In una biblioteca scientifica standard, un libro che ha nel titolo la parola “diavolo”, nel sottotitolo “demoni” e in copertina la sagoma di un gattaccio nero, può far traballare le mensole. Ma è una sfida che dura quattrocento pagine e alla fine la vince lui: questo è un libro di storia e filosofia della scienza, lo è dall’inizio alla fine, ed è questo il suo posto. Anche se il filo rosso del suo racconto è rosso come la coda del demonio. Oltre la copertina il senso di smarrimento continua, perché questo “L’ombra del diavolo” (Bollati Boringhieri, 2021, 480 pagine), della storica della scienza (e ingegnera) messico-americana Jimena Canales propone al lettore una trama diversa da quelle consuete per la lettura della storia del pensiero scientifico passato e recente. E c’è bisogno di un po’ di elasticità, attenzione, concentrazione, e anche, in certi capitoli centrali, di una bella dose di pazienza per capirla. Ma si viene ripagati, promesso: perciò seguite il ragionamento.
Demonologia moderna, da Cartesio in poi
Forse nemmeno voi ci avevate fatto caso. Ma ci sono un sacco di testi scientifici, passati e presenti, che usano la figura del demone per proporre esperimenti mentali o ipotesi audaci. Jimena Canales giura di aver riempito intere cartelline di paper di varie discipline in cui i demoni venivano usati per rappresentare l’ignoto o per proporre letture controfattuali delle cose. Buffo, si è detta, che la scienza abbia fatto i suoi balzi in avanti ricorrendo all’immaginazione, e per di più alla costruzione di esseri fantastici e soprannaturali. Il fatto è che la fantasia è indispensabile quando si vuole immaginare qualcosa di nuovo, come la soluzione di un problema, e quindi la scienza, che ami raccontarlo o meno, ha sempre fatto su e giù tra reale e immaginario.
Per questo anche l’Oxford English Dictionary dà una definizione precisa di demone nella scienza e individua un primo demone della storia da cui gli altri sono discesi. È il demone di Cartesio, seguendo la cui pista si arriva fino ai demoni dell’intelligenza artificiale evocati anche da Elon Musk. Da Cartesio parte anche il catalogo ragionato di demonologia moderna, che Canales ci ha messo nelle mani.
Il demone di Cartesio nasce nel 1641 come soluzione al problema principale che il filosofo francese si è posto nel Discorso sul metodo: come riconosciamo il vero dal falso? È dunque il demone del dubbio, in grado di proporci realtà alternative a quelle che vediamo, e la sua opera è fondante tutta l’impresa scientifica: lo scetticismo che ci instilla è quello che ci spinge a cercare di conoscere e capire, fonda la filosofia e la scienza moderna e apre l’età dei lumi e del razionalismo. Mica poco.
Poi c’è il demone di Laplace, che conosce tutto l’Universo, passato e presente e quindi anche futuro. Ha ispirato la costruzione di macchine calcolatrici sempre più potenti, lo sviluppo della statistica, e soprattutto è diventato il patrono del determinismo, la luce guida nella ricerca di una conoscenza scientifica completa e definitiva. L’onniscienza come possibilità. Di nuovo: mica poco.
Il più famoso però è il successivo, è il demone di Maxwell, che è anche il più pericoloso: può agire sul mondo naturale e cambiare l’andamento delle cose, può opporsi al secondo principio della termodinamica, inventare macchine del moto perpetuo, invertire la storia. È lui a scombussolare la fisica e l’ingegneria del secolo delle macchine. Ed è lui il demone che avrà più eredi, incrociando la propria traiettoria con altri successivi demoni della fisica come quelli del moto browniano, e diventerà centrale, quasi ossessivo, negli studi per esempio di Henri Poincaré.
Nell’elenco dei demoni non può mancare un ghostbuster come Albert Einstein, che fece fuori i fantasmi del tempo e dello spazio assoluti, tanto che venne chiamato dai colleghi non solo scienziato ma addirittura “esorcista”. Così come “esorcismo” fu chiamato uno dei lavori di Leò Szilard, mentre i “fantasmi” affollavano la meccanica quantistica.
“ Ma fuggiti dalla fisica, i demoni si sono diffusi ovunque.
Il demone della scienza: immaginario finché non si dimostra reale
Si trovano demoni nell’informatica, nella cibernetica, nell’economia e nelle scienze sociali. E ovviamente si danno molto da fare anche nella biologia, laddove si debba spiegare qualcosa di davvero misterioso come la vita o di solo poco meno complesso, come i meccanismi che ne guidano lo sviluppo e l’evoluzione. Una menzione speciale va, in questo campo, a demoni capaci di gestire l’informazione, che Jacques Monod identificò negli enzimi.
Quindi eccoli i demoni della scienza: si manifestano in mille modi, ma sono sempre manipolatori. Sono manipolatori di particelle subatomiche e atomiche, di messaggi, dati e informazioni, di meccanismi riproduttivi, del tempo e del destino. Hanno in mano gli interruttori della natura, le leve e gli ingranaggi, e li possono scambiare, forzare, pilotare come gli va. Sono velocissimi o lentissimi, enormi o minuscoli.
Soprattutto, hanno resistito al passaggio dalla conoscenza magica del mondo alla costruzione dei metodi della scienza. E sono rimasti lì a segnare i limiti della nostra conoscenza. Progressivamente sono stati superati, e progressivamente sono stati sostituiti da altri demoni, con altre forme e altre capacità. Sono stati disprezzati, come è successo con l’affermarsi del positivismo logico. Ma sono sopravvissuti anche a questo così come all’arrivo della psicologia, per la quale, a partire da Sigmund Freud, vedere i demoni e parlare con loro è segno di malattia mentale.
Così oggi per noi passarli in rassegna significa ripercorrere le direttrici della nostra ricerca sulla natura e i misteri che la nostra immaginazione ha letto e interpretato prima che ci arrivassimo con altri strumenti intellettuali o materiali.
La chiusura del libro è affidata a una parentesi filosofica. Va detto che quello che per un filosofo (un umanista, in generale) è il “non esistente” è molto più ampio del “non esistente” che interessa a uno scienziato, per il quale la categoria della “non esistenza” è decisamente meno interessante di quella opposta. Però nel corso della seconda metà del Novecento, un battibecco tra Kuhn e Feyerabend, col secondo che accusava il primo di trattare la scienza da stregoneria, ha portato alla luce una delle caratteristiche tipiche del demone della scienza che lo distingue dai demoni comuni: il demone della scienza è immaginario solo finché non si dimostra che è reale. Poi ci si mise anche Popper, che negli anni cambiò idea su molte cose ma alla fine della sua vita si interessò soprattutto al ruolo della metafisica nella produzione della conoscenza scientifica, e tornò lì, ai demoni, o sogni, o immagini, chiamateli come vi pare. Insomma nemmeno lì i demoni sono mai morti.
Tutto questo per dire che le mensole traballano, ma questo libro, a pieno titolo, resta su: perché è vero che l’intreccio tra scienza, storia e filosofia a volte assume i tratti della folie-à-trois, però al di là della complicazione è sempre giusto, produttivo (e bello) vederne l’opportunità.