CULTURA

Venezia 1600. Vita girovaga d'un avvocato teatrante, Carlo Goldoni

Sono nato a Venezia, nell’anno 1707, in una casa grande e bella, situata fra il ponte dei Nomboli e quello della Donna Onesta, all’angolo della calle di Ca’ Cent’anni, sotto la parrocchia di San Tomà
Mémoires de M. Goldoni pour servir à l'histoire de sa vie et à celle de son théâtre

Carlo Goldoni si racconta nelle memorie scritte in vecchiaia, durante il suo soggiorno francese, e pubblicate a Parigi nel 1787. Il celebre autore teatrale mette in scena così anche la propria vita – “sì poco interessante” –  facendo spettacolo vicende già in realtà tutt’altro che noiose. Perché il veneziano Carlo, che costruì la sua fama anche sul forte legame che lo stringeva alla sua città natale, affrontò la vita con un vagabondare irrequieto fin dall’infanzia, sulle orme di un padre viaggiatore, fra alti e bassi, fortune e miserie. 

Il nonno Carlo Alessandro, modenese appassionato di teatro, si era trasferito in laguna con l’incarico di notaio presso il Magistrato dei Cinque Savi alla mercanzia; il padre Giulio, che esercitava l’arte della medicina senza però aver conseguito la laurea, aveva sposato la madre di Carlo, Margherita Savioni, e a lei e zia Marietta lasciava il figlioletto durante i suoi peregrinare. 

Carlo seguì il padre a Perugia quand’era ancora un bambino di sette anni, e lì iniziò gli studi di grammatica e retorica, e v’incontrò il teatro, in una rappresentazione di Girolamo Gigli. Fu poi a Rimini per lo studio della filosofia e a Chioggia, quindi a Venezia: era praticante in quella città, nello studio legale dello zio Giampaolo Indric, quando fu ammesso al collegio Ghislieri di Pavia con una borsa di studio concessa dal marchese Pietro Goldoni Vidoni, protettore della famiglia. Nel gennaio del 1723, dopo essersi sottoposto a tonsura, Carlo poté finalmente frequentare il prestigioso collegio pavese e seguire i corsi di giurisprudenza, pur vedendo accrescere un interesse per le letture teatrali e i componimenti poetici. Ma proprio a causa di una poesia licenziosa sulle donne della città, da lui composta, il ragazzo venne espulso dal collegio nel 1725.

Tornò allora a Venezia, quindi seguì un corso di diritto a Udine e poi, nel 1727, s’iscrisse all’Università di Modena col proposito di laurearsi in diritto, ma vi rinunciò quando trovò un impiego come aggiunto del coadiutore del cancelliere criminale di Chioggia e nella cancelleria di Feltre.

Nel 1731 il padre morì, quarantasettenne; Carlo prese la decisione di “mettere la testa a posto”, concludere finalmente i suoi studi in legge e tentare la strada dell’avvocatura a Venezia. Ma per far ciò, usò a proprio vantaggio regolamenti universitari particolari, piegati in modo tale che, con l’aiuto dell’avvocato Francesco Radi, riuscì a laurearsi in diritto in soli sei mesi in Collegio Veneto giurista a Padova
In realtà, racconta Goldoni nelle sue Memorie, “Per essere ammesso all’avvocatura a Venezia bisognava prima di tutto ottenere la laurea all’Università di Padova” e quindi “bisognava avervi trascorso cinque anni consecutivi con certificati che attestassero la frequenza”. Un tempo molto lungo, dunque, che il nostro evitò millantando una cittadinanza foresta, ereditata (forzatamente, a dire il vero) per via paterna, al fine di ottenere la possibilità di affrontare in pochissimo tempo l’esame di laurea a Padova: infatti “gli stranieri possono presentarsi al collegio per sostenervi la tesi e laurearsi senza indugio”, quindi senza dover frequentare. Eccolo allora, “oriundo modenese”, presentarsi il 21 ottobre 1731 alla sessione di laurea senza aver messo piede in alcuna aula per seguire lezioni, e addirittura (così almeno lui racconta) dopo una notte insonne passata al tavolo da gioco in compagnia dell’avvocato Radi. Goldoni più tardi avrebbe raccontato nelle sue Memorie, con la sua consueta teatralità, lo svolgimento dell’esame, che andò a buon fine.

