Luce, trasparenza, nuove tecnologie. È questo il filo rosso che percorre il nuovo allestimento del museo “Morgagni” di Anatomia patologica dell’università di Padova, che è stato inaugurato oggi dopo essere stato rinnovato dal punto di vista strutturale, scientifico e didattico.
Il progetto nasce dalla necessità di preservare un patrimonio scientifico tanto importante e dall’esigenza di tutelare il visitatore. Inizialmente gli esemplari erano conservati in cabine-armadio senza catalogazione, oggi è stato pensato un sistema espositivo innovativo che da un lato rispetta i più rigidi standard di sicurezza e protezione dell’utente e dall’altro valorizza i reperti.
Il nucleo originario dell’attuale museo si deve a Francesco Luigi Fanzago (1764-1836), docente di patologia e medicina legale all’università di Padova, che nel 1808 decise di istituire nella sua abitazione un gabinetto patologico, trasferito a palazzo del Bo nel 1822. Questa prima collezione si arricchì di nuovi preparati e vide ampliati i propri locali grazie a Francesco Cortese (1802-1883), professore di anatomia. Fu tuttavia con Lodovico Brunetti, all’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento, che fu istituito il museo di anatomia patologica, dando vita a una raccolta di reperti patologici da conservare a fini didattici. Nel tempo la collezione continuò a crescere, in particolare grazie alle donazioni di Augusto Bonome (1857-1922) e Giovanni Cagnetto (1874-1943). La sede attuale prese forma dagli anni Trenta del Novecento, quando fu abbattuto l’ex convento di San Mattia e venne costruito l’edificio in cui tuttora si trova il museo e si svolgono attività di ricerca, diagnostica e insegnamento nell’ambito dell’anatomia patologica.
Il nuovo allestimento del museo "Morgagni" di Anatomia patologica. Riprese e montaggio di Elisa Speronello
La collezione comprende reperti con patologie che interessano l’apparato cardiovascolare, il sistema nervoso, l’apparato respiratorio e quello scheletrico, malformazioni del fegato e dell’apparato urinario. Oltre alla sezione dedicata alle malformazioni fetali e alla teratologia. Si tratta complessivamente di 1307 esemplari anatomo-patologici, conservati in formalina o con il metodo della tannizzazione. La maggior parte dei reperti ossei sono conservati a secco. La raccolta offre un quadro delle condizioni di vita e delle malattie che colpivano l’uomo nel Settecento e Ottocento e, allo stesso tempo, danno un’idea dei progressi ottenuti in campo medico nella prevenzione e cura delle malattie.
Ora, nella nuova veste, l’antico dialoga con il moderno attraverso la linearità degli spazi espositivi. La luminosità degli interni, data dalla scelta preponderante del bianco e da uno studio oculato delle luci, dona leggerezza agli ambienti. Le trasparenze del vetro su cui poggiano i reperti consentono prospettive inedite, in una soluzione di continuità tra le scaffalature che diventano quasi impercettibili. Alle pareti i pannelli espositivi in duplice lingua si alternano a immagini d’epoca che raffigurano alcuni dei reperti esposti.
“ I reperti contenuti nel museo di Anatomia patologica si presentano come opere da osservare, da studiare in un’ottica di valorizzazione del patrimonio museale scientifico dell’Ateneo Giovanna Valenzano
Se poi il visitatore vorrà saperne di più, sarà sufficiente prendere lo smartphone e rivolgerlo verso il QR code presente in ogni reperto. O ancora – strumento, quello della realtà aumentata, in fase di implementazione – scaricare una app gratuita per accedere a contenuti multimediali relativi all’oggetto di interesse. In questo modo si potrà conoscere, ad esempio, la storia della “suicida punita”, uno dei reperti più noti del museo che accoglie il visitatore fin dall’inizio del suo percorso: un preparato realizzato con la tecnica della tannizzazione nel 1863 che rappresenta una ragazza di 18 anni trovata annegata sull’argine del fiume che all’epoca scorreva lungo la facciata posteriore del Giustinianeo. Suicida, sembra, per una delusione d’amore. Oppure, davanti alla ricostruzione in stampa 3D del volto di Morgagni, sarà possibile ripercorrere i metodi e gli strumenti che hanno consentito ai ricercatori di ricostruire la fisionomia del grande anatomista.
“Il cambiamento rispetto all’assetto originario del museo – sottolinea Giuliana Tomasella, direttrice del Centro di Ateneo per i Musei – è davvero straordinario e ciò si deve senza dubbio al progetto dell’architetto Peter Paul Eberle. Da un lato ha le caratteristiche dei vecchi musei di anatomia patologica anche per la quantità di reperti di straordinario interesse e valore che vengono presentati e che necessitavano di un allestimento adeguato, dall’altro però si propone anche come uno spazio aperto alla città. Senza contare, infine, la produzione scientifica che da tempo ruota intorno alla collezione frutto del lavoro di Gaetano Thiene, Maurizio Rippa Bonati, Fabio Zamperi, Alberto Zanatta (curatori con l’architetto Eberle del nuovo progetto di allestimento Ndr), oltre a molti altri. È importante difendere il peso scientifico dei nostri musei universitari”. Sulla stessa linea Giovanna Valenzano, prorettrice al patrimonio artistico, musei e biblioteche dell’Ateneo: “I reperti contenuti nel museo di Anatomia patologica si presentano come opere da osservare, da studiare in un’ottica di valorizzazione del patrimonio museale scientifico dell’Ateneo”.