SCIENZA E RICERCA

La meravigliosa complessità del cervello

Giorgio Vallortigara, docente di neuroscienze all’università di Trento, è il secondo autore protagonista del ciclo di incontri tra pubblico e finalisti del premio Galileo.

Parliamo di cervello e rappresentazione della realtà: il nostro cervello è davvero in grado di avere una rappresentazione fedele della realtà? O come lei afferma, le nostre percezioni servono solo a ingannarci in maniera adeguata a sopravvivere al meglio?

Ovviamente se la rappresentazione fornita dal nostro cervello fosse infedele non saremmo qui a discuterne. Però il punto importante è che per sopravvivere e riprodursi non occorre che la rappresentazione sia veridica, basta che funzioni. Nel libro faccio l'esempio un po' estremo del modo in cui un ragno saltatore categorizza il mondo: il suo cervello considera le cose dotate di zampe come femmine da corteggiare, e tutte le altre cose (entro certe dimensioni) come roba da mangiare... Un po' schematico, ma funziona - ci sono milioni di ragni saltatori in giro a testimoniarlo! Inutile negare che per i membri della nostra specie (perfino per gli adolescenti) un partner sessuale è definito da proprietà più complesse del semplice "avere delle gambe". Ma sempre di proprietà si tratta, proprietà selezionate dal cervello che catturano alcuni aspetti della realtà, mai tutti... I cervelli sono nello stesso tempo le nostre finestre sulla realtà e le nostre prigioni.

Nel suo libro lei cita la ricerca neurocognitiva degli ultimi anni, che ha dimostrato come anche i nostri bambini nascono con dotazioni biologico-cognitive molto specifiche e sofisticate, esattamente come i piccoli di molte altre specie animali. Quindi non siamo solo frutto dell’apprendimento e dell’esperienza, ma abbiamo inscritti nel nostro cervello già alla nascita una serie di comportamenti e anche forse strutture mentali?

Certamente sì. L'apprendimento e l'esperienza sono possibili soltanto se il sistema nervoso possiede già in partenza una struttura. È un'idea antica, che si può far risalire a Kant e che le moderne neuroscienze stanno supportando pienamente. Konrad Lorenz, uno dei padri dello studio biologico del comportamento, l'aveva espressa in sintesi affermando: "L'a-priori kantiano è un a-posteriori filogenetico". Tradotto in termini piani, quello che abbiamo iniziato a capire è che le strutture di base della mente, la nozione di spazio, tempo, numero e causa, sono già scritte nei nostri cervelli; sono parte non di una memoria individuale, ma di una memoria filogenetica.

Lei parla dell’intelligenza sociale, frutto dell’evoluzione sulla nostra struttura cerebrale, spiegando come i diversi tempi di sviluppo del cervello nelle diverse specie condizionano la presenza o meno dell’aggressività o del comportamento cooperativo, e parlando del processo di "auto-domesticazione". Può spiegarcelo meglio?

Quello che si è scoperto studiando la domesticazione in altre specie è che le pressioni selettive che favoriscono tratti legati alla sfera emozionale e motivazionale (per esempio favorendo individui più docili e meno aggressivi) hanno influenzato anche altri aspetti della macchina cerebrale, rendendo questi animali più dotati nella cosiddetta intelligenza sociale (un esempio di questo è la capacità dei cani di leggere i segnali comunicativi umani, come per esempio la direzione dello sguardo). L’idea è che qualcosa di simile possa essere accaduto nella storia evolutiva degli esseri umani, l’auto-selezione di tratti maggiormente cooperativi e altruistici (e la selezione negativa verso chi si comportava da bullo) potrebbe essere parte del successo evolutivo della nostra specie.

La neuroscienza sconfina inevitabilmente nella filosofia, mettendo in discussione la capacità di pensiero dell’uomo e dimostrando quasi una concezione deterministica del cervello. E anche lei parla di “prigione”. La nostra mente e la nostra capacità di pensiero sono davvero solo frutto dell’interazione tra i neuroni?

Sì, tutta l’evidenza scientifica indica che i processi mentali sono frutto dei processi fisico-chimici che avvengono nel cervello. Ma perché dice “solo”? Questi processi non sono cosa da poco, sono una meraviglia! Sono i fantastici processi fisico-chimici che producono, in modi che in parte ancora ci sfuggono, la nostra esperienza del mondo. Comprenderli (ed eventualmente cercare di riprodurli come si ripromette Human Brain Project) non significa sminuire il valore delle nostre vite e della condizione umana. Tenga anche presente che la complessità della vita mentale non deriva solo dalla complessità dei tessuti cerebrali, ma anche dalla complessità dell’ambiente in cui i cervelli sono immersi. E la complessità dell’ambiente in cui oggi siamo immersi è a sua volta il risultato di quello che han prodotto, storicamente, i nostri cervelli…

Perché uno studente o un lavoratore dovrebbero interessarsi al funzionamento del cervello, e leggere il suo libro?

Per quel che riguarda l’aspetto generale, lo slogan potrebbe essere: ”Conviene che tu sappia qualcosa della moderna scienza del cervello perché presto o tardi la scienza del cervello si occuperà di te…”. Voglio dire che quello che sta uscendo dai laboratori su come funziona la memoria, la percezione, il linguaggio e tutti gli altri aspetti della nostra vita mentale sono faccende che ci riguardano molto direttamente. E che coinvolgono una varietà di cosiddetti argomenti sensibili (esiste il libero arbitrio? esiste una coscienza nelle altre specie? è possibile riprodurla in una macchina?). Per quel che riguarda il mio libro in particolare, invece, un profano dovrebbe leggerlo perché, spero, fa sorridere e fa pensare.

Cristina Gottardi

Giorgio Vallortigara, La mente che scodinzola. Storie di animali e di cervelli. Milano, Mondadori, 2011

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