SOCIETÀ

Camorra in Veneto: tutti i collegamenti con i boss dei Casalesi

50 arresti (47 in carcere e 3 ai domiciliari), 11 provvedimenti di obbligo di dimora, più di 10 milioni di euro di beni e valori preventivamente sequestrati, voto di scambio e violenza: il Veneto nella giornata di martedì si è svegliato, in tutti i sensi, accorgendosi che le mafie ce le ha sotto il cuscino. L’operazione compiuta dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia, coordinate dalla Dda di Venezia e denominata “At last”, ha fatto emergere ciò che si intuiva ma che spesso non si è voluto dire, cioè che, per dirla con le parole del procuratore generale antimafia Ferdinando Cafiero De Raho, “la Camorra in Veneto non si comporta diversamente che in Campania o altre regioni”.

Il quadro ora è chiaro, anche il nord-est non può considerarsi vergine, anche nel nord-est la criminalità organizzata esiste e spesso con le stesse modalità che noi associamo solamente al sud Italia. L’indagine “At last” ha accertato come dei soggetti legati ai casalesi, si siano insediati per più di 20 anni nell’economia e nella società veneta.

Dal 1991 ad oggi, solo nel Nord Italia, i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose sono stati 8

Il sindaco di Eraclea

Parliamo di società perché uno degli arrestati di spicco è stato il sindaco di Eraclea che si considerava "fuori dalla politica" e che si è insediato grazie a soli 81 voti in più dello sfidante. L’accusa in questa indagine? Aver promesso scappatoie ed agevolazioni in cambio di voti. Potrebbe essere quindi di voto di scambio, il primo eloquente caso in Veneto.

Il sindaco di Eraclea è solo la prima figura che emerge in quest’indagine, scopriamo però quali sono le famiglie riconducibili ai casalesi.

La storia delle mafie presenti al Nord insegna che dopo la penetrazione nel tessuto economico, il passaggio successivo delle mafie è quello a livello politico, in primis negli enti locali, considerati centri di drenaggio di risorse pubbliche Avviso Pubblico - Rete nazionale degli Enti locali antimafia

Usura, estorsione, rapina, ricettazione, riciclaggio e auto riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, sottrazione fraudolenta di valori, contraffazione di valuta, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, intermediazione illecita di manodopera, detenzione illegali di armi, danneggiamenti, incendi, truffe e truffe aggravate ai danno dello Stato, bancarotta fraudolenta ed emissione di false fatture: omertà ed intimidazione erano le armi nelle mani di chi, nel 2013, dopo aver patteggiato una pena di un anno e otto mesi di carcere per usura, si è sempre professato innocente e lontano dalla camorra.

L’imprenditore Luciano Donadio e Raffaele Buonanno

Stiamo parlando di Luciano Donadio, originario di Giugliano in Campania (Napoli) e trapiantato da più di 20 anni ad Eraclea, in provincia di Venezia. L’imprenditore edile è la seconda figura di spicco che emerge dall’indagine. Donadio, assieme a Raffaele Buonanno, avrebbe rappresentato l'associazione nei rapporti di natura criminale, pure con i dirigenti e gli associati al gruppo Schiavone e Bianco e le altre "famiglie" Casalesi.

Il clan Schiavone

Quando parliamo degli Schiavone si parla di Francesco e Carmine, il primo detto Sandokan, è stato il boss più importante dei Casalesi ed ora in regime di 41bis ed il secondo, suo cugino, divenuto collaboratore di giustizia, collaborazione grazie alla quale si sono scoperte importanti informazioni per quanto riguarda la terra dei fuochi in Campania.

Il clan Bidognetti: Francesco detto Cicciotto ‘e mezzanotte

Raffaele Buonanno inoltre era imparentato, tramite la moglie, con esponenti di vertice dai clan Bianco e di Francesco Bidognetti, detto "Cicciotto ‘e mezzanotte".

Bidognetti, un cuor di leone che il 17 dicembre 1980 uscì indenne da un attentato usando come scudo Filomena Morlando, una ragazza di 25 anni che ha solamente avuto la sfortuna di ritrovarsi in mezzo al regolamento di conti, è stato il capo dell’omonima famiglia.

Il Bidognetti è stato braccio destro di Francesco Schiavone, detto Sandokan, e pure lui è ora rinchiuso al 41 bis. Il clan è stato molto attivo nello smaltimento illegale dei rifiuti urbani, industriali e tossici prima che una donna, Anna Carrino, compagna di Cicciotto ‘e mezzanotte, decidesse di confessare tutto.

La Carrino non fu mossa da nobil gesto ma sembra che la spinta fu la gelosia nei confronti di Angela Barra, amante del Bidognetti. Anna Carrino dopo il suo arresto del 2007 decise di confessare e le sue parole portarono, nell'aprile del 2008, a 52 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti affiliati al clan. Tra loro era presente anche il figlio Raffaele.

