SOCIETÀ

Persone private della libertà: il difficile cambio al vertice del Garante nazionale

Non solo carceri, questure, commissariati, stazioni e comandi delle forze dell'ordine, ma anche centri per gli immigrati, residenze per le misure di sicurezza (le cosiddette Rems, recentemente istituite dopo la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari) e perfino le residenze per gli anziani. Tutti luoghi nei quali – alle condizioni e nei casi previsti dalla legge, come stabilito dalla Costituzione – le libertà personali possono subire limitazioni: per questo su essi vigila il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, che per la prima volta da quando nel 2016 è divenuto operativo affronta in questi giorni un avvicendamento ai vertici. Con qualche strascico polemico, vista anche la grande autorevolezza acquisita in questi anni dal collegio composto da Mauro Palma (presidente), Daniela de Robert ed Emilia Rossi, che lasciano l’incarico ai nuovi nominati Felice Maurizio D’Ettore, Irma Conti e Mario Serio.

Quando si parla di persone private della libertà di solito si pensa ai detenuti, che ne rappresentano in un certo senso l’esempio più eclatante, che ha portato alla creazione della stessa figura stessa del Garante in seguito anche alla pressione da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) – spiega Emilio Santoro, docente di filosofia del diritto presso l’Università Firenze –. Poi però ci si è resi sempre più conto delle limitazione della libertà in capo ad altri soggetti, come ad esempio le persone trattenute nei centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), per le quali non c’è nemmeno un magistrato di sorveglianza a svolgere una funzione di garanzia”.

Santoro presiede il centro interuniversitario di ricerca L’altro diritto, gruppo interdisciplinare di studiosi che da anni collabora attivamente con il Garante, in particolare contribuendo ad individuare “indici di detenzione” che permettono di riconoscere oggettivamente, al di là delle fattispecie giuridiche applicate, tutte le situazioni di privazione concreta o di limitazione severa della libertà. Un’estensione delle competenze che ha dato un ruolo sempre più centrale all’autorità garante, tanto più dopo che questa è stata designata dalla legge anche quale Meccanismo nazionale di prevenzione della tortura (National Preventive Mechanism - Npm) nell’ambito del Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura (Opcat), nonché organismo nazionale di monitoraggio dei rimpatri forzati ai sensi della Direttiva europea sui rimpatri 115/2008.

Tra gli sviluppi più interessanti c’è stata anche l’estensione delle competenze dell’autorità all’area sanitaria, andando a comprendere i servizi psichiatrici di diagnosi e cura e le residenze sanitarie assistenziali per persone anziane o con disabilità (Rsa), alle quali si sono aggiunti durante la pandemia i luoghi di quarantena (tra cui i cosiddetti Hotel Covid 19). Del resto in un Paese che invecchia ai ritmi dell’Italia la questione del rispetto della volontà delle persone non pienamente autosufficienti è sempre più all’ordine del giorno. È il caso ad esempio della recente sentenza nella quale la Cedu ha condannato lo Stato italiano perché ha ritenuto che una persona anziana sia stata illegittimamente privata della libertà sulla base della volontà amministratore di sostegno. Un problema dunque ben presente, tanto da portare la delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d'Europa (Cpt) a includere le Rsa nel percorso dell’ultima visita periodica in Italia.

Il nodo dei diritti di anziani e disabili

Ciro Tarantino, docente di sociologia dell’Università della Calabria e membro a sua volta del centro L’altro diritto, si occupa proprio della libertà delle persone malate e disabili. “Si tratta dell’ambito sicuramente più innovativo sviluppato dal Garante in questo primo mandato, decisivo anche nel dare una forma specifica all’istituzione e che ha finalmente introdotto come elementi attivi nell’ordinamento italiano grandi documenti internazionali come la Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità (Crpd) del 2006”, spiega il docente.

