SCIENZA E RICERCA
Nel mondo delle lavatrici, tra vestiti puliti e acque inquinate
È uno degli elettrodomestici che diamo più per scontati, in Italia nel 2020 ce n’erano circa sei milioni (stime APPLiA Italia, l'Associazione di categoria che rappresenta in Italia i produttori di apparecchi domestici e professionali): la lavatrice ci ha permesso di risparmiare moltissimo tempo rispetto a quando si andava a lavare i panni al fiume, ma questo piccolo prodigio della modernità ora è corresponsabile di una minaccia invisibile, cioè quella della diffusione di microplastiche. Sicuramente non è la prima cosa a cui pensiamo quando ci troviamo di fronte a un cumulo di panni sporchi: ci limitiamo a metterli nel cestello, aggiungiamo il detersivo e a volte anche additivi di altro tipo e ci sentiamo già meglio, perché sappiamo che nel giro di pochi minuti o ore saranno igienizzati e puliti. Loro forse sì, ma il prezzo è quello di inquinare l’ambiente, perché un solo lavaggio può rilasciare diversi milioni di microfibre, che entrano nel flusso delle acque reflue.
Qui in realtà ci sarebbero anche dei filtri che dovrebbero tamponare il problema, impedendo a parte di queste microplastiche di arrivare fino al mare. Peccato che microfibre e microplastiche sono talmente tante che non si riesce a filtrarle tutte, e quindi una parte di loro ci arriva comunque. Questo significa che, tramite il pesce che mangiamo, rischiamo anche di ritrovarcele nel piatto e, quindi, nei nostri corpi. Possiamo ridimensionare il problema scegliendo materiali che ne rilasciano meno o modificando leggermente le nostre abitudini di lavaggio? Lo chiediamo a Ruggero Rollini, chimico, divulgatore e coautore del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato.
Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo
Intanto con Rollini mettiamo a fuoco la differenza tra microplastiche e microfibre, e poi andiamo a vedere anche quella tra microfibre sintetiche e non.
“Le microplastiche – spiega Rollini – sono materiali polimerici sintetici più piccoli di 5 mm e quindi se abbiamo delle fibre di materiale plastico più piccolo di 5 mm appartiene al mondo delle microplastiche, mentre le microfibre sono un sottoinsieme del macro mondo delle microplastiche”.
Per limitare il proprio impatto, quindi, si potrebbero usare capi che non sono prodotti con fibre di plastica. In genere qui il problema è di natura economica: è vero, possiamo sostituire acrilico e poliestere con seta e lana, con buona pace degli animalisti, ma anche in questo caso durante i lavaggi verranno emesse delle microfibre. “Microfibre naturali – precisa Rollini – e potremmo chiederci quanto fanno male le une e quanto le altre. La risposta, però, è che non lo sappiamo ancora, perché si stanno ancora facendo degli studi. È ragionevole pensare che le microfibre naturali come quelle rilasciate dal cotone e dalla seta tendano a fare meno male, ma per ora si tratta solo di un’ipotesi”.
Lo studio già citato si concentra sull'emissione di microfibre durante il lavaggio domestico di tessuti sintetici e cellulosici (come per esempio la viscosa) e lo fa analizzando i liquidi che vengono scaricati durante il processo di lavaggio di quattro famiglie formate da quattro membri (due famiglie in possesso di lavatrici a carico superiore e due a carico frontale). Il risultato è stato che in media venivano rilasciate 7,45 milioni di microfibre per 6/7 kg di carico per le lavatrici a carico frontale e 10,69 milioni di microfibre per 6/7 kg di carico per le lavatrici a carico superiore. Ma come si verifica esattamente questo fenomeno? “Quando facciamo una lavatrice – spiega Rollini – abbiamo dell'acqua che continua ad agire sui nostri vestiti, con temperature alte e sfregamento, magari c’è addirittura del detersivo in polvere non completamente disciolto che compie un’azione abrasiva, e così tutto questo sfregare, tutto questo muoversi, tutto questo mescolarsi fa sì che dalle fibre che compongono i nostri vestiti se ne stacchino delle piccole quantità. Una cosa interessante è che sappiamo che quando il capo è nuovo rilascia più microfibre, mentre dopo i primi lavaggi la quantità di microfibre rilasciate diminuisce”.