Una confessione, avvenuta da chi non aveva un ruolo di secondo piano bensì gestiva tutti gli affari con il boss, e che il 31 maggio 2008 portò ad una ritorsione nei confronti della donna. Alcuni uomini arrivarono a casa di Assunta Carrino, sorella di Anna, a bordo di un’auto blu munita di lampeggiante e, dopo essersi fatti aprire la porta di casa, spararono una dozzina di colpi. Non si sa se l’obiettivo dell’agguato di Villaricca, in provincia di Napoli, fosse la sorella della pentita, ma a rimanere ferita fu Francesca, la nipote.

Il clan Bianco

Quando parliamo di clan Bianco invece parliamo principalmente di Antonio che, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, era particolarmente attivo nella zona tra Bagnoli e Fuorigrotta. I Bianco, in buoni rapporti con i Baratto ed i Cesi (che a loro volta erano in buoni rapporti con i Giannelli di Bagnoli), si contendevano il titolo di narcos di Fuorigrotta con i Iadonisi e furono anche i mandanti dell’omicidio di Salvatore Staiano, avvenuto 1 settembre 2005.

L’agguato fu una vera e propria trappola. Staiano infatti cercò di far riconciliare Giuseppe Iadonisi, e Cosmo Iadonisi, rispettivamente zio e nipote, appartenenti però a due clan diversi, con il più giovane affiliato ai Bianco. Proprio Cosmo fu accusato dell’omicidio di Staiano, uccisione che portò poi ad una vendetta del clan Iadonisi, con il tentato omicidio di  Antonio Volpe, affiliato al clan dei Bianco e cognato di Antonio. Volpe riuscì però a scappare dall’agguato.

La Camorra in Veneto non si comporta diversamente che in Campania o altre regioni Ferdinando Cafiero De Raho - procuratore generale antimafia

Lo spazio lasciato dalla Mala del Brenta

“Il gruppo, dopo la sua costituzione, si è insediato nel Veneto orientale rilevando il controllo del territorio dagli ultimi epigoni locali della "mafia del Brenta" con i quali sono stati comprovati i contatti”. Sono queste le parole del procuratore della Repubblica Bruno Cherchi. Il gruppo attivo ad Eraclea quindi avrebbe di fatto rilevato il controllo del territorio dagli ultimi esponenti locali della Mala del Brenta.

Le strategie criminali 

Le strategie criminali erano finalizzate ad acquisire, se necessario con minacce e violenza, la gestione o il controllo di attività economiche, soprattutto nell'edilizia e della ristorazione.

Le altre figure emerse nell’indagine “At last”

Le indagini hanno consentito di evidenziare come l'organizzazione criminale risultasse attiva già alla fine degli anni '90 ed era composta, oltre che dai già citati Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, da un gruppo di persone originarie di Casal di Principe: Antonio Buonanno (nato a San Cipriano D'Aversa ma residente a Casal di Principe), Antonio Puoti, Antonio Pacifico, Antonio Basile, Giuseppe Puoti, Nunzio Confuorto e da altri soggetti sia campani che locali come Girolamo Arena, Raffaele Celardo e Christian Sgnaolin, titolare dell'impresa "Imperial Agency" di Jesolo che si occupa di corsi e consulenza per la salute e la sicurezza sul lavoro.

In carcere è finito anche un direttore di banca di Jesolo, Denis Poles, che, come il suo predecessore (indagato a piede libero), consentiva loro di operare su conti societari senza averne titolo, concordando con loro l'interposizione di prestanome, omettendo sistematicamente di effettuare le segnalazioni di operazioni sospette.

Coinvolto anche un appartenente alla Polizia di Stato, Moreno Pasqual, accusato di aver fornito informazioni riservate ai malavitosi, inerenti ad indagini nei loro confronti, tramite illecito accesso alle banche dati di polizia, nonché di averne garantito protezione e supporto a seguito di controlli subiti da parte di altre forze di polizia.

L’edilizia, le armi e le banche

Iil gruppo di malavitosi hanno fatto anche largo uso e commercio di armi, anche da guerra, utilizzate per il compimento di attentati intimidatori anche ai danni di ditte concorrenti.

L'organizzazione inizialmente ha puntato al settore dell'edilizia. Naturalmente non parliamo di compravendita legale di case, bensì di attività usuraria ed estorsioni, oltre alla costituzione di società che fornivano manodopera ma di fatto evadevano qualsiasi tipo di onere previdenziale.

Gli imprenditori sani per lavorare hanno bisogno di essere protetti Ferdinando Cafiero De Raho - procuratore generale antimafia

Le parole del procuratore generale antimafia

“Questa è un’ordinanza storica - ha dichiarato il procuratore Ferdinando Cafiero De Raho - perché avere un’organizzazione criminale che si è radicata stabilmente sul territorio con un clan, un clan di camorra è un fatto di straordinaria importanza”.

Il procuratore però lancia anche un appello, che fa capire come il nostro territorio sia impregnato di criminalità e che l’attenzione su questi fenomeni dev’essere sempre accesa. “Gli imprenditori sani per lavorare hanno bisogno di essere garantiti - ha concluso il procuratore - e protetti. Un imprenditore sano non può che cedere di fronte ad un imprenditore camorrista. Dobbiamo tutti alzare l’attenzione e fare in modo che si creino barriere che impediscano alla camorra, mafia e ‘ndrangheta di continuare ad inquinare l’economia, la politica e quindi la nostra società”.

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