SOCIETÀ

Le povertà sommerse del ricco Nordest

Dicono che sono stati i professori a ridurci in mutande, adesso che sono al governo. Non è vero. Il forzato strip-tease di larga parte degli italiani viene da molto più lontano, come dimostrano i tre articoli che da oggi pubblichiamo: scritti nell’autunno 2005, sul “Gazzettino”, documentano come già allora nel ricco e benestante Nordest il virus della povertà cominciasse a diffondersi, mettendo in crisi singoli e famiglie, e inaugurando il mesto fenomeno della quarta settimana, traguardo sempre più problematico da raggiungere per un numero crescente di persone. Conseguenza inevitabile, del resto, in un Paese dalla crescita bloccata già da tempo anche nella sua area più dinamica, dove era fiorito un modello di sviluppo che erano venuti a studiare da tutto il mondo, americani e giapponesi compresi. L’ultimo balzo significativo del Pil (il prodotto interno lordo) del Veneto è del 2000: più 3,9 per cento. Da allora, stagnazione con punte in negativo. Una situazione aggravata da un debito pubblico tra i più devastanti dell’intero pianeta, che oggi è arrivato al poco invidiabile record di 2mila miliardi di euro; meglio neanche riportare, per i più anziani, l’equivalente nelle vecchie lire, perché ci sarebbe da stramazzare.

Le povertà sommerse del ricco Nordest hanno percorsi diversi, e si spingono perfino in quello che viene indicato come l’eden dell’autonomia, l’Alto Adige-Sudtirolo. Alla crisi economica si aggiungono i crack di tante vite individuali dovute a separazioni coniugali, difficoltà dei figli, invalidità fisiche o psichiche. Oltre ai depositi in soldi si sono logorati gli investimenti in relazioni. Soprattutto, sono venute meno per eccesso di voracità e di allegra gestione le cospicue risorse pubbliche, troppo spesso utilizzate a fini clientelari. E sul poco rimasto c’è chi ha continuato comunque a speculare, nello sforzo di non compromettere il proprio livello di benessere. Non si sono volute vedere quelle povertà di varia natura che fermentavano dietro la facciata. Ma i segnali c’erano, e come. Bastava andare ai Monti di Pietà per trovarsi di fronte a persone anziane che si presentavano con qualche vecchio gioiello di famiglia da impegnare per ricavarne i soldi con cui pagare l’affitto o le bollette. E comunque, chi ha perso allora l’occasione può rifarsi: la scena continua.

Una notizia di poche settimane fa rilancia la questione: nella basilica del Santo, il pane dei poveri non basta più per eccesso di domanda. È una delle opere antoniane, che segue ogni settimana una sessantina di situazioni di difficoltà, e che dà buoni pasto per le Cucine popolari, o aiuta le persone in difficoltà a pagare le bollette o le spese sanitarie. Fino a qualche tempo fa si riusciva a dare risposta a tutti; ora la situazione si è aggravata, al punto che perfino lì si sono create le liste d’attesa: a fine maggio l’agenda era già esaurita fino a tutto luglio. E’ una situazione generalizzata. La Caritas padovana segue 3mila persone, e molte di queste sono italiane; anche qui la domanda è in costante aumento. Gli sfratti per morosità sono aumentati del 64 percento negli ultimi cinque anni. I distacchi di utenze per mancato pagamento delle bollette sono all’ordine del giorno. Un dramma che sta travolgendo anche tanti piccoli imprenditori, come documenta la tragica sequenza dei suicidi degli ultimi mesi. Peccato che il conto venga presentato a loro, anziché  a chi ha causato il colossale dissesto delle pubbliche risorse.

 

Francesco Jori

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