Non sono solo la guerra e le minacce di Putin ad aver fatto esplodere i costi delle bollette: è questa l’analisi di Fulvio Fontini, docente di economia dell’energia presso l’università di Padova e attuale coordinatore della sottocommissione per il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) nell’ambito della commissione tecnica per il Pnrr presso il ministero per la Transizione ecologica. “I primi aumenti risalgono all’estate 2021, ben prima dell’inizio delle recenti tensioni tra Russia e Ucraina – spiega l’economista a Il Bo Live –. Ce ne siamo accorti negli ultimi giorni soprattutto perché abbiamo visto i rialzi nel mercato di maggior tutela, che dipendono dalle medie dei mesi precedenti: e questa estate, come tutti sappiamo, il prezzo del gas all’ingrosso è stato particolarmente alto”.
C’è chi dice che il prezzo dell’energia è ancora troppo legato a quello del gas.
“In qualsiasi mercato c'è un accoppiamento tra il costo della materia prima e il prezzo marginale, ovvero quello delle ultime unità distribuite del bene prodotto. I mercati dell’energia dipendono sostanzialmente dalle tecnologie utilizzate, che in Italia al margine impiegano soprattutto gas naturale. Ci sono poi anche fattori contingenti: non solo la riduzione delle forniture da parte della Russia ma anche la siccità, che in Europa ha messo in difficoltà tanto le centrali idroelettriche quanto quelle termoelettriche, che hanno bisogno di acqua per il raffreddamento. Anche per questo le centrali nucleari francesi hanno avuto ad esempio una diminuzione del 60% della loro capacità di produzione”.
Ma perché a livello europeo le quotazioni del gas sono stabilite ad Amsterdam?
“A differenza di quanto accade per il petrolio, per il quale il mercato di riferimento è sostanzialmente a livello mondiale, la contrattazione del gas è tradizionalmente divisa in tanti mercati regionali, poco liquidi e con prezzi diversi e spesso diversissimi tra loro. Una situazione determinata dalla situazione delle infrastrutture: negli Usa il gas deriva fondamentalmente dal cosiddetto shale e viene esportato tramite gassificatori, in Europa i gasdotti, che hanno tenuto a lungo i prezzi bassi perché di fatto costringevano la Russia a esportare il gas da noi. In questo contesto l’Olanda e il Regno Unito, per le loro capacità estrattive (soprattutto l’Olanda) e le infrastrutture presenti, erano tradizionalmente tra i mercati con i volumi di scambi più alti e quindi con i prezzi mediamente più bassi. Oggi, anche a causa della guerra e delle difficoltà dei gasdotti Northstream, la situazione è in parte cambiata e può persino accadere che prezzi del mercato TTF olandese siano addirittura meno convenienti di quelli trattati al PSV italiano: negli anni infatti il nostro Paese ha maturato un’elevata capacità di stoccaggio, quindi in questo momento stiamo addirittura esportando. È dunque possibile che in futuro cambino i punti di riferimento per i nuovi contratti, e in parte lo stanno già facendo”.
In tutto questo qual è il ruolo giocato speculazione?
“Non amo questo termine, da un punto di vista economico è più corretto parlare di arbitraggio: quando c’è la possibilità chi opera nel mercato tende ovviamente a massimizzare i profitti. I prezzi alti dell’energia derivano soprattutto dal fatto che il costo marginale della produzione è alto, il che non vuol dire che non si possano implementare regole per cercare di ridurre le bollette. Di norma però queste regole hanno l’effetto di spostare i costi in altre voci oppure rinviarli nel tempo, senza che questo determini un effettivo sgravio per le famiglie. Si rischia anzi di generare un’inefficienza, tale da far aumentare addirittura la spesa”.
Una soluzione può essere il cosiddetto price cap? Perché esserci diffidenza da parte di alcuni Paesi?
“Mettere un vero e proprio tetto ai prezzi genererebbe fondamentalmente un eccesso della domanda e una conseguente mancanza di forniture sufficienti. Il punto non è limitare il prezzo quanto spostare la differenza tra prezzo di mercato e quello limitato, in modo da farla pagare a qualcun altro oppure di rimandarla più in là nel tempo. Questo è il senso proposta spagnola, che è di mettere un limite al prezzo per i consumatori che però non è un tetto ai costi, che verranno recuperati nelle bollette successive quando il prezzo del gas scenderà. Come misura temporanea è condivisibile – solo nella scorsa estate sono stati toccati picchi di oltre dieci volte rispetto al prezzo di partenza – ma se divenisse strutturale generebbe più danni che benefici. Il problema vero rimane quello del costo della materia prima”.
Dunque come risolverlo?
“Agendo sulle tecnologie: investendo su fonti rinnovabili, rete elettrica intelligente e capacità di accumulo, il cosiddetto storage”.
E il nucleare, di cui ogni tanto si torna a parlare? Anche perché, si dice, servirebbe a garantire la continuità della produzione di energia nei periodi in cui sole e vento scarseggiano.
“Se ne parla ma spesso in maniera ideologica. I sistemi energetici in futuro dovranno essere fortemente interconnessi e con grosse capacità di accumulo, dato che le fonti rinnovabili non sono controllabili e quindi ci sarà sempre più la necessità di spostare l’energia nel tempo oltre che nello spazio. Oggi la continuità dell’approvvigionamento e il bilanciamento sono garantiti dalle centrali termoelettriche; quelle nucleari e a carbone però devono restare accese sempre, altre – come alcune tipologie di quelle a gas, soprattutto di piccola taglia – possono essere accese o spente molto velocemente e quindi sono più facili da accoppiare con le rinnovabili. Oggi dobbiamo comunque pensare soprattutto a passare questo inverno e forse anche il prossimo, e le rinnovabili sono quelle in cui il ritorno dall’investimento è più breve. Secondo questa logica serviranno anche uno o più rigassificatori per supplire alla mancata fornitura da parte dei russi. Da questo punto di vista le centrali nucleari non rappresentano una risposta di breve periodo, dato che richiedono almeno 15 anni per essere operative”.
Intanto con il gas come andrà a finire?
“Difficile da dire: sicuramente il suo prezzo sarà più volatile e rispetto a un tempo dovremo abituarci a gestire maggiori scostamenti nei prezzi, esattamente come facciamo oggi con il petrolio. Il che non significa che anche le bollette dei consumatori finali saranno volatili, dato che saranno soprattutto i venditori i ad assumersi il rischio di queste previsioni, utilizzando i mezzi finanziari adeguati. Anche le imprese dovranno imparare a gestire l’energia come componente fondamentale dei propri costi di produzione. L’epoca dei prezzi bassi e stabili è probabilmente finita”.