Jurij Gagarin accolto dalla folla in Finlandia. Foto: Roscosmos
Il 12 aprile 1961 Icaro trova il suo erede: Jurij Alekseevič Gagarin diventa il primo essere umano a varcare i confini della nostra atmosfera. La navicella Vostok 1 (in russo Oriente), alta 4,4 metri e pesante 4,7 tonnellate, compie un’orbita attorno alla Terra alla velocità di 27.400 km/h, oscillando tra 302 e 175 chilometri di altitudine. Una trasvolata di appena 108 minuti che imprime una svolta alla corsa allo spazio. Nel tempo di una giornata lo sconosciuto ufficiale ventisettenne, figlio di contadini e nemmeno diplomato, diventa l’uomo più popolare al mondo: il suo volto aperto e rassicurante, dai tratti solidi e indubbiamente socialisti è la bandiera perfetta per un’ideologia e un Paese che guardano con fiducia al futuro e alla tecnologia, pronti a imboccare la corsia di sorpasso rispetto a un Occidente stanco e attardato.
Come spesso accade la realtà non sempre coincide con le apparenze: in quel momento l’Unione Sovietica si sente minacciata e lacerata al suo interno, stretta tra destalinizzazione – iniziata con la scioccante relazione di Chruščëv al XX congresso del Pcus – e volontà di non mollare la presa sui Paesi satelliti (sempre nel 1956 c’è stata la brutale repressione in Ungheria). Quel giorno però nessuno pare pensarci: quello che conta è che per la prima volta l’umanità è uscita dalla sua culla. La vicenda è stata oggetto di un numero infinito di libri, documentari e film, ma riesce ancora oggi a destare stupore e interesse: per raccontarla ci basiamo soprattutto sul bel libro Luna rossa. La conquista sovietica dello spazio (Carocci 2019) dell’astrofisico Massimo Capaccioli, già docente a Padova e a Napoli ed ex direttore dell'osservatorio astronomico di Capodimonte.
Molti dettagli dell’impresa dopo sessant’anni sono avvolti dalla leggenda: il giovane Jurij (è nato il 9 marzo 1934) che si prepara alla missione senza dirlo alla moglie che ha appena dato alla luce la seconda figlia, che la notte prima della partenza dorme tranquillo e mantiene sempre calma e controllo. Durante la missione infatti non tutto va liscio: nel terrore di farsi battere – fonti di intelligence, poi rivelatesi infondate, danno per imminente un lancio da parte degli americani – le ultime settimane sono segnate da una vera e propria corsa contro il tempo. Si parte con uno dei serbatoi non completamente riempito, inoltre all’inizio la navicella prende un’orbita più alta di quella calcolata e verso la fine della missione inizia a ruotare vorticosamente su se stessa. Anche stavolta Gagarin decide di tacere, per non allarmare la base di controllo. Oggi, nell’epoca della digitalizzazione e della riduzione ossessiva di ogni rischio, desta una sensazione particolare sapere quanto margine fosse ancora lasciato all’incertezza in quei tempi pionieristici.
Video dell'Agenzia Aerospaziale Russa
“ Gli ultimi giorni sono una corsa contro il tempo: si dà per imminente un lancio da parte degli americani
Un trionfo politico
Se lo Sputnik è la prima lezione impartita a un Occidente troppo sicuro di sé, il lancio della Vostok per l’Urss è un vero trionfo propagandistico: lo spiega bene un altro libro scritto da Stefano e Marco Pivato, rispettivamente storico e giornalista (I comunisti sulla luna, Il Mulino 2017), secondo i quali sarà proprio l’epopea spaziale a prolungare di circa un decennio il fascino di un mito sovietico in palese difficoltà. “Il volo di Gagarin genera un’ondata di vero entusiasmo nella popolazione sovietica, ancora oggi molto viva nelle memorie familiari – conferma a Il Bo Live Olga Dubrovina, che a Padova svolge attività di ricerca negli ambiti della storia russa e dei rapporti internazionali –. Appena appresa la notizia dalla radio o tramite passaparola la gente esce in strada a festeggiare, non solo a Mosca e nelle grandi città ma anche nei villaggi più sperduti. Manifestazioni di gioia e di orgoglio patriottico vere e sincere, molto diverse da quelle imposte dal regime nelle occasioni ufficiali”.
