SOCIETÀ

Voto europeo: il sovranismo non sfonda ma l’UE non convince

Dopo una lunga attesa la prova del fuoco è arrivata. In Italia (anche se non solo) le elezioni per il Parlamento Europeo vengono lette soprattutto in un’ottica nazionale: da questo punto di vista il dato politico più importante è l’affermazione epocale della Lega, che guadagna 28 punti percentuali (dal 6,2 a oltre il 34%) rispetto alle scorse consultazioni europee, raddoppiando le percentuali rispetto alle politiche dell’anno scorso e mettendo in seria difficoltà gli alleati del Movimento  5 Stelle, che perdono 4 punti rispetto a cinque anni fa (passando dal 21 al 17%) e soprattutto registrano un crollo rispetto al 2018. Il Partito Democratico perde quasi 18 punti ma in fondo tira un sospiro di sollievo: il confronto con le ultime elezioni parlamentari infatti indica un significativo recupero.

Se a livello italiano il confine tra vincitori e vinti è piuttosto netto, il quadro si complica se ci spostiamo a una prospettiva sovranazionale. Nel nuovo Parlamento Europeo il Partito Popolare Europeo (attestato al 23,97% a livello continentale) e l’Alleanza dei Socialisti e dei Democratici (19,44%) perdono voti e seggi; i liberali dell’ALDE (che comprendono anche Renaissance, espressione del partito di Macron), guadagnano e si attestano 14,51%. Seguono i Verdi (di poco sopra il 9%), i Conservatori dell’ECR (a cui aderisce Fratelli d’Italia) con il 7,86%, gli euroscettici di Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF, 7,72%), di cui fanno parte la Lega e il Front National di Marine Le Pen, il gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta (EFDD, 7,19%), cui aderisce il Movimento 5 Stelle, e la Sinistra del GUE/NGL con il 5,19%. Un quadro complesso e di non facile lettura.

Che influenza avrà il voto sulle dinamiche nel continente? “Ci sono segnali positivi come l’aumento dell’affluenza complessiva, con l’Italia in controtendenza – è il commento di Carlo Fumian, docente di storia contemporanea presso l’università di Padova –. A livello di risultati adesso gli equilibri politici sono senza dubbio più fragili, ma non c’è stato il temuto sfondamento da parte dei partiti sovranisti. Anche qui però l’Italia si distingue rispetto ai partner europei”. Una situazione che lascia aperte diverse questioni: “Questi risultati vanno messi in relazione con dinamiche internazionali ben più inquietanti. Non c’è stata solo l’elezione di Trump nel 2016: solo nelle ultime settimane abbiamo assistito alla netta affermazione di Narendra Modi alle elezioni indiane e alla vittoria degli ultraconservatori in Australia. A livello mondiale il trend sembra essere questo, e consideriamo che il nazionalismo cresce anche in Cina”.

Da questo punto di vista, si potrebbe quasi dire che a livello europeo ci sia stata una sostanziale tenuta della formazioni tradizionali: “Per il momento potremmo dire che l’abbiamo scampata, ma questo non può non farci vedere lo scontro in atto su scala globale, tra chi vuole una società aperta e i sostenitori delle società chiuse. Che sono molto più conflittuali, sia a livello interno che esterno”. Una tendenza ineluttabile? “In Paesi come la Germania e la Svezia c’è stata la netta affermazione dei Verdi – spiega Fumian –. In generale però i movimenti nazionalisti ed etnocentrici danno risposte che nel breve termine appaiono più convincenti, hanno trovato una narrazione che al momento manca ai partiti europeisti. E il nocciolo di questa narrazione, che convince gli elettori ‘sovranisti’, è una nuova versione dello statalismo assistenziale. Gli elettori di questi partiti chiedono ‘protezione’. Attenzione però perché un eventuale gruppo sovranista nel Parlamento Europeo sarebbe comunque diviso al suo interno; pensiamo solo all’atteggiamento verso la Russia: quello dei francesi e degli italiani è molto diverso da quello dei polacchi”.


LEGGI ANCHE:


Una questione, quella della scarsa omogeneità dei vari gruppi politici, che lascia perplesso anche Antonio Varsori, storico e docente a Padova di relazioni internazionali, che però allarga il discorso: “La mia sensazione è che, al di la delle valutazioni immediate che sentiamo in queste ore, si tratterà di un Parlamento molto variegato, ma anche molto frammentato al suo interno. Forse non c’è alternativa a una sorta di ‘grande coalizione’ in contrapposizione ai sovranisti, ma mi chiedo come questa potrà dare risposte ad alcuni grandi problemi emersi negli ultimi anni”. Proviamo solo a pensare alle scelte economiche: “Alcuni di questi ‘partiti’ europeisti sono favorevoli alle tradizionali linee di rigore, altri invece hanno visione diversa; alcuni sono tendenzialmente neoliberisti, altri (prendiamo i Verdi) decisamente no. Inoltre anche al loro interno queste formazioni sono molto più disomogenee rispetto a una volta: la posizione sull’immigrazione della CDU e della CSU tedesche, per quanto cambiate negli ultimi due anni, rimangono diverse da quelle del partito di Orban, che a sua volta è stato sospeso dal PPE qualche settimana fa”.

In un quadro così complesso sarà possibile ridiscutere i vincoli di bilancio, come auspica il governo italiano? “Tanto dipenderà dagli equilibri tra i singoli Paesi, tra loro e al loro interno – continua Varsori –. Anche Macron negli ultimi mesi ha fatto una serie di scelte che non vanno nel senso della limitazione delle spese. In Germania anche i Verdi si schiereranno dalla parte del rigore? Nessuno al momento può saperlo”. Intanto il presidente francese Macron si è già sentito con Angela Merkel e con il premier spagnolo Sánchez: In questo conteso l’Italia rischia di rimanere isolata? “È tutto molto complicato perché dipende dallo stretto intreccio tra i problemi interni dei singoli Paesi e gli equilibri nell’UE. Certamente c’è un interesse di alcuni a mantenere gli attuali equilibri, ma alle spalle questi signori hanno una situazione di forza o di debolezza? Merkel andrà certamente avanti, anche se indebolita; anche Macron appare meno forte, ma il sistema istituzionale francese gli consente certe posizioni anche senza consenso interno. L’unico a essersi rafforzato è il PSOE spagnolo, in attesa però che si ripresenti il problema catalano. Al momento insomma si tratta più di un’unione di debolezze che di forze: può funzionare, ma fino a quando?”.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012