SCIENZA E RICERCA

Micro e nanoplastiche: ora c’è un protocollo per studiarle

Sono dappertutto, dall’acqua che beviamo al cibo che mangiamo, fino all’aria che respiriamo. Tuttavia continuiamo costantemente a produrle, anche semplicemente lavandoci i denti o mettendo i jeans in lavatrice, per non parlare degli oggetti che finiscono in mare (tema dell’ultimo libro di Danilo Zagaria, selezionato nella cinquina del Premio Galileo 2023). Parliamo delle microplastiche (particelle con grandezza variante da 1 μm a 5 mm) e delle nanoplastiche (inferiori a 1 μm), così pervasive da accumularsi ormai nei tessuti di gran parte delle specie viventi, dalla base alla cima della catena alimentare: ne sono state trovate alcune addirittura nelle placente umane. Tanto che da più parti ci si inizia a muovere per limitarne la diffusione, come sta facendo l’Unione Europea con la recente normativa tesa a limitare la vendita di prodotti contenenti microplastiche aggiunte intenzionalmente e che liberano microplastiche quando utilizzati.

Proprio per questo è sempre più importante studiare queste particelle e capire come si comportano nell’ambiente; fino ad oggi non c’era però un protocollo di ricerca uniforme per i ricercatori di tutto il mondo: problema che potrebbe avviarsi a trovare soluzione con un articolo appena pubblicato su Nature Protocols. Un gruppo internazionale di ricercatori, guidati dal ricercatore del Dipartimento di Scienze Chimiche (DiSC) dell’Università di Padova Fazel A. Monikh, ha infatti redatto una serie “linee guida” che la comunità scientifica, le organizzazioni internazionali e le istituzioni politiche potranno d’ora in avanti prendere come riferimento nel tentativo di studiare e di contrastare un problema globale sempre più urgente.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Quello che proponiamo è armonizzare i metodi finora disponibili, guardando da una prospettiva ampia e tenendo conto delle caratteristiche specifiche di queste particelle, differenti dai materiali chimici tradizionali – spiega nell’intervista a Il Bo Live Monikh, primo firmatario dell’articolo –. Questo protocollo mira dunque a fornire approcci e procedure ai ricercatori di tutti i campi e di tutte le discipline per eseguire studi corretti su microplastica e nanoplastica, in modo da generare dati omogenei e confrontabili dalle parti interessate che possano portare anche ad azioni politiche adeguate”.

Il protocollo proposto è composto da tre procedure e comprende l’intero spettro analitico, inclusi i metodi innovativi per la produzione di nanoparticelle da fonti plastiche, la generazione di matrici di esposizione che mimano le condizioni reali di suolo ed acqua e l’esecuzione di meticolosi test di tossicità utilizzando una vasta gamma di organismi modello.

Un aspetto fondamentale evidenziato nell’articolo è la distinzione tra microplastiche e nanoplastiche: queste ultime, a causa delle loro dimensioni minuscole, mostrano infatti comportamenti distintivi, inclusa la capacità di penetrare le membrane cellulari e interagire con i componenti subcellulari. Lo studio delle nanoplastiche, tuttavia, è ostacolato da sfide derivanti proprio dalle loro dimensioni e dai limiti della strumentazione esistente, fattori che ne rendono complesso il monitoraggio e la caratterizzazione ambientale. Sebbene la letteratura scientifica attuale confermi gli effetti avversi delle particelle di plastica, gli studi sull’argomento sono infatti ancora caratterizzati da incongruenze e conclusioni divergenti: discrepanze in parte da attribuire proprio alle differenze nelle metodologie di test, che spesso finora hanno mancato proprio di un approccio standardizzato.

“Il primo passo per regolare un settore come quello dei contaminanti emergenti, tra i quali ci sono anche le micro e le nanoplastiche, è conoscere, identificare e quantificare: senza queste informazioni non siamo capaci di individuare e gestire i rischi – conferma Sara Bogialli, docente di chimica analitica presso il DiSC specializzata proprio nella ricerca sui contaminanti –. Attualmente non sappiamo ancora quante particelle di nanoplastica ci siano nell’ambiente, così come non conosciamo i loro percorsi né il loro impatto sulla salute umana. Con questo protocollo potremo finalmente iniziare a rilevare questi dati, con l’obiettivo finale di produrre e disperdere una quantità minore di questi inquinanti”.

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