La grandezza della figura di Napoleone si vede anche dai particolari: non solo lo chiamiamo per nome, ma è anche uno dei pochi personaggi storici di cui tutti o quasi ricordiamo la data della morte. Da quasi due secoli infatti il 5 maggio fa parte del canone letterario italiano, scolpito nella memoria di generazioni di scolari tra i Sepolcri di Foscolo e l’Infinito di Leopardi. I versi del Manzoni danno solo l’idea dell’intensità delle reazioni suscitate dalla dipartita del grande corso, esattamente 200 anni fa: non solo in Italia, visto che la lirica entusiasmò anche Goethe (che nel 1822 ne pubblicò una traduzione in tedesco) e che moltissimi altri nell’occasione sfornarono liriche, da Byron a Puškin, da Shelley a Heine. Tutto il mondo insomma rimase senza fiato ma con molte parole.
“L’anima mancò all’universo nuovo sin da quando Bonaparte ritirò il suo soffio vitale; gli oggetti sparirono alla vista dopo che non furono più rischiarati dalla luce che aveva dato loro il rilievo e i colori”, scrisse Chateaubriand, che pure non l’amava, nelle sue Mémoires d’outre-tombe. Quello di Napoleone è un vero e proprio mito che va al di là del tempo e dei confini culturali e geografici, e nella cui nascita gioca un ruolo essenziale anche la fine del suo protagonista. Se infatti la leggenda napoleonica nasce sul ponte di Arcole e si consolida ad Austerlitz, essa trova la sua definitiva consacrazione a Sant’Elena, come mette in luce l’ultimo libro dello storico Vittorio Criscuolo (università statale di Milano).
Riprese e montaggio di Elisa Speronello
Ei fu. La morte di Napoleone (Il Mulino 2021) parte dall’ultimo soggiorno in mezzo all’oceano per offrire un ritratto ragionato del generale e gettare luce sulla costruzione e l’autocostruzione della sua narrazione. Una circostanza riconosciuta dallo stesso Napoleone, come confidò al segretario Emmanuel de Las Cases: “Se fossi morto sul trono, tra le nuvole della mia onnipotenza, per molta gente sarei rimasto un enigma; ora invece, grazie alla sventura, posso essere giudicato a nudo!”. Ed è proprio grazie al Memoriale di Sant'Elena di Cases che Napoleone riesce postumamente a trionfare sui suoi carcerieri nella memoria collettiva, con una lungimirante visione politica e la consapevolezza dell’importanza di quello che oggi chiameremmo soft power. “Attraverso il ‘martirio’ che Napoleone riesce a rappresentare a Sant’Elena viene messa in ombra la leggenda nera che aveva portato tutta l’Europa e la stessa Francia a coalizzarsi contro di lui – spiega Criscuolo a Il Bo live –. Per questo il Memoriale è un’operazione politica di fondamentale importanza in cui Bonaparte si presenta purificato, fautore dei principi di uguaglianza e di libertà e antitesi vivente del sistema oppressivo della restaurazione e della Santa Alleanza”.
Eppure oggi quel mito appare per molti versi appannato: persino in Francia, dove il motto quest’anno sembra essere “commemorare, non celebrare”. Un vero e proprio rebus politico anche per il presidente Macron: se l’importanza del periodo napoleonico è incontestabile, in una società sempre più aperta e multiculturale come quella francese si fa però notare che l’empereur, oltre ad essere un despota, ha reintrodotto lo schiavismo e ha dato al Code civil un’impronta fortemente conservatrice e patriarcale. Critiche riassunte da Marlene Daut, docente di studi afroamericani presso l’università della Virginia, in un articolo sul New York Times, nel quale Bonaparte viene accusato di genocidio e di avere addirittura inventato le camere a gas durante la repressione delle rivolte nei Caraibi.
“ Napoleone è sempre divisivo, una figura complessa che può essere vista da più lati: quello del tiranno e quello del grand’uomo
“Napoleone è sempre stato in qualche modo divisivo, una figura complessa che può essere vista da più lati: quello del tiranno e quello del grand’uomo, il gigante che incarna tutta un’epoca e dal quale non si può del tutto prescindere – continua Criscuolo –. Le critiche odierne, a volte fuori luogo, hanno però qualcosa di nuovo, e ci dicono la difficoltà del nostro tempo a rapportarsi in maniera non dico critica ma almeno coerente con il passato. Oggi si tende a sovrapporre alle altre epoche idee e principi del nostro tempo, viviamo in un eterno presente che dà anacronisticamente giudizi e condanne su eventi trascorsi, di modo che rischiamo di non capire più né il passato né l’oggi”. Certamente insomma il corso non ha amato le donne e ha reintrodotto la schiavitù, ma questo secondo lo storico va compreso nel contesto della mentalità di oltre due secoli fa: “Per quanto riguarda ad esempio la schiavitù Napoleone, che era uomo di formazione settecentesca e aveva letto Rousseau, era sicuramente contrario; per motivi contingenti si sentì però obbligato a reintrodurla nelle colonie, circondate da quelle spagnole e inglesi, nelle quali la schiavitù era rimasta, e in concorrenza con queste nel mercato dello zucchero. Appena tornato al potere nei 100 giorni però la abolì nuovamente”.
#5MAI 𝐋𝐞 𝐣𝐨𝐮𝐫 𝐝𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐭 𝐝𝐞 𝐥'𝐄𝐦𝐩𝐞𝐫𝐞𝐮𝐫, 𝐡𝐞𝐮𝐫𝐞 𝐩𝐚𝐫 𝐡𝐞𝐮𝐫𝐞 : 8h. Une larme est sortie de l’œil gauche, au coin, du côté de l’oreille. Bertrand l’a essuyée. Arnott s’est étonné que l’Empereur retînt la vie si longtemps. #2021AnnéeNapoléon pic.twitter.com/p3GBZ7Dsix
— Fondation Napoléon (@FondaNapoleon) May 5, 2021
Il grande generale insomma vive il suo anniversario in chiaroscuro nella sua Francia, mentre paradossalmente sembra essere ricordato con meno problemi in Italia, con la quale in vita non fu affatto tenero. “Non manca qualche testo in cui si esprime negativamente sugli italiani: scrive ad esempio di batterli, perché altrimenti diventano infidi – conclude Criscuolo –. Da politico nel 1796 si servì dell’Italia come base personale per la sua carriera politica: fondò le repubbliche italiane contro il volere del direttorio ma poi diede prova di realpolitik cedendo Venezia all’Austria. Sicuramente era deciso a non dare unità e indipendenza alla Penisola, e in questo fu pienamente in linea con la successiva politica francese fino alla seconda guerra d’indipendenza, che fu quella di evitare nello Stato italiano la formazione e il rafforzamento di un vicino troppo ingombrante”.
Comunque la si veda, continuare a destare polemiche e discussioni a due secoli dalla morte può essere anche visto come segno della vitalità di un lascito. “Si tratta di un personaggio che ha sicuramente plasmato la sua epoca, che nel bene o nel male ha creato il mondo in cui viviamo – sintetizza Marco Mondini, docente di storia contemporanea presso l’università di Padova –. Basti pensare all’idea di nazione, che così tanta influenza ha avuto anche in Italia e in Germania, o alla stessa militarizzazione della maschilità, che è stata una delle grandi caratteristiche e dell'identità virile in Europa tra otto e novecento”. Dopo due secoli insomma Napoleone non si arrende: non sarà tanto facile etichettarlo e archiviarlo definitivamente.