SCIENZA E RICERCA

Marx, il matematico che non ti aspetti

Karl Marx? Un matematico. Autore di pregevoli saggi sul concetto di funzione derivata e sul differenziale. Marx, un matematico puro: è una dimensione poco conosciuta al grande pubblico quella del grande pensatore tedesco. Ma date una scorsa ai Manoscritti matematici, ripubblicati qualche anno fa in italiano a Milano dall’editore Spirali per la cura di Augusto Ponzio, e vi accorgerete che quella di matematico puro non è, per Karl Marx, una dimensione usurpata.

 Certo, è del tutto inutile ricordare che il pensatore nato il 5 maggio 1818 – 200 anni fa – a Treviri è molto più noto come il grande economista che ha scritto Il Capitale, come il filosofo che ha fondato il “materialismo storico”, come il pensatore che ha inaugurato il «socialismo scientifico» e come l'attivista politico che, insieme a Friedrich Engels, ha scritto il Manifesto del partito comunista e ha partecipato alla Comune di Parigi. Tuttavia Marx non è stato solo questo. È stato anche altro ancora. Un matematico, appunto. Capace di penetrare i fondamenti della scienza dei numeri. E un critico della scienza e della filosofia naturale del suo tempo, perché convinto che senza un'analisi attenta della scienza e delle nuove conoscenze che essa produce non si può essere né buoni economisti, né buoni filosofi, né buoni politici.

Tuttavia se leggiamo i suoi Manoscritti matematici ci accorgiamo che sarebbe riduttivo pensare che l'interesse che mostra Marx per la «serva e padrona di tutte le scienze» sia funzionale ai suoi interessi di teorico dell'economia, di filosofo e di pensatore politico. Marx riconosce il valore culturale in sé della matematica. E la studia anche e soprattutto per questo. Con obiettivi assolutamente ambiziosi, comuni a molti tra i più grandi matematici del suo tempo. Ma, forse, è meglio andare con ordine.

I Manoscritti matematici sono un insieme di lavori sulla scienza dei numeri scritti da Marx nel corso dell'intera sua vita, pubblicati per la prima volta nel 1933 in Unione Sovietica e apparsi successivamente solo per frammenti in lingua italiana. Per formazione culturale Karl Marx è molto attento alle scienze. Non si è forse laureato discutendo una tesi sulla filosofia naturale di Democrito e di Epicuro? Ma nel corso della sua vita è la matematica che lo affascina. Sia perché la conoscenza matematica è necessaria a chiunque si avvicini all'economia. Sia perché Marx si convince che nessuna scienza, neppure l'economia politica, può dirsi davvero sviluppata se non si fonda sulla matematica.

Ma c’è di più. Molto di più. I suoi manoscritti matematici hanno un doppio e ambiziosissimo obiettivo: non solo fondare l'economia politica sulla matematica, ma anche fondare su solide basi la matematica stessa. E, in particolare, quel nuovo modo di fare matematica che è il calcolo differenziale inventato da Isaac Newton e Gottfried Wilhelm Leibniz. Il primo obiettivo – fondare l'economia su solide basi matematiche – è degno di un economista teorico del suo calibro e comune ai grandi studiosi di economia del suo tempo, da Léon Walras a William Jevons. Il secondo obiettivo –  fondare il calcolo differenziale su solide basi concettuali – è ancora più ambizioso e comune solo ad alcuni grandi matematici del suo tempo, come Augustin Cauchy ed Eric Weierstrass.

Marx, dunque, si percepisce come un grande matematico che dialoga con i più grandi del suo tempo.

I motivi di fondo che inducono Marx a cercare una teoria profonda del calcolo differenziale risiede nella «fondazione mistica» che ne hanno dato Newton e Leibniz: ovvero, lo hanno introdotto, il calcolo differenziale, ma non lo hanno ben definito. Questo limite del calcolo moderno – decisivo per la matematizzazione e quindi per lo sviluppo della fisica – è stato colto e affrontato molto prima di Marx: già a partire dal XVIII secolo, infatti, molti grandi matematici, come Jean Le Rond d'Alembert e poi da Joseph Louis Lagrange, si sono posti il problema fondazionale. Un problema che, tuttavia, non è ancora stato davvero risolto. L'intenzione di Marx è, dunque, proprio questa. Andare oltre d'Alembert e Lagrange e fondare su basi concettuali finalmente solide il calcolo differenziale.

Beninteso, Karl Marx non è un matematico di primaria grandezza.

Non è neppure aggiornato sugli ultimi sviluppi della letteratura matematica. Mentre esperisce il suo tentativo non sa che Cauchy e Weierstrass stanno risolvendo proprio i problemi che lui pone. Tuttavia i suoi tentativi, che subiscono un'accelerazione proprio negli ultimi anni di vita, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80 del XIX secolo, non sono affatto banali e si muovono nella medesima direzione di Cauchy e Weierstrass. Di più: il problema fondazionale sarà al centro dell’attenzione dei matematici di tutto il mondo tra la fine del XIX e i primi trent’anni del XX secolo.

In definitiva, Marx non risolve certo il problema dei fondamenti. Ma ha intuito in maniera abbastanza indipendente qual è la questione e quale strada occorre seguire per trovare la soluzione. Non è davvero poco.

Ma Marx ha capito qualcosa di più. Ha capito che occorre fondare su basi matematiche l'economia. Che il calcolo differenziale costituisce un elemento indispensabile di questa fondazione. E che per fondare su solide basi l'economia, occorre avere una matematica a sua volta ben fondata. Quello della doppia fondazione è stato un problema intuito solo da Marx. D'altra parte poche persone hanno una conoscenza profonda di due discipline così distanti nello spazio delle scienze. Nelle stesse settimane in cui l'editore Spirali pubblicava i Manoscritti matematici di Marx, l'editore Meltemi pubblicava un libro, Darwin e la filosofia, in cui Patrick Tort ricostruisce il rapporto tra il pensiero del naturalista inglese e quello dell'economista tedesco. Un rapporto per certi versi mancato. Perché Marx si lascia fuorviare dall'interpretazione sociale che del darwinismo propone Herbert Spencer. E che tuttavia, al netto di questo errore (Darwin non intende nel modo più assoluto estendere al sociale l'idea di selezione naturale mediante sopravvivenza del più adatto) contiene un'intuizione profonda da parte di Marx. L'evoluzione biologica per selezione naturale costituisce il substrato di quel materialismo storico con cui egli legge la storia umana. La teoria biologica di Darwin costituisce, dunque, il fondamento naturale della sua teoria politica e sociale. Il tema fondazionale è, dunque, ricorrente in Karl Marx. E costante è l'idea che la ricerca di solide basi concettuali per ogni teoria economica, filosofica e politica possa essere fruttuosa solo se avviene facendo riferimento all'ambito, rigoroso, delle scienze naturali e della matematica. Un'idea che sarà ripresa, in termini diversi, da un altro grande tedesco, Albert Einstein, secondo cui «la scienza senza filosofia è arida, ma la filosofia senza la scienza è vuota». E questo vale anche per la filosofia politica. Oggi più che mai.

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