SCIENZA E RICERCA
Biologico: il mito del cibo salutare
Foto: Reuters/Alessandro Bianchi
Pochi giorni fa a Norimberga l’Italia ha fatto la sua bella figura. Il contesto era la fiera mondiale del biologico, Biofach, e il merito quello di piazzarsi prima in Europa per esportazione di prodotti bio.
Nonostante infatti i consumi alimentari convenzionali siano calati del 3,7% nei primi sei mesi del 2013, stando a un’indagine della Fondazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica e biodinamica (Firab) il consumo di cibo biologico nel nostro Paese è aumentato dell’8,8%. Con poco meno di 50.000 produttori, impegnati su 1,2 milioni di ettari di terreno (il 9% della superficie totale), il settore muove un giro d’affari di oltre tre miliardi di euro. A livello mondiale l’Italia nel 2010 era al terzo posto, dopo Canada e Stati Uniti, come produttore di cereali biologici. Nel settore bio l’Italia inizia proprio come paese esportatore con un fatturato oltre frontiera che, secondo le ultime stime, è di 1,2 miliardi di euro. In Europa il principale acquirente è la Germania (42%), dove le nostre aziende esportano principalmente ortofrutta, sia fresca che trasformata, vino, olio d’oliva e pasta; seguono la Francia (14%) e la Gran Bretagna (8%). Anche la domanda interna non è da meno con una crescita di quasi l’8% negli anni della crisi economica.
Secondo un sondaggio promosso dall’Associazione italiana per l’agricoltura biologica (Aiab), Coldiretti e Legambiente, la scelta dei prodotti biologici è dovuta principalmente a motivi di salute, alla volontà di evitare prodotti chimici e a ragioni etiche e di rispetto dell’ambiente.
Eppure sembra che cibo biologico non significhi necessariamente cibo più sano e sicuro. “L’idea che l’agricoltura biologica non faccia uso di pesticidi non è corretta”, sottolinea Dario Bressanini, del dipartimento di scienze chimiche e ambientali dell’università dell’Insubria e autore tra gli altri di Pane e bugie. Se infatti la normativa prevede che non si utilizzino prodotti di sintesi, ciò non toglie che ne vengano usati altri di origine naturale come la famiglia di molecole piretrine, il rotenone, lo spinosad, una sostanza prodotta dai batteri. Prodotti che possono comunque avere un impatto ambientale da non trascurare. Il rotenone, ad esempio, è in via di eliminazione dai protocolli di coltivazione biologica proprio per la sua tossicità. Ciò che invece è stato rilevato è una minor quantità di residui di pesticidi sui prodotti biologici (quasi il 99% sono risultati conformi ai limiti di legge, contro il 96% dei convenzionali).
“Il fatto che un alimento sia o non sia ‘naturale’ - scrive Bressanini in Bugie nel carrello – non ha niente a che vedere con le sue proprietà salutistiche. Smettiamo di brandire questo termine come una clava per chiudere i discorsi invece che approfondirli”. Il 99,9% delle sostanze chimiche che ingeriamo sono naturali. E spiega, ad esempio, che il basilico giovane contiene metileugenolo, un sospetto cancerogeno per l’uomo e così pure il caffè possiede molecole che risultano cancerogene per i topi. Questo non significa che non si debba più mangiare pesto, perché è la quantità a incidere sulla tossicità: nel caso del basilico per un effettivo aumento delle probabilità di contrarre un tumore sarebbe necessario consumarne ogni giorno ad ogni pasto.
In secondo luogo i prodotti biologici non hanno, come credono alcuni, migliori proprietà nutrizionali rispetto ai prodotti convenzionali. A stabilirlo nel 2010 è stato un rapporto commissionato dalla Food standard agency britannica che dimostrava come non vi fosse alcuna differenza nel contenuto di nutrienti tra gli uni e gli altri, salvo alcune eccezioni come i cereali biologici più poveri di proteine e i pomodori più ricchi di vitamina C. Di conseguenza, nessun maggiore effetto benefico sulla salute. Nel 2012 anche un gruppo di ricercatori dell’università di Stanford giunse alle stesse conclusioni.
Anche quando si parla di maggiore sicurezza dei prodotti biologici andrebbe fatta qualche precisazione. Nel blog La scienza in cucina Bressanini sottolinea che la certificazione biologica di un prodotto garantisce che siano rispettate le normative e i regolamenti (che non vengano utilizzati, per esempio, fertilizzanti di sintesi). Si tratta, tuttavia, di una certificazione del processo di produzione e non dell’alimento finale. Che, peraltro, anche il cibo prodotto in modo convenzionale possiede.
Sicuramente la coltivazione biologica preserva una maggiore biodiversità, garantisce mediamente maggiori vantaggi di tipo ambientale, le sostanze utilizzate sono mediamente meno tossiche.
Ma gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale non sarebbero sufficienti a spingere il consumatore verso il biologico, se il marketing del prodotto non insistesse su aspetti salutari che in realtà non sono scientificamente provati e non giocasse sull’idea (scorretta) che “naturale” sia sinonimo di sano. Questo perché la presentazione del prodotto e l’idea che il consumatore ha di un determinato alimento possono influenzare la sua percezione sull’effettiva qualità del cibo. A dimostrarlo è anche uno studio condotto in Svezia nel 2005: 480 persone sono state poste di fronte a quattro tipi di pane ognuno dei quali accompagnato da un foglio che ne illustrava le proprietà. Ebbene, benché la descrizione non corrispondesse al pane assaggiato, gli individui sottoposti al test tendevano a preferire il prodotto in cui si indicava una farina di provenienza biologica, nonostante magari il pane fosse di altro tipo.
La farina biologica, ad esempio, non necessariamente produce un pane migliore. I terreni coltivati in modo biologico forniscono al terreno una quantità minore di azoto, che determina nel grano un contenuto di proteine (le gliadine e le gluteine che formano il glutine) del 20% inferiore al grano coltivato in maniera convenzionale. Questo comporta un volume inferiore del pane e nessuna differenza nel sapore.
“Io non sono nemico del biologico – conclude Bressanini - questo lo scriva”. Ma bisognerebbe chiedersi, specie a tavola, se tutto quello che ci raccontano è vero.
Magari con un occhio agli interessi in gioco.
Monica Panetto