SOCIETÀ

Sud Sudan, elezioni a rischio in un clima di crisi totale

L’appuntamento, sulla carta, è fissato per il prossimo 22 dicembre: sono, o meglio dovrebbero essere, le prime elezioni libere in Sud Sudan organizzate sotto il controllo del governo di transizione, costituito dopo la firma dell’accordo di pace, nell’ormai lontano 2018, che pose fine a cinque anni di guerra civile (una violenta disfida di potere tra le etnie Dinka e Nuer, che ha provocato oltre 400mila vittime) scoppiata quasi tre anni dopo aver raggiunto l’indipendenza dal Sudan. C’è però un problema: il capo della Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan, Nicholas Haysom, nell’ultima riunione del Consiglio di Sicurezza, ha dichiarato che a suo avviso non ci sono ancora le condizioni per lo svolgimento del voto nel travagliato e poverissimo paese centrafricano: «Allo stato attuale, il Paese non è ancora in grado di tenere elezioni credibili, un’opinione peraltro condivisa dalle principali parti interessate di tutto lo spettro politico». Quindi è assai probabile che quel voto non si terrà. E non si tratterebbe del primo rinvio: il trattato di pace, firmato appunto nel 2018, prevedeva inizialmente due anni di transizione come “ponte” per arrivare alle elezioni. Nel 2022, nell’annunciare una seconda proroga, il presidente Salva Kiir diceva: «Non prolungherò il periodo di transizione perché voglio rimanere al governo più a lungo: ma non voglio affrettarvi in un’elezione che ci riporterà alla guerra». Ora, con ogni probabilità, si arriverà alla terza proroga.

Un “tavolo” di dialogo anche in Kenya

Finora 29 partiti politici si sono registrati per partecipare alle elezioni del 22 dicembre, una data che era stata fissata appena il mese scorso dalla Commissione elettorale nazionale (NEC). «Rilevo tuttavia - sostiene l’inviato dell’Onu - che sono ancora in corso consultazioni tra le parti politiche interessate per stabilire se le elezioni possano o debbano essere tenute quest'anno. Ciò rende difficile trattare la data del 22 dicembre come un fattore definitivo, isolato da altri fattori critici». Il timore principale resta la sicurezza dei civili, in un territorio ancora dilaniato dalle rivalità etniche, dove violenze, omicidi e violazioni dei diritti umani restano all’ordine del giorno, in un continuo scontro “a bassa intensità” tra le forze governative da un lato e dall’altro le milizie dell’opposizione. Al punto che un tavolo parallelo di negoziazioni è stato aperto in un paese terzo, in Kenya, a Nairobi, (il che la dice lunga sulle tensioni che tuttora attraversano il Sud Sudan), tra il governo di transizione di unità nazionale e i non firmatari dell’accordo di pace (Alleanza dei Movimenti di opposizione del Sud Sudan, Alleanza Nazionale Unita e Fronte di Salvezza Nazionale), con la partecipazione anche di rappresentanti del mondo accademico, della società civile e di gruppi religiosi. Il Tumaini Peace Iniziative (Tumaini in lingua swahili vuol dire “speranza”) ha prodotto finora un “nuovo piano di transizione” che prevede una “struttura di governance inclusiva” e la “condivisione delle responsabilità” all’interno del governo. Le parti hanno inoltre concordato di ricostituire la Commissione nazionale di revisione costituzionale con l’incarico di organizzare una Conferenza Costituzionale Nazionale, che dovrebbe portare, appunto, alla stesura di una nuova Costituzione. L’attuale vicepresidente Riek Machar è però contrario: in una lettera di protesta al mediatore capo, ha detto che «la bozza stabilisce istituzioni alternative per sostituire o funzionare in parallelo con quelle stabilite dal precedente accordo di pace. Ma i colloqui di pace dovrebbero integrare e non cancellare l’accordo originale».