L’anno successivo venne nominato avvocato del foro veneziano e in quella stessa estate del 1732 produsse un intermezzo per la compagnia dell’Anonimo Buonafede Vitali. Da quel momento la professione legale si sarebbe sempre intrecciata con l’attività di autore teatrale, lasciando via via sempre più spazio alla seconda.

Neppure il suo proposito di fermarsi a Venezia durò a lungo. Forse per sfuggire a una promessa di matrimonio azzardata, si mosse verso Vicenza, Verona, Brescia, Bergamo per sostare per qualche tempo a Milano, dove prepara diversi pezzi teatrali. Si spostò quindi a Crema, e Parma, quindi di nuovo Brescia e Verona, per far ritorno a Venezia, dove iniziò a fare da librettista per i Tetari Grimani di San Samuele e San Giovanni Grisostomo.

Nel 1736, a Genova, sposò la giovane Nicoletta Connio e di lì a poco scrisse l’intermezzo per musica La bottega da caffè; negli anni subito successivi continuò nella sua produzione per i teatri veneziani; per il carnevale del 1738 a San Samuele venne rappresentata la sua prima commedia, Momolo cortesan
Venne nominato console della Repubblica di Genova a Venezia nel 1740, e solo 4 anni dopo si ritrovò ad abbandonare nuovamente la città in tutta fretta perché caduto in un imbroglio che l’aveva gettato nei debiti, probabilmente accumulati a causa del fratello Giampaolo. Si trasferì dunque con la moglie a Bologna e Rimini, dove diventò direttore degli spettacoli teatrali durate l’occupazione austriaca. Già alla fine del 1744 il suo girovagare lo portò in molte città toscane, in cui svolse talora l’attività di avvocato, talora quella di uomo di teatro; fu allora che approntò, fra le altre commedie, anche il Servitore di due padroni e Il figlio di Arlecchino perduto.

Dopo cinque anni di assenza tornò a Venezia, dove mise in scena La vedova scaltra e sottoscrisse impegni che lo legarono per quattro anni al lavoro di commediografo; di questo periodo ricordiamo l’Arcadia in Brenta, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, La famiglia dell’antiquario, L’avvocato veneziano, Il bugiardo, I pettegolezzi delle donne, Il Molière, e molti altri lavori. Nel 1752 firmò un contratto che lo legò per dieci anni al teatro veneziano di San Luca, ma che gli permise allo stesso tempo di continuare nel suo vagabondare a seguito dei comici, a Bologna, Milano. Modena, Reggio; è del 1753 la prima assoluta de La locandiera. 

In questo periodo però, le fortune si rivelano alterne non solo nel suo lavoro ma anche nella sfera personale, segnata da una grave malattia nervosa. Nonostante questo, la sua produzione continuò copiosa e a Carlo venne rinnovato il contratto con Francesco Vendramin. Il suo nome era ormai conosciuto non solo in Italia, ma anche all’estero, tanto che nel 1757 a Parigi Denis Diderot venne accusato di aver plagiato Il vero amico di Goldoni nella sua opera Fils naturel. Nel frattempo, il nostro soggiornò e lavorò a Parma e Roma, dove rese omaggio a Clemente XIII; approntò poi diverse commedie, fra cui anche le celeberrime I rusteghi, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte e Una delle ultime sere di carnevale.
 

Nell’agosto del 1762, Carlo Goldoni era a Parigi, ingaggiato dal Théâtre Italienne. Lì venne nominato insegnante di italiano delle figlie di Luigi XVI e dovette trasferirsi a Versailles. Fu a Parigi di nuovo nel 1769 e, fra il 1775 e il 1780 di nuovo a Versailles in qualità di precettore delle sorelle del re. Negli anni successivi Goldoni si dedicò alla stesura delle sue Mémoires, pubblicate nel 1787.

In seguito alla caduta della monarchia francese, Goldoni perse la propria pensione reale e cadde in uno stato d’indigenza. Morì a Parigi in povertà nel febbraio del 1793, alla soglia degli 86 anni.

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