SCIENZA E RICERCA

Eruzione del Cumbre Vieja, Canarie: i vulcani italiani a modello

Dopo l’approfondimento dedicato al vulcano sottomarino Hunga Tonga-Hunga Ha'apai, che ha fatto parlare di sé per l’eruzione di eccezionale portata che lo ha interessato, dedichiamo spazio ora a quanto accaduto nei mesi scorsi a La Palma, una delle isole Canarie: dopo circa un cinquantennio, il vulcano Cumbre Vieja ha ripreso la sua attività eruttiva, iniziata il 19 settembre 2021 e durata per circa tre mesi, fino al 13 dicembre. Si è trattato di due eventi profondamente diversi sia per la tipologia di eruzione, che per i contesti geodinamici. Nel primo caso si parla di un’eruzione di carattere secolare, estremamente violenta, con una colonna eruttiva che è andata oltre i 20 chilometri di altezza. Nel secondo caso l’intensità è stata più contenuta, ma le conseguenze sul territorio sono state importanti: milioni di metri cubi di deposito, prevalentemente lave, hanno sconvolto l’ambiente naturale e antropico, causando cambiamenti morfologici all’isola.

“L’eruzione del Cumbre Vieja ha avuto un fortissimo impatto antropico: ha interessato i centri abitati, ha distrutto 1.767 edifici e costretto all’evacuazione 7.000 persone. Tuttavia, non è un’eruzione che dal punto di vista vulcanologico possiamo definire violenta come grandezza. Durante le eruzioni dell’Etna siamo abituati a vedere colonne eruttive ben più alte, le emissioni di ceneri arrivano a quote più elevate, dunque con una dispersione in atmosfera più importante. La quantità di magma eruttato è superiore. 

Intervista completa a Piergiorgio Scarlato dell'Ingv. Montaggio di Elisa Speronello, riprese video dell'eruzione di Piergiorgio Scarlato

Quella del Cumbre Vieja è un'eruzione che ha interesse per gli effetti, per l’impatto che ha avuto. Ma se dovessimo fare una scala in base ai volumi emessi, alla colonna eruttiva, non siamo ai livelli a cui siamo abituati con i nostri vulcani”. A parlare è Piergiorgio Scarlato, ricercatore dell’Istituto nazionale di Geofisica e vulcanologia, responsabile del Laboratorio per le alte pressioni e alte temperature di geofisica e vulcanologia sperimentali di Roma, nonché coordinatore del gruppo di ricercatori dell’Ingv invitato dall’Instituto Volcanologico de Canarias (Involcan) a fornire supporto scientifico.

“I colleghi spagnoli si aspettavano un’eruzione a carattere effusivo ed esplosivo insieme, con caratteristiche simili a quelle che noi osserviamo all’Etna. Proprio perché abbiamo un’esperienza ormai pluriennale con l’utilizzo di alcuni strumenti che ci consentono di osservare ed effettuare misure dei parametri eruttivi su queste tipologie di eruzioni, ci hanno chiesto di recarci sul posto”. A metà settembre, quando il gruppo di ricercatori guidato da Scarlato è arrivato a La Palma – durante la fase di evacuazione –, l’eruzione non era ancora iniziata, ma i segnali andavano in quella direzione: nei giorni precedenti infatti era stato rilevato uno sciame sismico, un susseguirsi di terremoti (oltre 6.000) sempre più superficiali, e 15 centimetri di deformazione del terreno.

I ricercatori dell’Ingv hanno trascorso circa quattro mesi sull’isola – da settembre alla fine di gennaio –, durante i quali hanno potuto seguire la dinamica dell’eruzione e misurarne tutti i parametri.  Sono stati eseguiti rilievi da terra e da drone per quantificare e dettagliare i prodotti piroclastici, come ceneri e lapilli, che derivano dall’attività esplosiva del vulcano, ricavando informazioni sui loro volumi, sulla ricaduta al suolo, sulla loro dispersione. Sono state mappate inoltre le aree invase dalle colate di lava (prodotte dall’attività effusiva del vulcano), di cui sono stati misurati i volumi e gli spessori. Secondo quanto riferito da Scarlato, i rilievi – esposti in un articolo di prossima pubblicazione – hanno permesso di stabilire che la colonna eruttiva di ceneri e gas ha raggiunto circa i quattro, cinque chilometri di altezza. Le colate laviche coprono un’area di oltre 12 chilometri quadrati, hanno un volume di circa 200 milioni di metri cubi per la sola parte subaerea (non è stato possibile misurare la parte sottomarina) e il fronte di lava è di alcune centinaia di metri: l’ingresso della lava in mare e il suo successivo raffreddamento hanno dato origine a due delta lavici per una superficie di circa 60 ettari. “Nel corso delle settimane, inoltre, abbiamo visto formarsi un nuovo ‘cono’, una piccola collina alta un paio di centinaia di metri, dove prima c’era un pendio scosceso con case e boschi. In alcuni punti le colate raggiungono spessori di 20-25 metri e oltre, e dunque in quelle zone il cambiamento morfologico ambientale è significativo”. Secondo i rilievi dell’Ingv, il nuovo cono ha un volume di circa 45 milioni di metri cubi.  

Come si è detto, le lave hanno distrutto più di 1.700 edifici, ettari di bananeti – la principale risorsa economica dell’isola oltre al turismo – e importanti infrastrutture tra cui strade e linee elettriche. Questo induce ad alcune considerazioni, osserva Scarlato, perché oltre alle conseguenze che derivano dall’attività di natura tipicamente vulcanica, come l’esalazione di gas dal magma e l’impatto della colata lavica che si muove nei territori circostanti, ci sono anche altri aspetti da valutare frutto dell’interazione tra il vulcano e l’ambiente antropico, dunque proprio le infrastrutture, gli edifici e i servizi che l’uomo realizza nei pressi del vulcano. “La Palma è un territorio prevalentemente agricolo, coltivato in gran parte a banani. Quando una colata entra in contatto con una di queste piantagioni, con i fertilizzanti impiegati in particolare, determina la formazione di nubi di gas, provocati dalla vaporizzazione di quei prodotti. Il contatto con gli asfalti causa la produzione di diossina, mentre dal contatto con le infrastrutture deriva la produzione di arsenico. Tutti elementi tossici per l’uomo”. Oltre al biossido di zolfo e all’anidride carbonica dunque, che sono prodotti direttamente dall’attività vulcanica, si deve tener conto di tutta una serie di gas che scaturiscono dall’interazione tra l’attività vulcanica stessa e quella antropica.

“La Palma è un’isola molto frequentata turisticamente – conclude Scarlato – e quindi serve fare un bilancio tra le esigenze legate all’economia turistica, e quelle che invece sono le problematiche di un vulcano attivo. Sicuramente questa è stata un’eruzione che ha dato grossi problemi a livello locale e che lascerà il segno per qualche tempo, ma già a gennaio quando siamo tornati sul posto, i turisti avevano ripreso a frequentare l’isola”.  

I delta lavici formati dall'ingresso della lava in mare

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