SCIENZA E RICERCA
Agricoltura "tech" e bio-sostenibile
Stando ai dati dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), a livello globale le emissioni di gas serra nel settore dell’agricoltura hanno avuto un sensibile incremento negli ultimi 50 anni. Si è passati infatti da 2,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente emessi nel 1961 a 5,3 nel 2012, con un possibile ulteriore aumento del 30% rispetto alla media del decennio 2001-2010 se non si interviene. Nel comparto agricolo pratiche come l’agricoltura cosiddetta “conservativa” e “di precisione”, ad esempio, sono note per consentire una minor emissione di gas serra rispetto ai metodi tradizionali. E i progetti di ricerca e sviluppo che si muovono in questa direzione non mancano, come Life-Agricare finanziato dall’Unione europea e coordinato da Veneto agricoltura, a cui partecipano anche l’università di Padova, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e la società Maschio Gaspardo.
Ma cosa differenzia le tre forme di coltivazione? L’agricoltura tradizionale innanzitutto si caratterizza per una lavorazione energica del terreno fatta con l’aratro che ha la caratteristica di interrare tutto ciò che sta in superficie e dunque anche i residui colturali, favorendo fenomeni erosivi e di compattazione. Prevede semine, concimazioni a dosi uniformi, riduce il contenuto di sostanza organica ed è responsabile di elevate emissioni di anidride carbonica. Al contrario, l’agricoltura cosiddetta conservativa prevede l’adozione di tecniche di lavorazione che “disturbino” il meno possibile lo strato di terreno lavorato. Viene eliminato l’aratro per far posto ad attrezzature che lasciano in superficie i residui colturali e alterano in modo minimo il suolo. In questo modo il terreno è più resistente all’erosione, più ricco di sostanza organica, che implica anche una minor necessità di fertilizzanti, è più poroso e possiede una maggiore biodiversità. L’agricoltura di precisione infine è una pratica tecnologicamente avanzata che considera la variabilità locale del suolo in termini di caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche e fa ricorso a macchinari agricoli dotati di “sistemi intelligenti” (sistemi gps, mappature e memorizzazione dei terreni, gestione delle operazioni agricole da un computer di controllo) in grado di diversificare gli interventi a seconda delle reali necessità del suolo. Ciò significa gestire ogni singola porzione di terreno con una distribuzione mirata di fertilizzanti, diserbanti o acqua, contrariamente a quanto avviene nell’agricoltura tradizionale in cui le operazioni avvengono a seconda delle caratteristiche medie del terreno. Con un evidente risparmio energetico, economico e nelle emissioni di gas serra. Va detto che si tratta di tecniche in fase di perfezionamento, che ancora non rientrano nelle pratiche tradizionali degli agricoltori. Sono strumenti che devono essere ulteriormente testati e resi più affidabili.
“Life-Agricare, progetto triennale avviato nel 2014– spiega Luigi Sartori del dipartimento di Territorio e sistemi agro-forestali – intende rispondere a queste esigenze, con l’intento di diffondere tali tecnologie. Nello specifico l’obiettivo del progetto è di valutare se l’adozione combinata di pratiche come l’agricoltura conservativa e di precisione, coniugando i benefici dell’una e dell’altra, permetta di raggiungere ulteriori vantaggi anche in termini di riduzione nelle emissioni di gas serra rispetto all’applicazione separata dei due metodi di coltivazione del terreno”. Fondamentale sarà il ripensamento delle attuali attrezzature agricole, che prevede innovazione meccanica ed elettronica. “Si tratta in realtà – specifica Sartori – di macchinari agricoli già disponibili sul mercato che tuttavia saranno dotati di un ‘cervello’ nuovo”. Dunque, per fare qualche esempio, sono in fase di studio e realizzazione trattrici con sistemi di guida satellitare semi-automatica, mietitrebbie equipaggiate con sistemi di mappatura delle rese, spandiconcimi a dose variabile, seminatrici che consentiranno il controllo della quantità di seme distribuito.
Veneto Agricoltura ha messo a disposizione i terreni a ValleVecchia di Caorle. Nel corso del primo anno sono state seminate le quattro colture previste, cioè colza, mais, frumento tenero e soia, ognuna delle quali viene coltivata secondo quattro modalità che rappresentano livelli differenti di integrazione tra agricoltura conservativa e di precisione. Complessivamente dunque 16 campi di un ettaro e mezzo ciascuno.
Le stime in termini di riduzione delle emissioni di gas serra sembrano essere promettenti. È stato valutato infatti, sulla base di prove preliminari nel territorio Veneto, che le emissioni di anidride carbonica nel caso di prodotti coltivati con metodi agricoli tradizionali siano pari mediamente a 1.5 tonnellate per ettaro, calcolando anche le emissioni che derivano dalla produzione di concimi, sementi e prodotti chimici e dal consumo di gasolio per i macchinari agricoli. Ebbene, nel caso invece si ricorra a un’agricoltura di precisione combinata a tecniche di minima lavorazione del terreno o a lavorazione a strisce o ancora a semina su sodo (lavorazione del terreno limitata al solco di semina) si dovrà sottrarre alle emissioni medie calcolate il quantitativo di anidride non emesso che deriva da una minor lavorazione dei terreni e cioè, secondo i dati in letteratura, rispettivamente 1,5, 2,5 e 3,5 tonnellate per ettaro. Ciò permette evidentemente non solo una riduzione nelle emissioni, ma un vero e proprio sequestro di CO2.
Nel corso del progetto l’università di Padova fornirà consulenza per la realizzazione dei macchinari agricoli e rileverà tutti i dati di campo, le produzioni, le rese delle colture per un bilancio finale dei risultati relativi alle quattro differenti modalità di coltivazione. L’Enea poi avrà il compito di estendere le conoscenze alla realtà agricola nazionale.
Monica Panetto