Foto: Contrasto
Si spense esausto, rileggendo e correggendo, quel sabato 18 novembre di un secolo fa. Magro ed emaciato nel suo sudario, quasi cristico nelle fotografie post mortem scattate da Man Ray (su richiesta di Jean Cocteau), Marcel Proust era morto come era vissuto: per la sua opera. Eppure, a distanza di anni, lo scrittore parigino sembra aver vinto la sua battaglia contro il tempo: mai come adesso viene ricordato, letto, meditato. Anche Padova, visitata e citata nella Recherche, ricorda Proust in una serie di iniziative ed eventi, tra cui una serata di letture e di musica al Collegio Universitario Gregorianum venerdì 18 novembre alle ore 20.45, mentre dall’1 al 3 dicembre, nell’ambito delle celebrazioni per gli 800 anni dell’Università di Padova, si tiene il convegno internazionale L’écriture du silence dans ‘À la recherche du temps perdu’ de Marcel Proust. Tra gli organizzatori Geneviève Marie Henrot Sostero, docente di lingua e traduzione francese, studiosa proustiana da una vita e direttrice dei Quaderni proustiani, e il dottorando Ludovico Monaci, entrambi del Dipartimento Studi linguistici e letterari dell’università di Padova, a cui abbiamo rivolto per iscritto qualche domanda nella migliore tradizione dei questionari che il grande scrittore amava sottoporre ad amici e conoscenti.
In che condizioni muore Marcel Proust, e a che punto lascia la sua opera?
Geneviève Henrot Sostero: “Proust muore il 18 novembre 1922 a Parigi, in rue Hamelin 44, a causa di una bronchite dal lui trascurata, che rese fatale l’asma da cui soffriva dall’infanzia: malato cronico, lo scrittore nutriva scetticismo nei confronti della medicina in generale, e dei medici in particolare, nonostante il padre fosse un famoso epidemiologo e il fratello un urologo. Del resto, già da tempo, sentiva avvicinarsi la fatidica ‘Signora in nero’ e per questo motivo dedicò gli ultimi anni della sua vita a uno strenuo lavoro di redazione e revisione. Céleste Albaret, la sua governante, ci rivela nella sua biografia Monsieur Proust come lo scrittore le rivelò che aveva portato a termine il suo arduo compito di scrivere il ciclo romanzesco À la recherche du temps perdu: ‘Questa notte è successa una cosa straordinaria. Ho messo la parola fine’. Morì poco dopo. L’opera non può quindi essere considerata propriamente ‘incompiuta’; ma è pur vero che, poco prima di morire, Proust stava ancora rivedendo gli ultimi volumi. Con la parola ‘fine’ inizia un’altra fase, postuma, molto più complessa e articolata nell’ottica della pubblicazione: la riorganizzazione del materiale preparatorio lasciato dall’autore in un ‘ordine’ mentale che sapeva solo lui e che, salvo tracce interpretabili sui manoscritti, si è portato nell’oltretomba”.
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Qual è il successivo cammino della Recherche? Secondo quali vicende sarà rivista editorialmente e pubblicata?
Ludovico Monaci: “La complicata questione editoriale della Recherche può essere riassunta come segue: l’opera viene pubblicata tra il 1913 e il 1927. Proust ha potuto seguire direttamente la pubblicazione dei primi quattro volumi: Du côté de chez Swann, À l’ombre des jeunes filles en fleurs, Le Côté de Guermantes, Sodome et Gomorrhe. Gli ultimi tre volumi – La Prisonnière, Albertine disparue (o La Fugitive), Le Temps retrouvé – sono pubblicati postumi da Robert Proust, il fratello di Marcel, con l’ausilio di Jacques Rivière e di Jean Paulhan de La Nouvelle Revue Française, collana editoriale presso Gallimard. Seguiranno, sempre per Gallimard, le due edizioni della prestigiosa ‘Bibliothèque de la Pléiade’: la prima del 1954 (diretta da Pierre Clarac et André Ferré), la seconda del 1987-1989 (diretta da Jean-Yves Tadié). Quest’ultima diede luogo a diverse edizioni tascabili nelle collane Gallimard di ‘Folio’, ‘Blanche’ e ‘Quarto’. Caduta nel dominio pubblico nel 1987 (a sessant’anni dall’uscita dell’ultimo volume), l’opera conobbe numerose altre edizioni critiche presso Garnier Flammarion (Jean Milly, 1984-1987), Bouquins (Bernard Raffalli, 1987), Le Livre de Poche (Élyane Dezon-Jones, 1992-1993)…”
L’obiettivo dichiarato dell’opera maggiore di Proust è proprio quello di sfidare il tempo, eppure spesso, all’interno di essa, sembra quasi emergere un senso di declino e di perdita. Che ruolo giocano vita e morte dell’opera di Proust?
