SCIENZA E RICERCA
Uguaglianza di genere: un equilibrio precario tra lavoro e vita privata
L'uguaglianza di genere, ossia la condizione in cui uomini e donne hanno gli stessi diritti, opportunità e riconoscimenti, è un traguardo ancora lontano. Un rapporto del World Economic Forum ha sottolineato che, al ritmo attuale, ci vorranno 134 anni per raggiungere una completa parità di genere. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, le donne svolgono in generale più lavoro part-time, hanno posizioni di lavoro più precarie, meno opportunità in posizioni dirigenziali o di leadership e guadagni più bassi. Caso particolarmente emblematico è quello italiano: secondo il Gender Equality Index, l’Italia si classifica ultima in Unione Europea per quanto riguarda l’indice specifico di uguaglianza di genere sul posto di lavoro, che include partecipazione lavorativa, segregazione lavorativa e qualità del lavoro.
La domanda, quindi, sorge spontanea: quali sono i fattori che determinano questa disparità? Per cominciare, dobbiamo considerare che l'origine della disuguaglianza sul lavoro e' da ricercare fuori dal lavoro, nella vita privata delle persone. Le donne tendono infatti ad occuparsi maggiormente del lavoro di cura, sia di bambini che di anziani e avere lavori part-time che consentono loro di occuparsi di ciò. Questo fa sì che le donne guadagnino meno, accumulino meno risparmi e abbiano minori opportunità di avanzamento di carriera rispetto agli uomini.
Come riportato da Claudia Goldin, premio Nobel per l’economia nel 2023, anche se sono enormi i progressi fatti in ambito di uguaglianza di genere, il lavoro di cura resta uno dei fattori che impediscono alle donne di progredire in ambito lavorativo. Infatti, le donne ormai hanno pieno accesso all’istruzione, alti livelli di scolarizzazione e una più ampia partecipazione nelle materie STEM rispetto al passato. Ciò però, non basta: la norma sociale che vede le donne come coloro che dovrebbero svolgere il lavoro di cura crea una discrepanza importante rispetto alle opportunità lavorative tra donne con figli e tutte le altre persone, fenomeno che prende il nome di Motherhood Pay Gap (Cukrowska-Torzewska et al., 2020).
Come si manifesta questa discrepanza? Un esempio concreto è dato dai congedi parentali: le donne sono più propense degli uomini a prendere un congedo parentale dopo la nascita del primo/a figlio/a e uno studio di Olsson e colleghi (2023) mostra che questa asimmetria si conferma in tutti i 37 paesi analizzati. Contestualizzando ciò alle norme tradizionali relative alla cura, è interessante notare che la discrepanza di stipendio tra uomini e donne che si verifica dopo la nascita del/la primo/a figlio/a non riguarda solo i primi anni di vita del/la bambino/a, come potrebbe essere intuitivo pensare, dato il ruolo della madre legato alla gestazione, al parto e all’allattamento, ma si protrae (e persino aumenta) nel tempo (World Economic Forum, 2016).
L'associazione tra donna e cura emerge in modo spontaneo e accompagna le donne per tutta la vita. Questa associazione, che vede le persone percepite come calorose e accudenti spesso considerate meno competenti (vedi articolo Il Bo Live di Tumino e Valmori), ha un impatto significativo sulle prospettive di carriera delle madri. Un esempio lampante è uno studio di Correll e colleghi (2007), che dimostra come le madri siano valutate come meno competenti rispetto agli uomini e alle donne senza figli. Quando viene chiesto di esaminare i curriculum vitae di donne con e senza figli, le madri ricevono offerte di stipendio iniziale più basse, anche se i curriculum sono identici.
Le conseguenze delle norme di genere legate alla cura sono emerse in modo saliente durante la pandemia da Covid-19, in cui i confini tra vita lavorativa e privata di uomini e donne sono diventati, in molti casi, estremamente sfumati. Un sondaggio di Eurofound (2021) mostra che, a differenza degli uomini, le donne con figli che lavoravano in teleworking durante la pandemia hanno riportato di aver avuto più difficoltà a concentrarsi, hanno percepito che il lavoro interferisse con il tempo dedicato alla famiglia e che la famiglia interferisse con il tempo dedicato al lavoro. Sulla stessa linea, un articolo pubblicato su Science (Collins, 2020) ha mostrato che le donne nella scienza hanno prodotto meno articoli scientifici durante la pandemia, mentre la produttività degli uomini è rimasta invariata. Uno altro studio, di Saxler e colleghi (2024) che ha coinvolto oltre 8000 persone provenienti da 15 paesi diversi, ha mostrato che la pandemia ha estremizzato ulteriormente le opinioni sul lavoro domestico non retribuito: i partecipanti pensano che le madri dopo la pandemia facciano ancora più lavoro domestico e cura dei figli rispetto ai padri, soprattutto in paesi con un più alto livello di disuguaglianza di genere.
E gli uomini? Anche se fino a qui il discorso si è focalizzato principalmente sulle donne, gli uomini non sono esenti dagli effetti dannosi delle norme di genere in ambito lavorativo. Negli uomini, però, queste norme sono pressoché opposte. Mentre le donne tendenzialmente lavorano meno ore e hanno più contratti part-time, gli uomini lavorano in media più ore e hanno meno tempo da dedicare alle attività di cura. Questo, ovviamente, ha un effetto positivo sullo stipendio degli uomini, ma ha un impatto negativo sul loro benessere (vedi articolo di Di Michele su Il Bo Live). Un articolo di Van Laar et al. (2024) riassume le ripercussioni delle norme di mascolinità tradizionale sul benessere degli uomini. Gli ideali di mascolinità tradizionale impongono ai lavoratori di evitare di mostrare debolezza o chiedere aiuto, promuovendo invece un atteggiamento di forza, resilienza e mentalità competitiva. Queste norme favoriscono una cultura in cui il lavoro ha la massima priorità, incoraggiando orari di lavoro più lunghi e una maggiore dedizione, mentre orari di lavoro più contenuti, contratti part-time o flessibili sono spesso considerati inappropriati per gli uomini. Questa mentalità rende più difficile per gli uomini dedicarsi alle attività domestiche o raggiungere un equilibrio vita-lavoro soddisfacente. La cultura iper-competitiva non è quindi dannosa solo per i gruppi tipicamente discriminati (come donne o minoranze etniche, culturali o di genere), ma anche per gli uomini eterosessuali, a cui viene richiesto non solo di aderire a queste norme, ma anche di apprezzarle.
Quindi, le norme sociali che prescrivono come donne e uomini dovrebbero essere e comportarsi, sono dannose per entrambi. Come possiamo agire?
Per affrontare queste sfide e promuovere una maggiore uguaglianza di genere sia al lavoro che nella vita privata, è fondamentale uno sforzo congiunto da parte di individui, aziende e istituzioni. Le politiche di congedo parentale retribuito, sia per uomini che per donne, flessibilità lavorativa e supporto per l'infanzia sono cruciali per aiutare le persone a rimanere nella forza lavoro, avanzare nelle loro carriere e mantenere il loro benessere (Andersen, 2018). Inoltre, è essenziale coinvolgere gli uomini nella discussione sull'uguaglianza di genere (Van Laar et al. 2024), promuovendo una cultura lavorativa che non metta soltanto al centro l’aspetto di competizione e performance, ma che valorizzi anche un sano equilibrio vita-lavoro per dare la possibilità, sia a uomini che donne, di condividere le responsabilità familiari e di dare valore al loro tempo libero.