Aerei a terra, auto in garage, navi attraccate nei porti, e i cantieri chiusi. Il recente lockdown ha rappresentato un’opportunità mai avuta prima nel ridurre, per molto tempo e su larga scala, i rumori prodotti dall’uomo, non solo in superficie ma anche nella terra, nel sottosuolo. Infatti il nostro pianeta vibra in modo costante, a volte con grande intensità, e in genere ce ne accorgiamo con il terremoto, ma più spesso lo fa in modo impercettibile. Anche le attività umane che avvengono sulla superficie terrestre generano delle onde sismiche che gli strumenti sismografici possono rilevare anche a grande distanza. Un team di ricercatori internazionale, capeggiati da Thomas Lecocq, ha pubblicato uno studio, dal titolo Global quieting of high-frequency seismic noise due to COVID-19 pandemic lockdown measures, che dimostra quanto il lockdown globale abbia ridotto l’ampiezza dei rumori sismici. Ne abbiamo parlato con uno dei ricercatori che ha preso parte alla ricerca, il professore Andrea Cannata dell’università di Catania. Il professor Cannata, insieme al ricercatore Flavio Cannavò dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania (INGV) si è occupato di analizzare i dati provenienti da una cinquantina di stazioni sismiche italiane.
In termini generali durante il lockdown si è registrata una diminuzione dell’ampiezza del rumore sismico di origine antropica di circa il 50%. I dati variano a seconda della stazione sismica che si prende in considerazione, se è posizionata in zone densamente popolate la diminuzione è stata più sostenuta, mentre nelle aree meno popolate la riduzione è stata meno evidente. Il trend italiano segue quello mondiale, anche se, in luoghi come il nostro Paese, la Cina e Francia, densamente popolati e caratterizzati da politiche di contenimento del contagio piuttosto forti, le riduzioni sono state più marcate. Un altro risultato sorprendente della ricerca di Lecocq riguarda la correlazione tra i dati della mobilità umana durante il lockdown, forniti da Google, Apple e altre aziende, per capire l’efficacia delle misure messe in atto, e i dati raccolti dalla ricerca sul rumore sismico antropico. I dati portano agli stessi risultati, dimostrando quindi che attraverso il monitoraggio sismico si possono ottenere informazioni circa le attività umane.
Intervista integrale al professore Andrea Cannata dell'università di Catania. Servizio di Elisa Speronello
La ricerca del team di Lecocq è importante sotto vari aspetti. In primis perché, delineando il più precisamente possibile il rumore antropico, si aiuta il monitoraggio sismico, il monitoraggio del terremoti e delle aree vulcaniche, a stimare correttamente “l’hazard sismico”, ovvero la pericolosità sismica. Inoltre, le aree di studio che sono normalmente ostacolate dal rumore urbano, potrebbero diventare in questo modo il bersaglio per il rilevamento della microsismicità o per il miglioramento dell’immagine del sottosuolo. Sottolinea il professor Cannata: “è fondamentale studiare anche i piccolissimi terremoti: possono aiutarci a stimare meglio la pericolosità sismica di un’area, che poi è importante per migliorare il monitoraggio, per mitigare il rischio, e così via”.
In modo più indiretto la ricerca può diventare la base da cui partire per affrontare altre domande, per esempio per capire se i processi terrestri vengono influenzati dalle vibrazioni prodotte dall’uomo, o se il monitoraggio sismico può diventare un’alternativa valida ed economica al monitoraggio delle attività antropogeniche e ambientali. Infine la ricerca dimostra, ancora una volta dopo la collaborazione in campo medico, il suo orizzonte globale: le attività di ricerca sono state riorganizzate, a causa della chiusura dei confini, in modo che i ricercatori, in totale 76, provenienti da 27 paesi dislocati in cinque continenti diversi, potessero lavorare insieme su dati condivisi. Gli autori hanno condiviso il manoscritto su piattaforme di editing pubbliche (come Drive, Slack) permettendo a tutti i membri della comunità di contribuire.