Situazione assai intricata. E ulteriormente aggravata dalla presentazione, da parte dell’attuale governo in carica di un disegno di legge sulla “sicurezza” che di fatto consente l’arresto di persone senza alcun mandato della magistratura. Il testo di legge porta la data del 12 luglio scorso: il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, non l’ha firmato per la convalida, ma non ha nemmeno respinto il testo. Così sono trascorsi i 30 giorni che, in assenza d’interventi da parte del presidente, come stabilito dalla vigente Costituzione, hanno consentito al National Security Act di diventare legge. Quindi ora il Servizio di sicurezza nazionale del Sud Sudan può arrestare, e detenere, qualsiasi persona anche soltanto sospettata di aver commesso un reato, senza alcun mandato, senza alcun obbligo di motivare o giustificare l’azione. L’Associated Press riporta il parere di Yasmin Sooka, presidente della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan: «Questa legge darà alle forze di sicurezza il potere di eseguire un maggior numero di detenzioni arbitrarie e di sparizioni forzate. Esortiamo il presidente e il parlamento a rivedere urgentemente la legge per portarla in linea con i processi democratici, perché l’attuale formulazione contraddice gli impegni presi dal Sud Sudan sia nei confronti della comunità internazionale sia nei confronti dei sud sudanesi». Ter Manyang Gatwech, direttore esecutivo del Center for Peace and Advocacy, una ong che si occupa della tutela dei diritti umani, ha promesso che farà ricorso in tribunale per chiederne l’abrogazione: «Questa legge rappresenta una minaccia diretta per la nazione: nessuno è più al sicuro in questo paese». Ma la questione rischia anche di far saltare i colloqui di pace Tumaini: i partiti di opposizione hanno già dichiarato che nessun accordo sarà mai firmato con il governo del Sud Sudan se il National Security Act non verrà immediatamente abrogato.

Violenze, impunità e una devastante crisi alimentare

Com’è evidente, il Sud Sudan continua a essere un paese profondamente lacerato al suo interno, tra fazioni opposte, etnie opposte, in un clima di diffusa violenza, dove dilaga l’impunità e la corruzione (il 5 luglio scorso il ministro nazionale dell’Informazione, Michael Makuei Lueth, che ha anche le funzioni di delegato governativo all’Iniziativa Tumaini, ha annunciato lo scioglimento del Comitato nazionale di transizione (CNT) per “cattiva gestione e mancato adempimento dei suoi mandati”), nel timore, fondato, che l’attuale governo di transizione abbia tutto l’interesse a favorire una situazione di crescente instabilità pur di conservare il potere.

Instabilità che non è soltanto politica. Come scrive Human Rights Watch, nel suo ultimo report 2024: «Il conflitto tra il governo, le forze opposte e le rispettive milizie alleate, così come la violenza intercomunitaria, in alcune zone del paese hanno provocato la morte, il ferimento e lo sfollamento di migliaia di civili. Le autorità non sono riuscite a garantire la responsabilità per gravi violazioni. L'impunità ha continuato ad alimentare la violenza, con i civili che hanno subìto il peso di attacchi diffusi, violenze sessuali sistematiche contro donne e ragazze, la continua presenza di bambini nelle forze combattenti e uccisioni extragiudiziali sponsorizzate dallo stato. Il governo, inoltre, non è riuscito a raggiungere le tappe fondamentali stabilite dall’accordo di pace del 2018, comprese le riforme legislative e istituzionali prima della fine del periodo di transizione».

La situazione reale è probabilmente assai più drammatica delle parole che leggiamo nei report delle organizzazioni internazionali. È in corso una crisi alimentare devastante che colpisce oltre tre quarti dei 12 milioni complessivi di abitanti. Le violenze interetniche hanno provocato oltre 2 milioni di sfollati interni, mentre si contano circa 680mila rifugiati del vicino Sudan, gente disperata in fuga dalla guerra scoppiata lo scorso anno (la crisi del Sudan è soggetto del bellissimo documentario Soudan, souviens-toi di Hind Meddeb presentato alla Mostra di Venezia di cui parliamo qui). Altri 2,2 milioni di rifugiati sud sudanesi sono ospitati in nazioni limitrofe, come Etiopia e Kenya. «Il continuo afflusso di rifugiati in Sud Sudan rischia di aggravare la già grave carenza di cibo e acqua sia tra i nuovi arrivati che tra le comunità ospitanti, e di rendere ancora più difficile l’accesso alle cure mediche», segnalava appena due mesi fa Medici senza Frontiere. «Inoltre la carenza di beni di prima necessità e di servizi igienico sanitari adeguati ha portato a un aumento di malattie come diarrea e infezioni respiratorie». Secondo Anita Kiki Gbeho, funzionaria ghanese delle Nazioni Unite, vice rappresentante speciale presso la missione dell’Onu in Sud Sudan, 9 milioni di persone avranno bisogno, quest’anno, di assistenza umanitaria e di protezione.