GHS: “La vicenda della Recherche occupa un arco temporale talmente ampio da essere giocoforza attraversato da lutti e perdite, oltre che lacerato da un trauma del tutto inedito per l’umanità: la prima Guerra Mondiale. Inoltre, l’autore ausculta con precisione i sentimenti più reconditi dell’animo umano. Il senso di declino che ne emerge è quindi inevitabile per un’opera che misura il tempo. Ma il ‘tempo perduto’ viene notoriamente riscattato dal ‘tempo ritrovato’. La Recherche è ricca di edonismo sensoriale, di esperienze fenomenologiche estatiche di fronte agli oggetti o ai paesaggi più vari: asparagi, foglie e fiori di tiglio, la lisca di un pesce nel piatto, alla Chardin. Non ultimo, il tema della memoria involontaria, fatto proprio di sensazioni umili, talvolta triviali, ma penetranti, fornisce la materia medesima del romanzo: un passato che ricompare in tutti i suoi minimi particolari e garantisce la persistenza dell’io attraverso (e nonostante) il tempo. E, secondo Proust, consegnare alla letteratura questa esperienza del tempo e dell’io conferisce un potere salvifico di redenzione”.
"Voici les dernières lignes que Proust dicta à Céleste la nuit qui précéda sa mort"
— Société des amis de Marcel Proust (@AmisDeProust) November 17, 2022
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"l'incroyable frivolité des mourants"
Marcel Proust, Portrait souvenir (1962)#Proust100 pic.twitter.com/lmgbSECBqD
Come viene letto oggi Proust? A che punto siamo oggi nell’evoluzione della critica proustiana?
LM: “Senza dubbio negli ultimi anni sono saliti agli onori della cronaca diversi inediti, tra i quali spiccano i Soixante-quinze feuillets, recentemente (ri)scoperti in casa dell’editore Bernard de Fallois, e pubblicati nel 2021 da Nathalie Mauriac, pronipote di Robert Proust. Databili tra la fine del 1907 e la metà del 1908, essi rappresentano il più antico nucleo narrativo della Recherche. Questa scoperta, che getta una luce nuova non solo sulla genesi del testo, ma anche sull’opera nel suo insieme, non ha certo monopolizzato la discussione critica, che prosegue e prolifera in tutte le direzioni del sapere umanistico e scientifico. Decisamente più clamorosa e mediatica fu, nel 1989, la pubblicazione, sempre a cura della stessa pronipote, Nathalie Mauriac, di un manoscritto ritrovato in soffitta che andava a modificare sostanzialmente le vicende del romanzo, dalla Fugitive in poi, contrariando fortemente la visione che ammiratori e specialisti di Proust si erano fatta fino ad allora. Mi piace a questo riguardo citare un adagio della professoressa Henrot Sostero: ‘Nella Recherche si trova la risposta a tutte le domande’. E, inutile dirlo, credo che la prova stia nel gran numero di persone che hanno scandagliato la Recherche interrogandosi sugli argomenti più disparati: dalle arti alla filosofia, dalla linguistica all’onomastica, passando per la fisica, la biologia e la medicina, finanche alle odierne neuroscienze”.
Come mai si è scelto di dedicare il convegno che si terrà a Padova dall’1 al 3 dicembre al ‘silenzio nella scrittura della Recherche’?
GHS: “In effetti, analizzare il silenzio in un testo letterario (che fa della parola la sua chiave di volta) potrebbe sembrare una scelta rischiosa, forse paradossale sia per la natura del tema sia per un’opera della mole della Recherche in cui, di certo, né il narratore, né i personaggi sono propensi a ‘tacere’. Tuttavia è lo stesso Proust a scrivere, in una celebre frase del Tempo ritrovato, ‘i veri libri sono figli dell’oscurità e del silenzio’. L’idea è quindi quella di analizzare il silenzio non tanto e non solo come il negativo o il rovescio della medaglia della parola (o del suono), ma anche e soprattutto come un elemento dialettico e di confronto, un vuoto rivelatore, una cassa di risonanza. Si è scelto quindi di prendere in considerazione il silenzio secondo approcci differenti: non solo le dinamiche relazionali tra i personaggi, ma anche il silenzio della lettura, dell’ascolto, o in musica (e qui l’evento del 18 novembre al Gregorianum si inserisce a pieno titolo), il silenzio della natura, oppure le versioni manoscritte o dattiloscritte ‘messe a tacere’ dalla versione finale del testo”.
“ Nella Recherche si trova la risposta a tutte le domande Geneviève Henrot Sostero