Un recente articolo pubblicato su The New York Times dal titolo Why Older People Managed to Stay Happier Through the Pandemic, Perché le persone anziane sono riuscite a rimanere più felici durante la pandemia, raccoglie alcuni studi, condotti nei primi mesi di pandemia del 2020, secondo i quali gli anziani avrebbero affrontato l'emergenza e la prima fase di isolamento con uno spirito di maggior fiducia rispetto alle giovani generazioni. Scrive Benedict Carey su The New York Times: "For all its challenges to mental health, this year of the plague also put psychological science to the test, and in particular one of its most consoling truths: that age and emotional well-being tend to increase together, as a rule, even as mental acuity and physical health taper off". Partendo in particolare da questa considerazione: "L'età e il benessere emotivo tendono a crescere insieme", Carey propone una serie di studi recenti su anziani ed effetti psicologici della pandemia.
Il primo, condotto nell'aprile 2020 da un gruppo di ricerca del dipartimento di Psicologia dell'università di Stanford, si presenta con un titolo chiaro: I vantaggi dell'età nell'esperienza emotiva persistono anche sotto la minaccia della pandemia Covid-19. Attraverso un sondaggio mirato, su un campione rappresentativo di 945 americani di età compresa tra 18 e 76 anni, sono state valutate la frequenza e l'intensità di una serie di emozioni positive e negative e i partecipanti anziani, pur percependo il rischio dell'emergenza in corso, hanno dimostrato di poter contare su un maggior equilibrio emotivo rispetto ai giovani. Il secondo, The Ups and Downs of Daily Life During COVID-19: Age Differences in Affect, Stress, and Positive Events, condotto dal dipartimento di Psicologia dell'università della British Columbia di Vancouver, ha percorso la stessa strada sostenendo che, nonostante la maggiore vulnerabilità fisica, gli anziani hanno continuato a vivere più sereni rispetto ai giovani, facendosi meno travolgere da ansie, stress e preoccupazioni.
Ad articolo pubblicato, sul sito del noto giornale americano non si sono fatti attendere i commenti dei lettori. Tra i tanti anche quello di Nancy da Philadelphia: "Ho 65 anni e i miei figli ne hanno 28 e 31. Ovviamente sono più felice di loro [...] mi sono sposata, ho avuto figli, ho comprato casa, ho stretto nuove amicizie, ho fatto carriera e ho viaggiato per anni prima che ci fosse una pandemia. E dall'anno scorso lavoro felicemente da un nuovo ufficio in casa che abbiamo realizzato in una delle vecchie camere da letto dei miei figli. La vita è un po' più tranquilla ma non c'è niente di difficile e non mi sento come se mi stessi perdendo qualcosa. I miei figli invece devono affrontare interruzioni nei loro studi e quello che non è sposato sperimenta l'isolamento e la sindrome della capanna nel suo appartamento. Nessuno dei due può fare le esperienze importanti, divertenti e appaganti che ho fatto io alla loro età. Mi sento malissimo per loro e per tutti coloro che sono giovani oggi".
Anche e soprattutto grazie alle esperienze di vita fatte, si sono dimostrati più equilibrati e sereni nella prima fase della pandemia. Ma oggi, a un anno di distanza, gli anziani come vivono questa emergenza che non accenna a esaurirsi? Ne parliamo con Erika Borella, docente presso il dipartimento di Psicologia generale e direttrice del master di II livello in Psicologia dell'invecchiamento e della longevità e della Scuola di specializzazione in Psicologia della salute dell'università di Padova.
