SCIENZA E RICERCA

Ricci Curbastro, il matematico italiano a cui Einstein disse grazie

Il merito a volte percorre vie tortuose, ma quando arriva “fa il botto”. Specie se va a braccetto con la teoria della relatività di Albert Einstein. È il caso di Gregorio Ricci Curbastro, di cui ricorrono i 160 anni dalla nascita: uno dei fondatori della scuola italiana di geometria, continuatore in Italia del matematico tedesco Bernhard Riemann e che a Padova pose le basi della teoria degli spazi curvi di ogni dimensione.

Un “gentiluomo”, lo definisce in un suo libro Fabio Toscano; un uomo dal carattere schivo, introverso, “di altissima rettitudine” e “profonda dignità personale”. Un matematico isolato nelle sue ricerche, molto stimato nell’ambiente accademico e come docente. “Le lezioni orali di Ricci – scrive Tullio Levi-Civita, suo allievo e poi collaboratore – non erano vivaci, ma mirabili per precisione e castigata fluidità di forma”.  

Nato a Lugo nel 1853 da una famiglia della nobiltà, cresce in un ambiente in cui la scienza è di casa: il padre e il nonno paterno sono ingegneri, il nonno materno primo insegnante di idrometria nella Scuola Pontificia degli ingegneri a Roma. Dopo un periodo di studi universitari a Roma e Bologna, Ricci Curbastro è allievo di Ulisse Dini ed Enrico Betti alla Normale di Pisa. Conseguita la laurea in scienze fisiche e matematiche nel 1875 e trascorso un anno a Monaco di Baviera dove frequenta i corsi di Felix Klein, nel 1879 viene nominato professore di fisica matematica all’università di Padova, e di algebra nel 1890.

Inizia negli anni Ottanta gli studi sulle “teorie delle forme differenziali quadratiche” e nel 1887 introduce per la prima volta l’algoritmo detto “derivata covariante” che gli consentirà di elaborare il concetto di “sistema”, o tensore, cioè quell’insieme di funzioni che, al variare delle coordinate, si trasformano secondo leggi ben definite. La derivata covariante era già stata introdotta, in realtà, da Elwin Bruno Christoffel nel 1869, che non ne aveva tuttavia intuito le potenzialità. Ricci insiste nello studio del suo metodo che nel 1893 prende il nome di “calcolo differenziale assoluto” e ne descrive la spendibilità nell’ambito dei problemi della fisica e della geometria.

Fino a quel momento i risultati delle sue analisi non escono dalla stretta cerchia padovana: è Felix Klein, allora direttore della rivista Mathematische Annalen, nel 1899 a chiedere a Ricci un articolo sull’argomento, con l’esplicita richiesta di esporre i campi di applicazione del nuovo metodo. L’anno dopo, a firma di Gregorio Ricci e Tullio Levi-Civita, esce la celebre memoria Méthodes de calcul différentiel absolu et leurs applications. È l’articolo senza il quale Albert Einstein, premio Nobel per la fisica nel 1921, non sarebbe forse mai giunto ad elaborare la teoria della relatività generale (1916). Eppure, la comunità scientifica non coglie immediatamente l’importanza dello studio. Nel 1904 il gruppo raccolto intorno a Ricci si scioglie, anche se il riconoscimento e la stima nei confronti del matematico restano. A dimostrarlo la carica di preside nella facoltà di scienze dal 1900 al 1908 e gli impegni politici in città, dopo l’esperienza di Lugo, come consigliere e assessore alla Pubblica istruzione e alle finanze.

In quegli stessi anni in Germania, Einstein, che nel 1905 ha definito la teoria della relatività ristretta, sta lavorando a una teoria che sia in grado di fondere i concetti di spazio, tempo, inerzia e gravitazione, ma manca di strumenti matematici in grado di esprimere questo studio. In grave difficoltà, il fisico tedesco si rivolge a Marcel Grossmann, matematico e vecchio compagno di studi, che gli dà un aiuto determinante indirizzandolo proprio alle analisi di Ricci sul calcolo differenziale assoluto. Einstein coglie immediatamente le potenzialità del metodo di Ricci e l’algoritmo disegnato dal matematico italiano diventa lo strumento necessario, e a lungo cercato, per l’elaborazione della teoria della relatività generale. Acclamato a livello mondiale, Einstein riconosce il proprio tributo verso Ricci al punto che, in Italia per un ciclo di conferenze, vuole conoscerlo personalmente. È il 27 ottobre 1921 e l’incontro avviene nell’aula magna dell’università di Padova.

“Einsten è stato solo il primo. Nel corso del XX secolo – spiega Charles Alunni, docente all’École Normale Supérieure di Parigi e organizzatore con l’Istituto veneto di Scienze lettere e arti di un recente convegno sul matematico italiano – il metodo di Ricci ha permesso ad altri studiosi di risolvere problemi rimasti a lungo insoluti: Richard Hamilton, ad esempio, scopre la “temporalità propria” che il flusso di Ricci attribuisce agli oggetti geometrici, studio che permette a Grigorij Jakovlevič Perel'man nel 2003 di classificare le forme tridimensionali e risolvere la cosiddetta ‘congettura di Poincaré’”.

La vicenda di Ricci Curbastro, tanto stimato dai suoi colleghi, anche i più grandi, quanto sconosciuto al grande pubblico, conferma così una costante nella storia della scienza. Ancora una volta, il “genio” – quello riconosciuto e celebrato, che “fa notizia” e simboleggia con il suo nome una scoperta importante, una svolta nella conoscenza – è in realtà l’ultimo anello di una catena. Quello che chiude, con intuizioni importanti e tanto lavoro, un cerchio fatto di contributi precedenti, determinanti quanto l’ultimo passo ma quasi mai agli onori della cronaca.

Monica Panetto

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