SOCIETÀ

Giovani e volontari: così riparte Venezia

Qualcuno li ha già ribattezzati gli “angeli di Venezia”, sull’esempio di quelli della grande alluvione del ’66. Arrivano ogni giorno da tutta la Regione e anche da fuori, sono studenti e cittadini e hanno un obiettivo: aiutare la Città a rialzarsi. Tra loro c’è anche Ermes Pozzobon, 24 anni da Montebelluna e laureando in fisica presso l’Università di Padova.

“Finora sono andato due volte, sto aspettando che mi dicano quando tornare a dare una mano”, racconta lo studente a Il Bo Live. Chi coordina? “All’inizio soprattutto l’associazione Venice Calls, formatasi qualche anno fa per aiutare la Città”. I volontari dell’associazione qualche giorno fa hanno incontrato durante la sua visita a Venezia anche la ministra dell’Interno Lamorgese, ma ultimamente hanno dovuto, soprattutto per problemi di responsabilità legale e assicurativa, lasciare il coordinamento dei volontari. “Che però continua in modo spontaneo e autogestito. In questo modo sono venuto a conoscenza della situazione a San Servolo”.

Per molti veneziani il nome dell’isola lagunare resta ancora legato al vecchio ospedale psichiatrico, mentre oggi essa ospita il Collegio internazionale di Ca’ Foscari e la sede della Fondazione Franco Basaglia. Si tratta di un punto relativamente alto sul livello del mare, quindi l’acqua alta degli scorsi giorni ha colto tutti di sorpresa, danneggiando pesantemente la biblioteca.  “Noi ci occupiamo principalmente del recupero dei volumi antichi, soprattutto del Sette-Ottocento: alcuni sono bagnati, altri letteralmente zuppi. Mettiamo i fogli di carta assorbente tra le pagine, per poi sostituirli ogni tot ore”.

Il coordinamento è spontaneo, anche per questioni di carattere legale, e si svolge soprattutto via Telegram e Whatsapp

Come si diventa volontari? All’inizio ci si muove con il passaparola, il secondo passo è ricevere l’invito in un apposito gruppo Telegram o Whatsapp. Quello a cui è iscritto Ermes al momento conta quasi 3.000 membri, ma ci sono tante altre situazioni: un gruppo si è formato ad esempio a Palazzo Grimani, un altro intorno alla fondazione Querini Stampalia, dove c’è una biblioteca aperta agli studenti universitari e dove in pochi giorni si è formata una rete talmente ampia da costringere i volontari ad organizzarsi in più turni.

Ermes si muove con un ventina di persone provenienti dal trevigiano: tutto è partito da un gruppo di amici che studiano a Ca’ Foscari, a cui poi se ne sono aggiunti altri provenienti da associazioni e scout, assieme a semplici cittadini senza precedenti esperienze di associazionismo. Nei giorni e negli orari stabiliti ci si trova in stazione, poi si prende il vaporetto: un modo anche per conoscersi e stare insieme.

Un piccola goccia nel mare, ma che assieme a centinaia di altre può fare la differenza: ci sono ragazzi che passano le giornate a sciacquare i pavimenti delle chiese e degli antichi palazzi per evitare che il sale li danneggi; altri, soprattutto dopo la prima mareggiata, hanno aiutato i commercianti a fronteggiare le successive, spostando in alto gli oggetti e dando una mano a predisporre le paratie. Altri ancora si dedicano ai veneziani; per rendersi conto delle necessità basta scorrere la chat di uno dei tanti gruppi: la signora anziana a cui si è allagata la cantina, un’altra che deve buttare un divano, chi mette a disposizione un frigorifero e vestiti ma chiede chi può passare a prenderli. Intanto ci si tiene informati sulle prossime maree e si organizza l’aperitivo assieme in un bacaro appena riaperto. In fondo dopo una lunga giornata di lavoro ci vuole anche questo: Venezia deve continuare a vivere.

“È bello vedere tante persone che da tutta la Regione, e in parte anche da fuori, sentono questo legame con Venezia” dice Ermes, che continua: “Il sentimento che provo ha una doppia natura. Da un lato l’angoscia e la malinconia per una città che sembra quasi inesorabilmente destinata al declino, assieme alla rabbia perché molto di questo poteva forse essere evitato; d’altra parte però ci sono la speranza e l’entusiasmo per la disponibilità di tanti giovani”.

Un’esperienza che lascia un segno, “soprattutto perché spesso si sente dire che nella società in cui viviamoci si concentra solamente su obiettivi individuali. Episodi come questi, anche se scaturiscono da vicende negative, dimostrano che ci sono legami interpersonali che sono pronti ad attivarsi e soprattutto un grande senso di appartenenza alla comunità e al territorio”.

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