SOCIETÀ

Matteo Toffanin, vittima di mafia a Nordest

È la sera 3 maggio 1992, una domenica, quando Matteo e Cristina tornano in auto a Padova dopo una giornata al mare. Sono poco più che ventenni e hanno avuto l’idea di sfruttare il primo caldo per trascorrere una giornata insieme; quando arrivano sotto casa di lei, in via Tassoni 4 del quartiere Guizza, sono le dieci di sera: un bacio e poi lui tornerà a casa sua a Ponte San Nicolò.

Una sera apparentemente come tante, ma che segnerà le loro esistenze e quelle di familiari e conoscenti. Ad attenderli ci sono infatti due uomini, che affiancano la macchina e iniziano a sparare con una lupara e una pistola. Per Matteo Toffanin, colpito alla testa, non c’è niente da fare, mentre Cristina Marcadella viene ferita alle gambe prima che i killer si volatilizzino. Un agguato di mafia in piena regola, ma centinaia di chilometri più a nord rispetto a dove tutti se lo aspetterebbero. Chi ha premuto il grilletto, com’è potuto accadere? Matteo, 22 anni, fa il rappresentante per una ditta di computer e da poco si è messo in proprio; Cristina, 25, è impiegata e vive con il padre insegnante e la sorella, dopo aver appena perso la madre per un male incurabile. Due ragazzi normali, incensurati, estranei a qualsiasi giro losco.

Fin dall’inizio l’ipotesi che si fa strada è quella dello scambio di persona: la Mercedes crivellata dai colpi apparteneva allo zio di Matteo, mentre la macchina di Toffanin era dal meccanico. Mancano però i testimoni e le indagini arrancano mentre città e la società civile assistono scioccate. Per anni sulla vicenda cala il silenzio, più per incredulità che per omertà: nessuno al di fuori del cerchio familiare e degli amici delle vittime ha voglia di parlare della vicenda. Fino a cinque anni fa, quando Cristina Marcadella trova il coraggio di tornare su quella storia e ad ascoltarla trova Antonio Massariolo, giornalista e collaboratore de Il Bo Live. Un percorso di riscoperta e di condivisione della memoria che oggi viene raccontato nel fumetto Matteo Toffanin. Quanto può crescere una quercia?, frutto della collaborazione tra lo stesso Massariolo e il disegnatore Giorgio Romagnoni e appena pubblicato da BeccoGiallo, la storica casa editrice specializzata in storie dal forte impegno civile.

“Avevo già conosciuto la storia di Toffanin attraverso il libro A casa nostra della giornalista Monica Zornetta, ma tutto è nato quando oltre cinque anni fa ho incontrato per la prima volta Cristina – spiega Antonio Massariolo –. Mi ha detto che avrebbe voluto fare qualcosa per ricordare Matteo e così il 3 maggio 2017 abbiamo organizzato un incontro a Ponte San Nicolò. Contro ogni aspettativa e senza nessuna pubblicità abbiamo riempito la sala civica, e la gente continuava ad arrivare”. Dopo 25 anni di silenzio c’era insomma una grande voglia di ricordare Matteo.

“Ancora oggi non è banale parlare di mafie in Veneto – continua il giornalista –: si pensa ancora che qui certe cose non accadano, o che al limite si tratti di poche mele marcie. Eppure anche a Nordest la mafia commette sopraffazioni e violenze, la storia di Matteo non è affatto isolata”. Pochi giorni fa ad esempio la corte d’appello di Venezia ha riconosciuto con sentenza che per anni la mafia casalese del clan Donadio è stata presente a Eraclea, controllando il territorio e influenzando la politica e la società civile: “Le mafie sono presenti in Veneto esattamente come al Sud, solo che spesso non riusciamo a vederle. Scatta in noi un meccanismo di difesa, per cui non badiamo a segnali che invece dovrebbero allarmarci: penso al commesso di una pasticceria che è stato licenziato perché ha fatto pagare l’amico di un boss, o alla ragazza che si è rivolta alla camorra e non ai carabinieri per recuperare una tesi di laurea rubata”.

Proprio il Nordest è stato la culla anche della Mala del Brenta di Felice Maniero: l’unica associazione mafiosa autoctona del Nord, ma anche l’unica ad essere stata finora sgominata. Un fenomeno serio che è arrivato a contare oltre 400 affiliati e ha comportato decine di omicidi, ma che ancora oggi fatica ad essere preso sul serio. Anche per questo proprio a Dolo è stato fondato il Centro di documentazione ed inchiesta sulla criminalità organizzata in Veneto, con lo scopo di affiancare studiosi e laureandi ma anche di continuare a indagare sulle modalità con cui ancora oggi la criminalità organizza la sua influenza in un territorio in cui purtroppo non mancano sacche di opacità e di illegalità: dal capolaralato al MOSE, fino all’evasione fiscale. Il Centro ha prodotto anche diverse iniziative di divulgazione, tra cui un audiodocumentario trasmesso in podcast sulle mafie venete.

Le mafie sono presenti in Veneto esattamente come al Sud, solo che spesso non riusciamo a vederle

Per questo oggi è sempre più importante ricordare Matteo Toffanin e la sua storia, nonostante dopo 30 anni di indagini non siano stati ancora individuati con certezza esecutori e mandanti. Un’apparente sconfitta per la società e per lo Stato dalla quale però, come illustrano magistralmente Massariolo e Romagnoni nel fumetto appena uscito (patrocinato dall’Associazione Libera contro le mafie di don Luigi Ciotti e dall’Associazione Filotekne, a cui andranno tutti proventi della pubblicazione), riesce a nascere una storia di riscatto e di condivisione, intorno alla quale nel tempo si è formata una vera e propria comunità. Al giovane è dedicato ad esempio dal 2018 il Presidio Scolastico "Matteo Toffanin" presso l'Istituto Valle di Padova e presto gli sarà inoltre intitolato un campo sportivo nel quartiere Guizza a Padova, mentre stasera alle 20.45, sempre presso la sala civica “Unione Europea” di Ponte San Nicolò (in piazzale Altiero Spinelli), si terrà un incontro per ricordare il passato ma anche per pensare al futuro della lotta alla mafia. Tutti strumenti per fissare nella memoria e dare un significato a una storia troppo a lungo tenuta nel silenzio.

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