SOCIETÀ

La pandemia ucciderà capitalismo e globalizzazione?

Il suo ultimo libro, anche se trae spunto dai Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, ha un titolo che oggi suona profetico: Sintomi morbosi (Garzanti 2019). Da tempo lo storico Donald Sassoon si interroga sui tempi che stiamo attraversando: “La situazione è confusa ma i fatti sono abbastanza chiari – scriveva in un altro volume pubblicato lo scorso anno –: siamo entrati in un’epoca nuova, diversa dalle precedenti” (L’alba della contemporaneità, Padova University Press 2019).

Sarà proprio il Coronavirus la levatrice di una nuova fase della storia mondiale, caratterizzata dalla fine della globalizzazione e dall’emergere della Cina come potenza egemonica? Lo studioso britannico, contattato da Il Bo Live nella sua casa di Londra, parte dal parallelo fatto da molti con la celebre influenza Spagnola: “La cosa strana è che le conseguenze economiche della pandemia del 1918-19 non furono straordinarie, nonostante colpisse soprattutto i giovani”. Gli anni Venti in effetti furono ‘ruggenti’, mentre la crisi arrivò solo con il crollo del ’29. Stavolta però sarà probabilmente diverso: “A differenza di allora oggi ci sono molti più investimenti nel mondo finanziario: la gente ha titoli, quote nei fondi da cui dipendono le loro pensioni... Per di più la crisi economica, che si aggiunge naturalmente alla pandemia, per ovvi motivi sarà molto più globale”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Elisa Speronello

Questo significa che assisteremo, come qualcuno suggerisce, alla fine della globalizzazione e del capitalismo? “Non penso. La fine del capitalismo vorrebbe dire che ci sono delle alternative, e in questo momento non è così. Ci sono tra l'altro vari tipi di capitalismo: probabilmente quello che riemergerà dopo la crisi sarà un capitalismo meno neoliberale di quello degli ultimi 20-30 anni”.

Come saranno ridisegnati i rapporti di forza a livello internazionale? “È probabile ci sia un’intensificazione di quello che è successo negli ultimi anni, cioè il rafforzamento della Cina a scapito degli Stati Uniti. Questi già da 20 o 30 anni mantengono una supremazia ineguagliata in alcuni in alcuni campi, ad esempio l'utilizzo dei social media e il software, ma quando si parla di industrie manifatturiere la Cina è ormai di gran lunga più avanti, e inoltre può ancora rafforzarsi in tutto quello che riguarda la tecnologia moderna”.

Il capitalismo non finirà perché per il momento non ci sono alternative, ma certo cambierà

Questo non vuol dire che l’ascesa del gigante asiatico non possa incontrare ostacoli e difficoltà: “Più la Cina riesce ad aumentare la sua produzione di manufatti, più avrà bisogno di reperire materie prime. Non c’è poi necessariamente un’assonanza tra la forza economica e quella politica: ad esempio in Europa il primo Paese per forza economica è la Germania, che però non ha una forza politica commisurata”.  È comunque difficile fare delle affermazioni perentorie sul futuro: “Naturalmente essendo storico non sono in grado più di altri di dire quello che succederà. Non credo che comunque ci sarà un’avanzata a livello globale dell’economia pianificata, perché richiederebbe uno stato unico mondiale”. “L'Unione Europea avrebbe potuto in un certo senso dirigere il capitalismo europeo – continua Sassoon – ma la gestione della pandemia sta mostrando chiaramente che è incapace di farlo”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Elisa Speronello

Donald Sassoon nei suoi studi si è occupato anche di cultura di massa e media, alla quale qualche anno fa ha dedicato una monumentale monografia pubblicata in Italia da Rizzoli. Un aspetto decisivo anche in questa quarantena forzata: “La solitudine fisica che stiamo sperimentando non assomiglia a quella che avremmo provato in un’epoca premoderna, perché oggi possiamo essere in comunicazione continua con moltissime persone. Non solo amici e familiari: attraverso Facebook e altri strumenti è possibile avere dei cosiddetti amici virtuali in moltissimi Paesi”.

In futuro quindi avremo con il mondo esterno contatti sempre più ‘virtuali’ e meno fisici? Non necessariamente: “Quando questa pandemia passerà riprenderemo in parte la vita di prima, ma avremo anche imparato che tante cose da casa possono essere fatte da casa. Anche seguire le lezioni all’università o a scuola”. Questo però non significa necessariamente che i contatti e le esperienze fisiche spariranno: “Rimarrà comunque nel futuro secondo me un desiderio di vedere le cose ‘vere’ (…). La gente si dirà che non è necessario andare in ufficio cinque giorni alla settimana, però magari ci andrà comunque tre giorni. Questa è una delle possibilità storiche che possono derivare da questa pandemia”.

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