Sin dalla prima fase, nel 2020, Borella e i suoi collaboratori si sono interrogati sulle potenziali ripercussioni che la pandemia, e le conseguenti restrizioni, avrebbero potuto avere non solo su diversi aspetti legati al benessere psicologico, ma anche sul funzionamento cognitivo di giovani e anziani. Hanno condotto uno studio intervistando un campione di circa duecentocinquanta giovani e anziani, provenienti da diverse regioni del nostro Paese. "Durante il primo lockdown, eravamo preoccupati delle reazioni che i giovani e gli anziani del nostro Paese avrebbero potuto avere in risposta alle restrizioni adottate per contenere i contagi - spiega - Abbiamo quindi indagato diversi aspetti emotivi, come il tono dell’umore, psicologici, per esempio la solitudine, e cognitivi, come la memoria. Ci siamo anche preoccupati di capire cosa sarebbe successo, sempre a livello emotivo, psicologico e cognitivo, in quello che credevamo potesse essere il periodo post pandemia. Abbiamo infatti ricontattato gli stessi partecipanti, riproponendo gli stessi strumenti utilizzati durante la prima intervista, ad agosto-settembre, e, successivamente, in dicembre. L’obiettivo iniziale era quello di cercare di comprendere, con questo studio longitudinale, gli effetti a breve, da quando ci dicevamo Andrà tutto bene, e a lungo termine della pandemia e delle restrizioni adottate per contenerla, una volta ritornati alla normalità. La pandemia è purtroppo in corso, quindi il nostro studio ha potuto rilevare cosa è successo, a livello emotivo, psicologico e cognitivo, in questo anno e se e in che modo ne abbiano risentito maggiormente i giovani o gli anziani. Siamo rimasti alquanto sorpresi dai nostri risultati, che sono di fatto linea con quelli dello studio condotto nelle prime fasi della pandemia da Laura L. Carstensen (prima autrice dello studio I vantaggi dell'età nell'esperienza emotiva persistono anche sotto la minaccia della pandemia Covid-19, ndr) e, più in generale, con la sua teoria della selettività socio-emotiva. Anche i nostri risultati suggeriscono come i giovani, più degli anziani, siano stati colpiti e abbiano risentito maggiormente della pandemia e delle restrizioni adottate per contenerla. Sono stati i giovani, infatti, ad accusare i cambiamenti più importanti nella loro routine di vita, si sono sentiti soli, hanno riportato di fare molta fatica a dormire -e sappiamo quanto la qualità del sonno sia importante per la funzionalità quotidiana e la qualità di vita-, hanno percepito cambiamenti a livello del proprio funzionamento mentale e cognitivo. Le persone anziane, al contrario, non solo non hanno riportato le difficoltà dei giovani, ma hanno mostrato di essere molto più resilienti ed emotivamente stabili. Questi risultati confermano ancora una volta come, all’aumentare dell’età, vi sia una diversa regolazione delle emozioni, che porta la persona anziana a privilegiare, anche in situazioni stressanti, come questa emergenza sanitaria, le emozioni positive, quelle che possono farla sentire meglio e più felice”.
Ben consapevoli della prospettiva di vita limitata, gli anziani ottimizzano le proprie emozioni, investono il loro tempo scegliendo situazioni che li facciano sentire bene, o “rileggendo” situazioni potenzialmente negative in chiave positiva. “Questo è quello che viene chiamato un guadagno legato all’avanzare dell’età - continua Borella -, che troppo spesso si pensa essere caratterizzata solo da perdite. Ma, attenzione, questo non vuol dire che gli anziani non avessero o non abbiano tuttora paure e preoccupazioni legate alla situazione emergenziale in corso: pensiamo alle ripercussioni che questo periodo ha avuto e avrà sulla salute di questa fascia di popolazione, più a rischio di conseguenze negative se colpita dal Covid-19. A livello emotivo, tuttavia, gli anziani hanno beneficiato di una sorta di vantaggio legato a una miglior regolazione emotiva, che sembra perdurare, e questo anche grazie a uno dei paradossi che caratterizza l'invecchiamento, ossia il paradosso del benessere, secondo cui gli anziani riportano un maggior benessere psicologico rispetto ai giovani. Questi risultati italiani verranno pubblicati, speriamo, a breve”.
“ Gli anziani hanno beneficiato di una sorta di "vantaggio" legato a una miglior regolazione emotiva
"Il giovane si è ritrovato improvvisamente ad affrontare un improvviso e radicale cambiamento nelle proprie abitudini di vita anche sociale che, a causa delle diverse ondate che si stanno susseguendo, non sta rientrando nella normalità. L'anziano, invece, non ha dovuto rivoluzionare la propria quotidianità, ma apportare dei cambiamenti di minore entità, meno importanti rispetto all’adulto, e, comunque, se ne è fatto una ragione. Dalla prima quarantena, gli anziani hanno appreso una nuova modalità di affrontare la quotidianità, anche sviluppando nuove competenze. Nonostante il periodo, che dura ormai da un anno, hanno poi voglia di andare avanti, credono nel futuro e sono motivati. Non so quanti giovani, divorati oggi da uno stress che sembra ormai cronicizzarsi, riescano ad avere lo stesso atteggiamento. Ovviamente, non bisogna dimenticare che vi sono delle importanti differenze individuali. Non per tutti gli anziani è stato ed è così: persone anziane che già prima del lockdown avevano un tono dell'umore deflesso, oppure che hanno subito dei lutti (anche legati al Covid-19), ad esempio, hanno sicuramente risentito maggiormente degli effetti dell'isolamento e di questa emergenza sanitaria".
Non vedendo la fine della pandemia, consideriamo che, ancora e per lungo tempo, gli anziani non potranno frequentare i loro cari e quindi non potranno alimentare le relazioni affettive. Quanto durerà questa loro riserva di resilienza?