Questo ci suggerisce che per abbassare il nostro impatto sull’ambiente la cosa più saggia da fare sarebbe quella di comprare meno vestiti, utilizzandoli il più a lungo possibile, senza farci influenzare troppo dalle mode e dall’ultima offerta irresistibile.
Cosa succede alle microfibre una volta cha la lavatrice viene scaricata? Ce lo spiega Rollini: “Arrivano agli impianti di depurazione delle acque. Qui da noi, almeno, perché purtroppo non in tutto il mondo la gestione delle acque che escono dalle case è uguale. Fortunatamente in Europa abbiamo degli ottimi impianti di depurazione, che riescono a bloccare una grossissima fetta delle microfibre e delle microplastiche che arrivano dalla nostra lavatrice. Per dare un ordine di grandezza, si stima che nel mondo una quantità che oscilla tra il 35% e il 18% delle microplastiche rilasciate negli oceani arriva proprio dal lavaggio dei vestiti. In Europa questa percentuale scende all' 8% proprio grazie ai nostri impianti all'avanguardia”.
Ma si può fare di meglio, sia dal punto di vista personale sia, soprattutto, da quello dei produttori di abiti e di lavatrici. Come consumatori dobbiamo sforzarci di ponderare i nostri acquisti, preferire i cicli di lavaggio più brevi e a basse temperature e magari comprare i sacchettini a maglie filtranti dove mettere il bucato sintetico. “Per dare un ordine di grandezza – precisa Rollini – questi sacchetti bloccano dal 30% al 60% delle microfibre in uscita. Un’altra opzione sarebbe quella di comprare dei filtri da applicare nella lavatrice, ma se da un lato sono molto più efficaci (arrivano a bloccare il 90% delle microfibre se si esegue una corretta manutenzione) c’è da dire che sono anche più costosi”.
Fortunatamente l’Europa continua nella sua direzione virtuosa, e si stanno studiando delle modifiche normative per essere ancora più efficienti nella risoluzione del problema delle microplastiche derivanti dal lavaggio in lavatrice. Rollini fa l’esempio del suggerimento dato alle aziende di completare in loco i primi lavaggi dei capi, perché in questo modo si potrà essere sicuri che, nel periodo più critico, quando il capo è nuovo, le microfibre vengano intercettate da filtri efficaci prima di essere lasciate alla responsabilità dei consumatori finali, che magari lavano i capi ad alte temperature anche quando non è necessario. L’altra direzione che si sta prendendo è quella di costruire impianti di depurazione appositamente ideati per bloccare le microplastiche, cosa che fino a ora facevano in modo accidentale (anche se bene), perché non erano stati pensati con questo scopo.
Certo, il problema rimane, perché mentre in Europa c’è una grande attenzione al problema, in altri paesi è invece molto sottovalutato. E lo è, in particolare, in tutti quei paesi in cui si sta delocalizzando la produzione di capi di abbigliamento, che molte volte vengono trattati con sostanze inquinanti senza alcun controllo da parte delle autorità. Come accade fin troppo spesso, insomma, i tentativi virtuosi di determinati paesi rischiano di essere vanificati dal mancato rispetto (o dall’assenza) di norme analoghe appena si esce dai loro confini. Per questo rimane necessario continuare a sensibilizzare i cittadini di tutto il mondo su queste problematiche, e sperare che facciano sentire la loro voce a tutti quei governi che fino a ora hanno fatto finta di non sentire, accecati dalla possibilità degli sbrilluccicanti investimenti di imprenditori stranieri.