Tenere duro o lasciare il lavoro? È la domanda che si pongono tante giovani donne con figli: in particolare in Italia, dove secondo lo studio pubblicato l’anno scorso da Save the Children il 42,6% delle madri tra i 25 e i 54 anni risulta non occupata, con un divario di oltre 30 punti rispetto agli uomini. Le ragioni sono tante: da una cultura del lavoro ancora fortemente improntata sulle caratteristiche maschili, in cui pause e fragilità inevitabilmente connesse alla maternità spesso non trovano accoglienza e sostegno, alla scarsità di servizi, che concorre a scaricare sulle donne i compiti di cura.
A influire però sono anche le politiche di welfare, che a seconda di come vengono concepite e messe in pratica possono favorire o meno l’occupazione femminile. È questo l’oggetto della ricerca presentata da Valeria Zurla, del Centre for Studies in Economics and Finance (CSEF) di Napoli, nel corso dell’ultima conferenza annuale della European Association of Labour Economists (Eale): How Should We Design Parental Leave Policies? Evidence from Two Reforms in Italy. “La maternità pesa moltissimo sui divari di genere nel mercato del lavoro, e secondo diversi studi è di fatto la prima causa del Gender Gap”, spiega l’economista nell’intervista a Il Bo Live. “Ricerche seminali come quella di Kleven, Landais e Søgaard fanno vedere come ad esempio in tutti i Paesi del mondo, anche se con dimensioni diverse, le differenze di reddito e di occupazione tra uomini e donne si allarghino esattamente dopo la nascita di un figlio e non vengano più recuperate nemmeno dopo diversi anni”.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Barbara Paknazar
Nel suo studio Zurla ha analizzato gli effetti sulla permanenza delle madri nel mercato del lavoro di due riforme che nel decennio scorso hanno riguardato l’indennità mensile di disoccupazione (l’attuale Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego o Naspi): secondo i dati INPS, consultati per la ricerca, un 20% in più di donne si sono licenziate con l’aumento del sussidio dal 60% al 75% dell’ultimo reddito (Legge n. 92/2012), a cui si è aggiunto un ulteriore 18% quando la sua durata massima è stata portata da 8 a 24 mesi (D.Lgs.n. 22/2015). Dati che si spiegano con il fatto che nel nostro Paese, una volta terminati i 5 mesi del congedo di maternità obbligatoria, le dimissioni spontanee dal lavoro sono spesso percepite dalle neomamme come una alternativa valida rispetto al congedo parentale (che dura 6 mesi e dà diritto ad appena il 30% della retribuzione). “Il problema fondamentale di questa scelta è che mentre il congedo parentale fa sì che le madri possano mantenere la propria occupazione, con le dimissioni non ci sono garanzie di poter rientrare un giorno nel mercato del lavoro. Gli effetti a lungo termine sono molto importanti: nonostante ad esempio con la Naspi si ricevano nell’immediato circa 14 mila euro in più, nel lungo periodo si perdono in questo modo quasi 35 mila euro in termini di reddito complessivo”.
Perché allora molte donne decidono comunque di lasciare il lavoro? “Secondo i dati le riforme considerate sono andate a toccare soprattutto due categorie specifiche di lavoratrici. L’aumento del sussidio ad esempio ha attratto in maniera particolare le donne attaccate marginalmente al proprio lavoro, che guadagnavano di meno e che probabilmente erano già in part-time o in occupazioni poco family friendly; l’effetto della seconda riforma è invece molto più interessante, perché l’aumento della durata del sussidio ha coinvolto soprattutto donne che avevano problemi per la scarsità di servizi, che quindi risiedevano in province o regioni in cui c'era scarsità di asili nido, oppure che vivevano lontane dai propri genitori. Situazioni che di fatto rendevano più conveniente stare a casa”.
“ In Italia il sussidio di disoccupazione è percepito un'alternativa rispetto al congedo parentale
Il problema è che, come abbiamo visto, il sussidio di disoccupazione è del tutto carente sotto il profilo della cosiddetta job protection: per questo, secondo Zurla, sarebbe innanzitutto importante da una parte rendere più attrattivo il congedo parentale sotto il punto di vista sia degli importi che della durata, dall’altra ampliare nel nostro Paese i servizi per l’infanzia (e magari anche per l’adolescenza e per gli anziani), i quali potrebbero essere a loro volta un volano per l’economia, ripagandosi da soli e con gli interessi.
Sarebbe inoltre importante, suggerisce la studiosa, un riequilibrio all’interno delle coppie del lavoro di cura: “Nei Paesi scandinavi ad esempio i congedi parentali sono quasi sempre condivisi tra entrambi i genitori, e soprattutto quelli dei padri sono obbligatori per un periodo molto superiore rispetto ai 15 giorni previsti in Italia. Questo fa sì che ci si possa alternare maggiormente nel primo anno di vita del bambino e che le madri riescano a gestire meglio il rientro al lavoro. Quello che in generale ci insegna il confronto con le migliori prassi all’estero è che bisognerebbe pensare alla genitorialità da un punto di vista delle famiglie piuttosto che dei singoli”.
“ È importante migliorare i sussidi ma anche ampliare i servizi e riequilibrare i compiti di cura
Sta di fatto che oggi l'Italia, come tutto l'Occidente, fronteggia anche una grave crisi demografica, che rischia di minare le basi dell’economia e in ultima istanza dell’intera società. Una soluzione non potrebbe dunque venire anche da un maggiore riconoscimento del valore sociale della genitorialità, ad esempio anche con la concessione di un reddito specifico per chi decide di mettere al mondo e crescere i futuri cittadini? “Effettivamente quando le donne scelgono il sussidio di disoccupazione nell’’immediato la loro fertilità aumenta – ammette Valeria Zurla –; in generale però la ricerca economica ha dimostrato come siano molti i fattori a incidere su questo dato: secondo uno studio italiano ad esempio anche l'incertezza e la precarietà nel mercato del lavoro hanno un effetto importante sulla probabilità di avere figli. Al momento non si conoscono gli effetti di un eventuale ‘reddito di maternità’, anche perché non credo sia mai stato sperimentato, se non forse in Finlandia: certo sarebbe interessante capire come potrebbe aiutare a conciliare la vita privata e familiare con il lavoro. Un'area sicuramente interessante per fare ricerca in futuro”. Sperando che un giorno non si debba più scegliere tra i figli e il lavoro.