REUTERS/Mohamed al-Sayaghi
Quando si parla di vendita di armi si toccano diversi aspetti: da quello umanitario (dove vanno a finire gli armamenti che esportiamo?), a quello del lavoro (se interrompessimo la fornitura i lavoratori delle aziende produttrici che fine farebbero?), fino ad arrivare all’aspetto politico e tecnologico. L’argomento è senza dubbio complesso e ricco di sfumature ma, per cercare di fare chiarezza, è necessaria la totale trasparenza.
C’è una legge, la 185/90 sulle “Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, che all’articolo 5 rende obbligatoria una relazione da parte del presidente del Consiglio dei ministri verso il Parlamento entro il “31 marzo di ciascun anno in ordine alle operazioni autorizzate e svolte entro il 31 dicembre dell'anno precedente, anche con riguardo alle operazioni svolte nel quadro di programmi intergovernativi o a seguito di concessione di licenza globale di progetto, di autorizzazione globale di trasferimento e di autorizzazione generale o in relazione ad esse, fermo l'obbligo governativo di riferire analiticamente alle Commissioni parlamentari circa i contenuti della relazione entro 30 giorni dalla sua trasmissione”.
Con ritardo ma la relazione governativa sull’export italiano di armamenti che riporta i dati di autorizzazione e vendita riferiti al 2018 è divenuta pubblica lunedì 13 maggio.
Il primo dato che emerge chiaramente è il -53% delle autorizzazioni concesse nel 2018 rispetto all’anno precedente. Il totale riferito allo scorso anno infatti è di 5,2 miliardi di euro, contro gli oltre 10 miliardi di euro del 2016, un numero che però è ancora sensibilmente superiore a quello riscontrato dagli anni ‘90 al 2000.
L’UAMA e le autorizzazioni
Il responsabile per le politiche degli scambi nel settore della Difesa è il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, naturalmente d'intesa con il ministero della Difesa, con il ministero dello Sviluppo Economico e con la presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare le autorizzazioni vengono firmate dall’UAMA, cioè l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento.
Come abbiamo visto quindi le autorizzazioni per il 2018 sono state di 5,246 miliardi di euro, per quanto riguarda il materiale in uscita. Di questi la commessa più ingente è stata l’autorizzazione di circa 1,6 miliardi di euro per 12 elicotteri NH-90, mentre sul valore del 2017 influiva un pacchetto contrattuale di 4,2 mdi per la fornitura di navi e batterie costiere, principalmente verso il Qatar.
Gli elicotteri NH-90 sono mezzi che sono stati utilizzati nelle operazioni internazionali in Afghanistan ed Iraq ma anche in operazioni di salvataggio, come ad esempio l’evacuazione delle persone dalla nave Norman Atlantic che il 28 dicembre 2014 prese fuoco nel Canale d’Otranto.
Prodotti dalla Leonardo, un'azienda italiana il cui maggior investitore è proprio il Ministero dell'economia e delle finanze che ne detiene un 30%, ed è di fatto il nome con cui ora si identifica Finmeccanica, la società presieduta da Gianni De Gennaro e di cui Alessandro Profumo è amministratore delegato.
L’NH-90 è quindi l’elicottero di punta che per ora conta quasi 550 acquirenti di 14 nazioni diverse.
Cabina di pilotaggio elicottero NH-90
A quali Paesi esportiamo
Nel 2018 l’Italia ha esportato armi in 84 Paesi del Mondo.
Il destinatario di singole licenze superiori al miliardo di euro è stato il Qatar, mentre altri 7 Paesi risultano destinatari di licenze comprese tra i 100 e i mille milioni di euro. Tra questi, tre sono Paesi extra-UE con condizioni indubbiamente particolari come Pakistan, che sta vivendo continue tensioni con l’India (APPROFONDISCI) la Turchia, stretta tra problemi di repressione interni e la precaria situazione mediorientale, e gli Emirati Arabi Uniti. Il Regno unito, che fino al 2017 era il principale mercato di sbocco italiano nel settore, scala all’ottavo posto.
Le società autorizzate all’esportazione, al 31 dicembre 2018 erano 334. Molte di queste, come abbiamo visto, sono a partecipazione statale con l’imbarazzante situazione di essere sia controllori che controllati. Le ispezioni infatti vengono svolte sempre dall’Autorità nazionale UAMA, che è a sua volta composta da personale dei ministeri degli esteri e della cooperazione internazionale, Interno, Difesa - esercito e carabinieri, Economia e Finanze - Agenzia delle Dogane e guardia di finanza, e Sviluppo economico.
Le aziende ai vertici della classifica per licenze ricevute sono la Leonardo (con oltre 3,2 miliardi autorizzati), la RWM Italia (quasi 300 milioni), MBDA Italia (234 milioni) e Iveco Defence (quasi 200 milioni) seguite poi da Rhenimetall Italia, Fabbrica d’armi Pietro Beretta e Piaggio Aero (tutte con oltre 50 milioni di licenze).
Parlando dell RWM, in questi giorni è sotto l’occhio del ciclone mediatico per un motivo ben preciso. Questa fabbrica, con sede centrale in Germania (è partecipata al 100% dalla tedesca Rheinmetall), con il quartier generale a Ghedi, in provincia di Brescia e la produzione in Sardegna nella zona di Domusnovas nel Sulcis Iglesiente, fabbrica le bombe aeree della classe MK80 (precisamente le MK82). Queste bombe sono state vendute all’Arabia Saudita anche nel 2018 per un valore complessivo di 42.139.824 euro, in tre diverse forniture per un totale di 1.756 bombe.
Queste forniture fanno capo a delle autorizzazioni rilasciate dall’allora governo Renzi (2016) per un valore di oltre 411 milioni di euro e 19.675 bombe.
Queste bombe prodotte a Domusnovas, come riporta Rete Disarmo, vengono utilizzate dall’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen. “Un rapporto dell’Onu del gennaio del 2017 ha documentato l’utilizzo di queste bombe nei bombardamenti sulle zone abitate da civili in Yemen e un secondo rapporto redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato che questi bombardamenti possono costituire crimini di guerra”.
La situazione quindi è intricata in quanto l’Arabia Saudita non è ancora un paese sotto embargo per quanto riguarda l’esportazione di armi, anche se diverse risoluzioni del Parlamento Europeo ne avrebbero fatto richiesta. In particolare si tratta della risoluzione del 13 settembre 2017 sull’esportazione di armi (“considerando che il Parlamento europeo, nella sua risoluzione del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen, ha invitato il vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (VP/AR) ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'UE di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita”) e della risoluzione del 4 ottobre 2018 sulla situazione nello Yemen (“esorta, in tale contesto, tutti gli Stati membri dell'UE ad astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all'Arabia Saudita”).
Il governo Conte, nella figura del premier si è dichiarato “contrario alla vendita di armi all’Arabia Saudita per il ruolo che sta svolgendo nella guerra in Yemen”. Per ora questa fornitura, che ricordiamo si rifà ad una concessione del 2016, non è stata interrotta.