"La pandemia ha sicuramente messo la persona anziana di fronte alla difficoltà di mantenere i contatti con i propri familiari, ma questo distanziamento è di natura fisica, non emotiva. Anche in questo ambito, l’anziano è avvantaggiato. L'anziano ha, infatti, interiorizzato i propri affetti, non ha bisogno della loro presenza fisica per sapere che ci sono. Non è così, invece, per i nipoti, per esempio, soprattutto se piccoli. Questo non vuol dire che gli affetti non manchino, ma che, ancora una volta, la gestione di questa separazione è vissuta diversamente dall’anziano rispetto ai più giovani".
Inoltre, questa pandemia ha portato molti anziani ad approcciare e utilizzare la tecnologia: "Quelli che prima consideravano smartphone e tablet come strumenti della e per la generazione dei millenials, quindi una barriera, si sono invece lanciati in questa nuova modalità di comunicazione. C'è stato un incremento nel numero di persone anziane che, proprio grazie alla forte motivazione a rimanere in contatto con i propri figli e nipoti, ma anche con amici, ha iniziato a utilizzare i social e le piattaforme digitali. Hanno imparato a stare nelle relazioni in modi nuovi. Questo è un esempio di resilienza della persona anziana".
E sui "fattori protettivi" Borella aggiunge: "Parliamo sempre in generale, ma ancora una volta, le esperienze di vita dei grandi vecchi, ultraottantenni, per esempio, che hanno vissuto periodi molto simili, se non peggiori di questo, fanno la differenza nel come si possa affrontare una pandemia. Hanno già vissuto e superato altri momenti molto duri e difficili e hanno, quindi, gli strumenti per fronteggiare situazioni complesse come questa pandemia. Gli anziani credono nel futuro e lo accettano; un futuro che è anche un presente, visto la consapevolezza di una prospettiva di vita che non è più illimitata, come quella del giovane. E questo è ancora da ricondurre all’effetto positività, a questa regolazione emotiva più complessa, al privilegiare obiettivi emotivi o di soddisfazione emotiva, riuscendo a regolare le proprie emozioni nel presente, e a una speranza che nei giovani sembra essere più debole. Non si tratta di ottimismo in senso stretto, ma di un diverso modo di vedere e gestire la quotidianità, di selezionare quindi obiettivi che siano significativi e motivanti e che diano senso alla propria vita. L’esperienza accumulata nel corso della propria vita ha permesso di sviluppare dei “dispositivi di protezione emotiva”.
All’aumentare dell’età si privilegiano, quindi, le emozioni positive, magari accompagnandole talvolta a momenti di malinconia, ma facendo prevalere l'ottimizzazione, ossia maggiori stati emotivi positivi e minori negativi. "Questo, in psicologia dell'invecchiamento, viene definito come uno dei guadagni che porta con sé l'avanzare dell’età. In tal senso, sono molto importanti le differenze di obiettivi: i giovani hanno obiettivi conoscitivi, cercano di acquisire competenze ed esperienze. Gli anziani hanno, al contrario, obiettivi emotivi, di soddisfazione personale, e sono meno proiettati verso l'esterno. La persona anziana sa che il tempo a sua disposizione non è infinito, e così modifica le priorità e cerca di dare un significato al presente. Non sappiamo per quanto ancora questa diversa regolazione emotiva supporterà la persona anziana in questa situazione emergenziale, ma ad oggi gli anziani stanno avendo meno ripercussioni negative, questo è evidente".
Concentriamoci sugli anziani che risiedono nelle case di riposo, vale lo stesso discorso anche per loro? Come stanno? "In questo caso la questione è più delicata perché l’interruzione drastica di una routine necessaria e preziosa, che includeva anche le visite dei parenti, ha creato disorientamento, solitudine e tristezza nei residenti. La riapertura ad intermittenza delle Rsa -il potere rivedere i propri cari e poi il non poterli vedere più-, i focolai che hanno colpito le Rsa, con contagi non solo tra gli anziani ma anche tra gli operatori stessi, ha messo a dura prova le persone anziane. A risentirne sono state e sono soprattutto le persone più fragili, con demenza avendo difficoltà a capire certi cambiamenti, ad accettare i dispositivi di protezione individuale".
“ La persona anziana modifica le priorità e cerca di dare un significato al presente
Ci sono anziani autonomi, altri più fragili, con un disturbo neurocognitivo come la demenza che risiedono in strutture, ma non ci dobbiamo dimenticare di tutte quelle persone con demenza che vivono a casa propria, con un caregiver, un familiare, che se ne prende cura. Per questi ultimi, la prima ondata, e il nuovo anno, hanno comportato momenti difficili. Le famiglie si sono trovate, infatti, tutto a un tratto, a gestire la persona con demenza senza più potersi appoggiare ai preziosi servizi territoriali.