Un entusiasmo che presto non si limita soltanto all’Urss: “Gagarin viene mandato per due anni in una tournée mondiale che tocca non solo i Paesi del blocco sovietico ma anche Egitto, India, Brasile, Regno Unito, Giappone… – continua la studiosa –. Una serie di viaggi che si rivela decisiva per la promozione del socialismo da una parte e dei valori della pace e coesistenza pacifica dall'altra”. Eppure il primo volo di un essere umano intorno al nostro pianeta è l’esito tutt’altro che scontato di un confronto serrato tra opposte visioni: “Ci sono i militari, interessati allo sviluppo della cosmonautica soprattutto in chiave bellica e di spionaggio ma poco attratti dal volo pilotato, e poi c’è il gruppo di scienziati e ingegneri capeggiati dal ‘progettista capo’ (glavnij konstruktor) Sergej Pavlovič Korolëv, che vuole assolutamente mandare un uomo nello spazio e che alla fine riesce a prevalere. Il Vostok 1 nella loro visione rappresenta solo il primo passo verso la conquista della luna: in seguito Titov con il Vostok 2 resterà in orbita per oltre 25 ore, e saranno sempre i sovietici a tentare con i Vostok 3 e 4 il primo rendez-vous spaziale”.
In Urss siamo in pieno disgelo kruscioviano, la parola d’ordine è coesistenza pacifica: la rivalità tra blocchi rimane ma c’è il tentativo di trasferirla in ambiti come lo sport e, appunto, lo spazio. Spiega Dubrovina: “Questa apertura a occidente in Urss porta anche alla nascita di subculture come i Beatnicki e gli Stilyagi, malviste dal regime perché imitano sostanzialmente mode e stili di vita americani. Si sente la mancanza di un eroe popolare, di un mito da imitare, quando a un tratto cade letteralmente dal cielo Gagarin. Che non è affatto una scelta casuale: viene preferito anche per le sue origini popolari e perché ha un nome tipicamente russo; al diretto concorrente Titov, che i genitori hanno avuto la malaugurata idea di chiamare German, toccherà volare per secondo. Poi c’è il famoso sorriso di Gagarin, che sembra fatto per conquistare il mondo. La comunicazione è ben pensata e soppesata: l’immagine che si vuole dare non è quella di un superuomo ma di un ragazzo semplice, al posto del quale potrebbe esserci chiunque”.
Più che l’individuo insomma conta il sistema, e lo stesso Gagarin lo sottolinea continuamente: “Vengo da una famiglia comune – scrive –. I miei genitori sono due semplici russi ai quali la Rivoluzione d’Ottobre ha dato una vita piena e dignitosa”. A sceglierlo è stato Korolëv in persona, deus ex machina del programma spaziale sovietico. Ucraino, fervente comunista nonostante gli anni passati in gulag durante le purghe staliniane, il suo decisivo contributo diverrà noto solamente dopo la morte: per non rivelare la sua identità Chruščëv impedirà addirittura che gli venga assegnato il Nobel. “Gestisce migliaia di persone e tantissimi progetti e, a differenza dei successori, riesce a imporsi anche sui militari – conclude Olga Dubrovina –. Poco dopo la sua morte nel 1966 la capsula Sojuz si schianta al suolo uccidendo il cosmonauta Vladimir Komarov: sono in molti a pensare che con Korolëv non sarebbe mai successo. Scomparso lui c’è meno convinzione nel puntare al primato e il programma spaziale sovietico finisce lacerato da rivalità e divisioni, con una conseguente dispersione di fondi. C’è infine anche una perdita interesse della leadership, a cui si aggiungono alcuni progetti sbagliati”.
