Gian Enrico Rusconi al Festival della politica di Mestre. Foto: Fondazione Pellicani
Il governo Conte bis ha appena giurato: che ruolo potrà giocare l'Italia nell’attuale contesto europeo (determinante, per usare un eufemismo, nella risoluzione della crisi)? “Per adesso può solo evitare di essere punita – fulmina Gian Enrico Rusconi –, non solo da queste maledette borse che vanno e vengono a prescindere da qualunque ragionamento, ma dall’Europa. La von der Leryen ha detto che sarà abbastanza comprensiva se noi ci comportiamo ‘discretamente’. Inutile negare che l'allontanamento di Salvini sia stato salutato come un fatto positivo; può darsi che ci tollereranno ancora una volta perché, detto con una battuta, noi italiani siamo fastidiosi ma in fondo non pericolosi. Guardi che la brexit sta producendo un casino molto più grosso!”.
Lo storico e politologo risponde alle domande in una pausa del Festival della politica di Mestre, per il quale il 4 settembre ha tenuto la lectio magistralis di apertura, presentata da Renzo Guolo. La nona edizione del della kermesse organizzata dalla Fondazione Pellicani quest’anno si tiene al M9, il neonato Museo del 900 di Mestre, ed è dedicata alle minacce derivanti dal cambiamento climatico e soprattutto al trentennale dalla caduta del muro di Berlino. Un evento la cui portata, secondo Rusconi, solo oggi iniziamo a comprendere.
“ Nell'89 decisero Bush padre e Gorbaciov. In generale gli europei non hanno contato nulla
Lo studioso inizia citando lo storico Michael Stürmer, secondo il quale con il 1989 ‘la Germania ha guadagnato l’unità, la Russia ha perso l’Ucraina’. La cosiddetta caduta del muro ha insomma portato al disfacimento del blocco orientale e all’implosione dell'Urss, ma allora non ce ne rendevamo conto. O forse qualcuno sì: di Andreotti ad esempio si diceva che amasse la Germania al punto da volerne due: “In realtà la battuta era di Mauriac – puntualizza Rusconi – e anche Mitterand e la Thatcher erano contrari all’unificazione. A decidere furono Bush padre e Gorbaciov, che si era illuso che occidentalizzandosi avrebbe salvato il socialismo; Kohl fu poi molto abile, ma in generale gli europei non hanno contato nulla”.
L'intervista a Gian Enrico Rusconi al Festival della politica di Mestre
Tutto quello che allora sembrava cronaca oggi acquista in prospettiva un significato decisivo, con una Germania che da allora, superata la crisi della riunificazione, è assurta sempre più al ruolo di leader continentale. La sua egemonia però, sempre secondo lo studioso ottantunenne, docente emerito presso l'università di Torino, è più apparente che reale: “Tanto è vero che adesso la Merkel non apre più bocca di fronte a Macron. Guardi che in Germania in questo momento c’è la classe la dirigente più insicura di sempre”.
I motivi non mancano, a cominciare dall’affermazione dei sovranisti nelle ultime elezioni regionali in Sassonia e in Brandeburgo, che ha portato l’AfD a diventare il partito più importante della ex DDR: “E anche alle elezioni europee i Verdi hanno vinto, ma non stravinto come si aspettavano” – continua Rusconi, che sulla formazione di estrema destra tedesca si dimostra molto cauto. “È semplicistico definirli neonazisti, anche se tra loro ci sono anche dei neonazisti; vedo piuttosto un legame con il nazionalismo anteriore all'ascesa di Hitler. In realtà l’affermazione dell’AfD ha portato alla luce, esasperandoli, aspetti critici da tempo rimossi e latenti, soprattutto nella ex DDR. Ha poi accelerato l’arretramento elettorale in atto dei partiti popolari, soprattutto della socialdemocrazia, e ha colpito al cuore la strategia e il prestigio personale di Angela Merkel. Soprattutto però la nuova destra ha sottratto alla sinistra il monopolio della critica al sistema, rovesciandone il senso”.
“ L’AfD ha solo portato alla luce, esasperandoli, aspetti critici da tempo rimossi e latenti, soprattutto nella ex DDR
In discussione, un po’ come in tutti i sovranismi, ci sono il ruolo delle istituzioni europee e l’uscita dall’euro, ma soprattutto il rapporto tra la cittadinanza e l’appartenenza etnica, in una società sempre più multiculturale. Trent’anni dopo insomma la Germania è di nuovo al guado: certo c’è un momento non felice dal punto di vista dell’economia, ma le radici del malessere sono più profonde e coincidono solo in parte con le difficoltà politiche della Kanzlerin. ‘Nel 1989 pensavamo che l’Europa fosse il nostro avvenire. Oggi pensiamo di essere noi l’avvenire dell’Europa’ ha detto una volta Viktor Orban, che continua nonostante tutto ad essere alleato della CDU al parlamento europeo, e Björn Höcke, uno dei leader emergenti di Alternative für Deutschland (AfD), ha affermato qualcosa di simile: ‘Riprendiamoci la rivoluzione dell’89’. “La Germania rischia oggi trovarsi di nuovo divisa – conclude Rusconi –, e un giorno potrebbe essere tentata di ritrarsi dalla costruzione europea per cercare nuovi e autonomi ambiti di influenza. Una prospettiva questa niente affatto tranquillizzante”.
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