo. “La proposta di cooperative come Riesco e Sobon è invece innovativa perché abbraccia un concetto di continuum progettuale – continua Gubitta –. Il modello adottato è inclusivo e ‘molto tosto’ dal punto di vista strutturale: non c’è stigma e la persona viene valorizzata per quello che sa fare. Operativamente, l’operazione che fanno è molto interessante anche sul piano concettuale: si semplificano i processi e le attività per abbassare la soglia di accesso al lavoro, in modo tale che ci sia il best fit tra quello che è richiesto e quello che la persona sa fare”.
Del resto la semplificazione rimane uno degli obiettivi delle moderne organizzazioni aziendali, unita alla valorizzazione delle individualità e delle competenze interne: “Questo approccio si usa anche nei piani di induction (ovvero che hanno l’obiettivo di trattenere i talenti all’interno delle imprese, ndr): ti faccio fare le cose più semplici e man mano che apprendi aggiungo, in una sorta di modularizzazione, pezzi di lavoro che rendono il mestiere più difficile ma anche più interessante”.
Un approccio che, in termini di sviluppi di carriera, permette alle persone con disabilità di ambire a carriere orizzontali: “ti promuovo facendoti fare una cosa diversa, e di pari complessità, invece di ‘metterti in difficoltà’ facendoti fare cose più difficili – conclude Gubitta –: una soluzione intelligente per tutti i lavori nelle organizzazioni con pochi livelli gerarchici”. Un'esperienza che quindi oggi mira ad allargarsi ha l’ambizione di fornire il servizio di inserimento professionale delle persone con disabilità anche nelle aziende for profit: contro gli stereotipi e per il benessere di tutti.