L’‘effetto Gagarin’
David Burigana, storico presso il Dipartimento di Scienze politiche, giuridiche e studi internazionali (Spgi) dell’università di Padova, studia da anni le interconnessioni tra politica internazionale e tecnologia (ambito in cui coordina la partecipazione dell’ateneo a un progetto Horizon 2020). “Non dimentichiamo il contesto in cui si svolge la missione Vostok 1, caratterizzato da incidenti e da tensioni – dice a Il Bo Live –. Meno di un anno prima, il 1° maggio ‘60, viene abbattuto l’aereo spia U2 e catturato il pilota Gary Powers (alla vicenda accenna il film Il ponte delle spie); pochi giorni dopo c’è il tentativo di sbarco nella Baia dei porci, cui l’anno dopo seguirà la crisi dei missili a Cuba. Eppure Gagarin, anche se sfruttato dalla propaganda sovietica, fin dall’inizio viene percepito dall’opinione pubblica mondiale come un rappresentante dell’umanità. C’è poco da fare: nelle esplorazioni spaziali è stato fondamentale l’utilizzo di sonde robotiche, ma per le grandi imprese alla fine è sempre necessaria la presenza di un uomo”.
“ Per le grandi imprese è sempre necessaria la presenza di un uomo
Il primo volo umano imprime dunque un’accelerazione alle attività aerospaziali: “Già nel ’58 erano nate la Nasa e organismi internazionali importanti come il Committee on space research (Cospar) e l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio (Unoosa). Il 25 maggio del ‘61 però Kennedy ammette il ritardo e da allora si cambia passo: gli Stati Uniti mettono in campo enormi investimenti ma soprattutto la loro vera forza, ovvero la capacità di collegare le esigenze della ricerca con un sistema imprenditoriale all’avanguardia. L’effetto Gagarin porta anche alla nascita di un embrione di programma aerospaziale europeo: nascono infatti la European Launcher Development Organisation (Eldo) e la European Space Research Organisation (Esro), che poi confluiranno nell’Agenzia Spaziale Europea”.
In questo frangente anche l’Italia riesce a fare la sua parte, grazie a una congiuntura favorevole tra politica, industria e ricerca. “I protagonisti della svolta sono Fanfani, che crede molto nell’innovazione tecnologica, Enrico Mattei e il padre dell’aerospazio italiano Luigi Broglio – prosegue Burigana –. Intorno a quest’ultimo inoltre gravitano alcuni brillanti ricercatori e progettisti come Luigi Napolitano, maestro nel campo della microgravità, Mario Grossi e il nostro Bepi Colombo (a cui sarà intitolato il Centro di ateneo di Studi e attività spaziali, ndr). Così nel ‘61 viene approvato con legge il programma San Marco, grazie al quale nel ‘64 l’Italia, tramite un vettore americano, diventerà il terzo Paese al mondo a lanciare un satellite. Un ruolo d’avanguardia ancora oggi riconosciuto e apprezzato: non è un caso che l’attuale direttrice dell'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari dello spazio extra-atmosferico sia Simonetta Di Pippo, astrofisica italiana”.
Torniamo però al 1961: tre settimane dopo il volo di Gagarin, il 5 maggio, gli Stati Uniti lanciano la navicella Freedom 7 con a bordo Alan Shepard: si tratta però di un volo parabolico e non di un’orbita intorno alla Terra, alla quale gli americani arriveranno solo l’anno dopo. La corsa allo spazio è però appena entrata nel vivo: il 12 settembre 1962 John Kennedy nello stadio della Rice University di Houston alza la posta in gioco indicando come obiettivo la luna, da conquistare entro la fine del decennio. E la storia gli dà ragione: a camminare sul nostro satellite, a partire dal 21 luglio 1969, saranno solo gli americani. L’anno prima, il 27 marzo 1968, Gagarin ha perso la vita nel corso di un’esercitazione con un velivolo militare: aveva appena 34 anni. “Sulla Terra mi sono schiantato, quella che per prima ho visto tanto piccola, e la Terra non me l’ha perdonata – scriverà Evgenij Evtušenko –. Ma io perdono la Terra, sono figlio suo, in spirito e carne, e per i secoli prometto di continuare il mio volo”.