"Uno studio appena pubblicato su Frontiers in Aging Neuroscience ha avuto proprio l’obiettivo di comprendere quanto la prima ondata di pandemia, e le relative restrizioni, abbiano influito non solo sulla sintomatologia della persona con demenza, ma anche sui vissuti dei familiari che se ne prendono cura, e in particolare sullo stress legato al lavoro di cura. In questo studio, condotto in collaborazione con l'Istituto per Servizi di ricovero e assistenza agli anziani, Israa di Treviso, abbiamo trovato come anche nei caregivers di persone con demenza la resilienza sia un fattore protettivo e vincente: durante il primo lockdown, i caregivers più resilienti, coloro che hanno percepito di avere risorse per adattarsi ai cambiamenti che la quarantena ha comportato nella routine di cura del proprio caro con demenza, hanno riportato meno cambiamenti negativi, rispetto a prima della pandemia, a livello dello stress che i disturbi comportamentali che caratterizzano la patologia del proprio caro con demenza possono provocare. In generale, è da sottolineare come non vi sia stato un aggravarsi, tra prima della pandemia e durante il lockdown, dei disturbi comportamentali della persona con demenza, e del relativo distress esperito dai caregivers che se ne prendono cura; questo è probabilmente dovuto al fatto che i caregivers delle persone anziane con demenza coinvolti nello studio, per la maggior parte congiunti e in alcuni casi altrettanto anziani, hanno potuto sfruttare e beneficiare durante il lockdown, e in assenza della usuale rete di supporto, di strumenti, buone prassi e strategie per una gestione efficace e di qualità del proprio caro con demenza, acquisiti dai servizi territoriali cui afferivano prima della pandemia".
Giovani e anziani, due modi differenti di vivere la pandemia, dunque. Per permettere alle diverse generazioni di confrontarsi anche su questi argomenti, forse si dovrebbero favorire incontri, ora virtuali ovviamente, orientati al dialogo e allo scambio intergenerazionale. Potrebbe rivelarsi una risorsa?
"Lo scambio intergenerazionale è un valore aggiunto e l'anziano sa bene quanto questo possa rivelarsi prezioso - commenta Borella - Il problema qual è? Può sembrare un elemento non rilevante, ma la visione stereotipata che si ha dell'invecchiamento costituisce una barriera quasi insormontabile per una società che ha come punto di riferimento il funzionamento e l’efficienza che caratterizzano l’adulto. Il discostarsi dagli standard del giovane veloce, smart, bello, comporta un insuccesso. Il primo passo è quello di fare cultura sull’invecchiamento, favorire una cultura pro-aging e non anti-aging, in cui si smantellino pregiudizi e credenze negative, per mettere in evidenza che l'invecchiamento non porta solo svantaggi ma anche guadagni, e che l’anziano può essere una risorsa importante per la società. Tutte le politiche sociali dovrebbero cercare di diffondere questa nuova visione, perché alla fine, l'alternativa al non invecchiare non è così rosea. Invecchieremo tutti. In tal senso, è fondamentale anche fare prevenzione. Una prevenzione che dovrebbe iniziare già a partire dai 55 anni. Come ci si sottopone a regolari controlli medici, per esempio agli esami del sangue, è fondamentale aderire anche a screening che permettano di controllare la funzionalità delle proprie abilità mentali e il proprio benessere psicologico, per poi iniziare percorsi di potenziamento di questi aspetti. La prevenzione è una delle mission del Servizio di psicologia dell'invecchiamento del Centro ateneo dei Servizi clinici universitari psicologici dell'università di Padova, che, tra altre iniziative, propone anche screening del funzionamento mentale e del benessere psicologico e successivi percorsi di potenziamento di questi aspetti".
"Ora stiamo conducendo uno nuovo studio per individuare i fattori di protezione, quei fattori che ci permettono di reagire e ci proteggono dagli effetti negativi di questa pandemia, o altre situazioni “emergenziali” come questa - conclude Borella -. In particolare, stiamo studiando la regolazione emotiva, le strategie di coping, ovvero di risoluzione dei problemi, la speranza, la personalità in giovani e anziani. Questo per poi sviluppare interventi che promuovano i fattori di protezione e quindi il benessere dell’individuo".
“ Lo scambio intergenerazionale è un valore aggiunto e l'anziano sa bene quanto questo possa rivelarsi prezioso