Tra epidemie di colera e inondazioni

E ancora non basta: oltre all’insicurezza alimentare cronica il Sud Sudan deve fare i conti con un’economia in rapido deterioramento, in gran parte sostenuta dal petrolio che riesce a esportare (utilizzando due oleodotti che portano il greggio sul Mar Rosso) attraverso il vicino Sudan, lacerato però a sua volta da una feroce guerra civile scatenata lo scorso anno da due generali rivali che sta provocando migliaia di morti, distruzioni, milioni di sfollati, un’epidemia di colera (almeno 22 morti nello stato orientale di Kassala, oltre 350 i casi segnalati) e una carestia (in un campo per rifugiati interni nel Darfur settentrionale), e dove scuole e università sono ormai chiuse, per quello che l’Unesco definisce “un impatto a lungo termine sull’istruzione, la cultura e i media”.

Le ricadute di quel conflitto si irradiano anche sul Sud Sudan, provocando un crollo delle entrate e rendendo quasi impossibili i pagamenti degli stipendi per i dipendenti statali, che non hanno più denaro per acquistare anche beni di prima necessità, mentre l’inflazione corre (circa il 22%) e i prezzi aumentano. E perfino portare aiuti in quella terra disperata comporta rischi enormi: l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) ha appena diffuso una nota secondo la quale il Sud Sudan rimane «uno degli ambienti più pericolosi per gli operatori umanitari nel 2024”. «I vincoli di accesso in tutto il paese ostacolano gli sforzi per fornire assistenza urgente e salvavita alle popolazioni più vulnerabili», scrive l’OCHA. «Tra gennaio e luglio di quest’anno sono stati segnalati 267 incidenti di accesso umanitario, con 135 casi di violenza diretta contro il personale e i beni umanitari, inclusi 28 episodi di saccheggio e furto. L’escalation dell’insicurezza ha costretto 15 operatori umanitari a trasferirsi dalle loro aree operative».

Il Sud Sudan è inoltre uno dei paesi più esposti alle drammatiche conseguenze del cambiamento climatico, al punto che l’indice di rischio INFORM 2024 lo classifica come il secondo paese più vulnerabile ai pericoli naturali a livello globale (dietro alla Repubblica Centrafricana). Pochi giorni fa, lo scorso 14 agosto, durante un’audizione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, Edem Wosornu, Direttore delle Operazioni dell’OCHA, denunciava: «Le proiezioni di metà anno dei nostri esperti di sicurezza alimentare suggeriscono che le inondazioni combinate con i conflitti potrebbero provocare sacche di carestia tra giugno 2024 e gennaio 2025. E stiamo già assistendo all'impatto delle inondazioni. Le forti piogge dello scorso maggio, così come il rilascio calcolato di acqua dal Lago Vittoria, hanno portato ad un aumento dei livelli del Nilo, con inondazioni che finora hanno colpito fino a 300.000 persone. Al culmine della stagione delle inondazioni, previsto tra settembre e ottobre, gli straripamenti potrebbero avere un impatto su circa 3,3 milioni di persone, comprese le comunità che devono ancora riprendersi dalle devastanti inondazioni che si sono verificate tra il 2019 e il 2022 e che hanno causato lo sfollamento di oltre 1 milione di persone ogni anno».

Anche la Banca Mondiale, in un report pubblicato lo scorso anno, (titolato “Rising from the Depths: Water Security and Fragility in South Sudan”) sosteneva che «l’insicurezza idrica è una minaccia esistenziale per il Sud Sudan». Servirebbe un’azione mirata, immediata ed efficace per portare aiuto alla popolazione. Il piano di “preparazione e risposta” alle inondazioni per il periodo giugno-dicembre 2024, sviluppato dal governo del Sud Sudan e dai partner umanitari, ha un costo stimato di 264 milioni di dollari: il governo locale ne ha stanziati appena 76. Mentre il “Piano 2024 per i bisogni e la risposta umanitaria in Sud Sudan” delle Nazioni Unite, un piano da 1,79 miliardi di dollari che punta a dare assistenza a 6 milioni di persone, resta sottofinanziato di un terzo del totale.

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