Arrivarci è stato complesso: “All’inizio gli strumenti mancavano e hanno dovuto essere in qualche modo creati – continua Tarantino, che da anni si occupa tra le altre cose di partizione fra il Noi e il non-Noi e dei processi di disabilitazione sociale, soprattutto in relazione a disabilità, salute mentale e migrazioni –. Il primo passo è stato ad esempio stilare un elenco di questi luoghi: le carceri sono un numero limitato mentre le strutture residenziali sono migliaia, con denominazioni e normative applicabili diverse a seconda della regione. Spesso poi mancano in questi casi provvedimenti specifici come una sentenza o un provvedimento del giudice, ritualizzazioni e formalizzazioni che come per il carcere permettano di indentificare con sicurezza le situazioni di privazione della libertà”. La questione però, rileva il sociologo, prima che giuridica è soprattutto culturale; “Credo che nessuno voglia rinchiudere senza motivo anziani e disabili. Il fatto è che oggi tutto il peso dell’assistenza ricade sulla famiglia: quando questa va in crisi il collocamento in struttura diventa l’intervento apparentemente più semplice e immediato. Finché c’è la volontà dell’interessato nulla quaestio, il problema è se questa manca o non si hanno alternative. Anche perché per assurdo l’istituzionalizzazione è estremamente costosa, dal punto di vista sia economico che personale, rispetto ad altre forme di assistenza e di supporto”.

Sta di fatto che la volontà della persona, anche quando è indebolita, andrebbe rispettata e che la Crpd all’art. 14 stabilisce che non si può essere ristretti nella propria libertà solo a causa della propria disabilità, mentre l’art. 19 riconosce il diritto di ognuno a decidere dove vivere e con chi: “Si tratta di un grande problema per il futuro, che chiama tutta la società a scegliere quale modello culturale di solidarietà adottare, il tipo di comunità che vogliamo essere, che forme di convivenza vogliamo tra le persone”. In questo, sottolinea Tarantino, l’opera svolta dal Garante è stata fondamentale nello spostare l’ottica sul problema: “Prima le condizioni delle persone disabili erano considerate in relazione ai diritti sociali, mentre in questi anni ci si è spostati su una radice più profonda: quella dei diritti di libertà, in quanto tali incomprimibili e non economicamente condizionati. Ed è questo forse il contributo maggiore del primo mandato appena concluso”.

Il nuovo collegio e le sfide ancora aperte

Tanto insomma è stato fatto, tanto però resta da continuare e da approfondire in un percorso in cui si rischiano in alcuni casi addirittura pericolosi passi indietro. “Pensiamo solo alla situazione di sovraffollamento nelle carceri, che comporta un’esecuzione della pena contraria al senso di umanità e che si trasforma in una sorta di tortura effettiva – riprende Emilio Santoro –. Ebbene a questo riguardo nel giro di quest’anno rischiamo di tornare alla situazione che portò alla sentenza di condanna da parte delle Cedu e che fu poi decisiva per arrivare poi all’istituzione del Garante. Pensiamo poi ai processi che finalmente sono partiti con l’istituzione del reato di tortura nel 2017: il governo ha garantito al Consiglio d’Europa che questo non sarà abrogato, intanto però il partito di maggioranza relativa ha depositato una proposta di legge in tal senso”.

C’è poi la malattia psichiatrica e il problema di garantire anche e soprattutto alle persone sofferenti il rispetto dei loro diritti – si avvia a concludere Santoro –. Per quanto riguarda i Cpr sono di queste settimane le notizie delle inchieste delle procure di Milano e Potenza, mentre diversi rischi vengono dalla recente normativa sui rimpatri, incentrata sulla detenzione dei migranti che non versino una garanzia finanziaria di quasi 5.000 euro. C’è infine la questione del trattamento dei disabili in rapporto con le nuove normative che ne prevedono la deistituzionalizzazione, nell’ambito della quale il nuovo collegio del Garante dovrà interagire con il nuovo Garante nazionale dei diritti delle persone con disabilità, ciascuno nell’ambito delle sue competenze. Si tratta insomma di sfide enormi, che per il futuro richiederanno competenze giuridiche, sociologiche e direi anche umane altrettanto grandi”.

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