CULTURA

Padova in bianco e nero

Una Padova dalle atmosfere rarefatte e immote, che nella fissità di alcune vedute di oltre centocinquanta anni fa – in alcuni casi straordinariamente simili alle attuali – ricorda l’atmosfera dei quadri di De Chirico. O che, attraverso i volti di bambini e ragazzi di un secolo fa, ci fa sentire lo scorrere del tempo in tutta la sua drammatica inesorabilità. che Una città circonfusa di una religiosità concreta e popolare, con qualche lampo di misticismo: è questo il filo rosso che sembra attraversare la mostra Padova Sacra. Arte architettura, religiosità e devozione popolare nell’immagine fotografica, 1850-1931, visitabile fino al 10 novembre nei nuovi spazi espositivi del Museo Antoniano presso la Basilica di S. Antonio di Padova.

L’esposizione, curata dal collezionista e studioso di storia della fotografia Giuseppe Vanzella e coordinata da Alessandro Borgato, consulente della Veneranda Arca di S. Antonio e della Pontificia Biblioteca Antoniana, è realizzata all’interno di Photo Open Up, festival Internazionale di fotografia organizzato dal Comune di Padova e da Arcadia Arte.

Il percorso iconografico sottolinea tutti i fattori inerenti alla vicinanza al divino attraverso i luoghi, gli oggetti, i riti, le persone, visti attraverso lo sguardo oggettivo della macchina fotografica. Una precisa attenzione è anche riservata agli operatori che dietro l’obiettivo hanno avuto modo di costruire una personale dimensione estetica che, nel tempo, è andata a sostituire le modalità della rappresentazione del sacro che fino ad allora era lasciata esclusivamente all’interpretazione di pittori ed incisori.

Tra gli autori presenti il padovano Domenico Bresolin, che con i concittadini Giacomo Caneva e Antonio Sorgato è considerato tra i padri della fotografia italiana. E poi ancora:  Carlo Naya (1816-1882), autore nel 1863 della prima riproduzione degli affreschi giotteschi della cappella degli Scrovegni e considerato tra gli sperimentatori della fotografia all’albumina, Luigi Borlinetto (1827-1904), i celebri fratelli Alinari, il cui primo catalogo con immagini del Veneto (1887) contiene oltre settanta tra vedute, affreschi, dipinti e sculture di Padova...

Del resto, spiega il curatore Giuseppe Vanzella, Padova ha un ruolo speciale nella storia della fotografia: qui infatti – oltre alle figure citate – fu attivo l’abate Tommaso Zannini, insegnante di fisica e di storia naturale presso il Seminario maggiore, considerato uno dei pionieri in Italia della tecnica ideata da Louis-Jacques-Mandé Daguerre (nota come dagherrotipia), mentre all’università si distinsero figure come quella del veronese Francesco Zantedeschi e il suo allievo Antonio Pazienti, tra i primi a studiare dal punto di vista scientifico la possibilità di fissare la luce su un supporto tramite una reazione chimica.

Padova Sacra, ha sottolineato il coordinatore Alessandro Borgato durante la presentazione, è l’ideale continuazione del percorso tracciato dalle precedenti mostre sul Santo com’era e Vincenzo Coronelli, entrambe organizzate quest’anno dalla Veneranda Arca di S. Antonio. “Dopo aver trattato e valorizzato l’antica arte della stampa e l’affascinate arte incisoria – spiega Borgato –, questa mostra riparte laddove si era fermata ‘Il Santo com’era’, ovvero dalla metà del XIX secolo e da questa nuova arte, la fotografia appunto, che per certi aspetti integra e in parte sostituisce l’arte incisoria. Lo sguardo soggettivo dell’artista incisore lascia spazio alla visione oggettiva e documentale dello strumento fotografico e alla sensibilità del fotografo che lo trasforma in arte”.

Il risultato è un percorso che, pieno di rare immagini d’epoca esposte nel loro supporto originale, restituisce la magia di un’epoca in cui l’immagine fotografica era ancora preziosa e non inflazionata. A differenza di un tempo presente in cui – come scrive Vittorio Sgarbi nell’introduzione al catalogo –,  tutti sembrano essere fotografi a tempo pieno. “Sarebbe ingenuo, però, credere  che le rivoluzioni abbiano solo aspetti positivi – scrive Sgarbi –: la perdita da parte della fotografia del suo carattere evenemenziale, come direbbero gli storici, ovvero il suo essere legata a una necessità una ricorrenza, una circostanza comunque fuori dall’ordinario… ha portato a una banalizzazione delle sue pratiche, nei termini di una loro fisiologizzazione (ormai si fotografa affidandosi agli stessi automatismi per cui si mangia, si beve o si defeca”. Una volgarizzazione contro cui la visita a una mostra di questo tipo può costituire un ottimo antidoto.

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