SCIENZA E RICERCA
Esplorare l’universo olfattivo: verso la creazione di nuove fragranze grazie all'AI
"Uno dei nodi cruciali delle neuroscienze è imparare come i nostri sensi traducano la luce in vista, il suono in udito, il cibo in gusto e la consistenza in tatto. Nell'olfatto queste relazioni sensoriali diventano più complesse", si legge sulla pagina del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia dedicata al lavoro recentemente pubblicato su Science, dal titolo A principal odor map unifies diverse tasks in olfactory perception, condotto in collaborazione con la star-up Osmo di Cambridge, nel Massachusetts (Metabolic activity organizes olfactory representations), che prova ad affrontare e superare le “lacune relative alla comprensione scientifica del senso dell'olfatto", spingendosi verso una "digitalizzazione degli odori, da registrare e riprodurre, che potrebbe descriverne di nuovi per l’industria delle fragranze e degli aromi".
Del misterioso e complesso universo olfattivo abbiamo parlato con la neurosmellist Anna D'Errico, neuroscienziata, divulgatrice scientifica e artista che definisce l'olfatto "un senso lento [perché] alle percezioni odorose serve tempo". A studiare l'olfatto si è arrivati tardi, “storicamente si è sempre data priorità ad altri sensi considerati superiori e nobili, pensiamo a vista e udito - spiega D’Errico -. I limiti sono anche pratici, tecnologici potremmo dire. I primi studi sulla vista sono dei primi del Novecento, quelli relativi all'olfatto risalgono agli ultimi 25-30 anni: il premio Nobel a Linda Buck e Richard Axel, per la scoperta sui geni dei recettori olfattivi, viene assegnato solo nel 2004 e il primo studio originale per quel lavoro è del 1991. A livello pratico, l'olfatto è stimolato da molecole chimiche, che nel cervello si trasformano in odori, ma il maneggiamento delle molecole non è per niente facile: sono veicolate per via area e sono difficili da dosare e controllare. Inoltre, un altro problema è legato al modo in cui lo stimolo si traduce in una risposta percettiva: questo punto non è ancora chiaro. Per la visione esiste una misura fisica che corrisponde a quello che noi percepiamo come colore, con il suono si usano le frequenze, con l'olfatto non si è ancora riusciti a trovare un parametro fisico in grado di classificare gli odori e individuare una corrispondenza tra una caratteristica della struttura molecolare dell'odore e la sua percezione”.
Con la scoperta dei geni per l'olfatto “si è fatto un enorme passo avanti, che ha dato ancora di più la misura della sua complessità: si tratta di un sistema combinatorio, la quantità di dati e informazioni è veramente enorme. Per avere un'idea delle dimensioni: se per visione/colori contiamo tre geni, per l'olfatto, negli esseri umani, ne contiamo 400, con tantissime combinazioni che non funzionano ‘uno a uno’, con un singolo recettore che riconosce una precisa molecole, non c’è una chiave per una serratura. Si è iniziato a parlare di codice combinatorio perché diverse molecole sono in grado di legarsi allo stesso recettore ma con efficienza e affinità differenti. A questo livello di complessità ne aggiungiamo un altro: la maggior parte di quelli che noi chiamiamo odori sono un mix di centinaia di molecole diverse che si influenzano a vicenda e questo mix viene percepito tutto insieme, per questo l'olfatto viene definito un senso sintetico".
Nello studio pubblicato su Science si è seguita una procedura abituale, adottata anche dai valutatori di fragranze: "Si annusa qualcosa e si descrive a parole. Sono descrizioni qualitative, non oggettive, ma quando stabiliamo un linguaggio vengono definiti anche dei criteri. Le grandi famiglie olfattive vengono distinte principalmente in base al tipo di materia d'origine naturale: fiori, erbe aromatiche, legni, muschi. I volontari reclutati per i panel sono addestrati per riuscire a descrivere set di molecole odorose singole. Le aziende che lavorano nel settore delle fragranze hanno infiniti database con tutti questi descrittori: le nuove molecole di sintesi vengono create, fatte annusare e si prende nota della percezione e di come può essere descritta. Nel lavoro pubblicato su Science hanno allenato l'intelligenza artificiale per correlare i descrittori qualitativi e la struttura delle molecole: il modello riesce a predire l'odore delle molecole esaminate, anche quando si tratta di strutture nuove. Si tratta di un aspetto interessante, non banale. I parametri per allenare la macchina sono arbitrari, sono stabiliti all'inizio, quindi più ricco e accurato è il database migliore sarà la predizione".
"Oggi molte aziende, le case fragranziere, investono su questo tipo di ricerche, lo fanno perché vi è un interesse anche economico. Si cerca sempre di creare nuovi odori da utilizzare ma l'ideazione è dispendiosa e richiede tempo: poter prevedere prima l'odore che avrà la molecola che andrò a produrre è un gran vantaggio. Questo modello può aiutare in questo senso, perché è stato raggiunto un alto livello di accuratezza per diverse classi di molecole. Avrà un forte impatto per quanto riguarda l'applicazione industriale".
Lo studio si spinge verso la digitalizzazione degli odori, ma è davvero così? "Se parliamo di creazione di database e archivi, che permettano di ricostruire e disegnare molecole o aiutare un naso umano a costruire nuove combinazioni, la risposta è sì - spiega D'Errico -. Ma, nell'attivazione dell'olfatto, è una molecola fisica a dover interagire con i recettori, e questa cosa non può essere digitalizzata". Inoltre, la mole di dati e combinazioni esistenti è enorme. Ci sono, dunque, gradi di complessità difficili da affrontare.
"Il modello può aiutare a fare una cernita delle possibili combinazioni di odori e alcune predizioni sull’odore che alcune molecole potrebbero avere, però, dal punto di vista biologico, non si sa ancora perché questo avvenga. Non sappiamo perché il cervello umano percepisca l’odore di una data molecola in quel modo. Paradossalmente, con l'olfatto, la parte applicativa va veloce ma a livello di conoscenza biologica, di meccanismo, qualcosa ancora ci sfugge".