Le Alpi sono sempre più verdi, ma non c’è da festeggiare. L’inverdimento delle Alpi è infatti una conseguenza dei cambiamenti climatici: i ghiacciai si stanno ritirando, il manto nevoso diminuisce, mentre la vegetazione avanza. Questo fenomeno, che ha un impatto considerevole sugli ecosistemi alpini e i servizi ecosistemici che ci offrono – primo tra tutti l’approvvigionamento idrico – è ora visibile anche dallo spazio. È questo il quadro drammatico presentato sulle pagine di Science da un team di ricercatori svizzeri, olandesi, e finlandesi.
La fusione e l’arretramento dei ghiacciai è il segno più visibile del cambiamento climatico. E proprio come accade nelle regioni artiche, anche la catena montuosa delle Alpi – che segna il confine tra la placca euroasiatica e quella africana – sta diventando sempre meno bianca e sempre più verde. L’arretramento e l’assottigliamento dei ghiacciai alpini è ormai documentato e monitorato da anni: il ghiacciaio della Marmolada, per esempio, solo nell’ultimo anno è arretrato di circa 6 metri e in meno di 15 anni potrebbe scomparire. Quello della Marmolada non è l’unico ad arretrare velocemente, come mostrato dal progetto Sulle tracce dei ghiacciai in cui il fotoconfronto del prima e del dopo di moltissimi altri ghiacciai è spesso impietoso.
Per valutare lo stato di salute delle Alpi, però, non dobbiamo guardare solo ai ghiacciai, ma anche alla copertura nevosa e alla vegetazione. Così, il gruppo guidato da Sabine Rumpf dell’Università di Basilea, con Grégoire Mariéthoz e Antoine Guisan dell’Università di Losanna, insieme ai colleghi di Paesi Bassi e Finlandia, ha esaminato i cambiamenti del manto nevoso e della vegetazione alpina utilizzando dati satellitari ad alta risoluzione dal 1984 al 2021.
Stando ai risultati, in questi 38 anni, il manto nevoso in tutta la regione alpina è diminuito in modo significativo, sebbene in meno del 10% dell’area studiata. Ma quella osservata è comunque una tendenza preoccupante, mai riscontrata prima, e che lascia alcune zone già totalmente prive di neve. Dall’altra parte, la biomassa vegetale al di sopra del limite del bosco è invece aumentata di oltre il 77%. Di fatto le Alpi stanno quindi diventando più verdi perché le piante colonizzano nuove aree prima inaccessibili. Con temperature più alte, estati più lunghe e variazioni delle precipitazioni il limite della vegetazione si sposta verso quote più elevate, le specie di quote più basse scalano le montagne, mentre di fatto viene compresso l’areale delle piante alpine endemiche di alte altitudini, adattate alle difficili condizioni di un ambiente freddo, che sono sottoposte a una notevole pressione. E la situazione è la stessa anche per molte altre vette europee: la biodiversità botanica sulle cime d’Europa è aumenta a vista d’occhio. Lo denunciava già nel 2018 Nature, che all’argomento aveva dedicato la copertina del n.556: in 145 anni, dal 1871 al 2016, sulle pendici di 261 montagne europee (su 300 monitorate) avevano messo radici nuove specie di piante, un fenomeno che dal 2007 è andato accelerando.
Gli ambienti di montagna si stanno riscaldando a un ritmo che è all’incirca doppio rispetto alla media globale. E sebbene l’inverdimento delle Alpi potrebbe avere una nota positiva – ovvero potrebbe aiutarci a sequestrare più carbonio dall’atmosfera – di contro rischia di essere un disastro ecologico a tutti gli effetti, perché innesca un ciclo a feedback positivo, ovvero un circolo vizioso, che porterà le Alpi a essere sempre meno bianche e sempre più verdi. E più le catene montuose sono verdi, più la loro albedo diminuisce: cioè riflettono meno luce solare. Quindi si riscaldano più velocemente e questo porta a un ulteriore restringimento del manto nevoso, a un ulteriore fusione dei ghiacciai o del permafrost, con una lunga lista di impatti negativi.
I paesaggi montani, infatti, sono hotspot di biodiversità e forniscono una serie di importanti servizi ecosistemici. Il disgelo potrebbe minare la stabilità dei versanti, e potremmo aspettarci frane, crolli e colate di fango. Senza contare il ruolo fondamentale della neve e del ghiaccio alpino nell’approvvigionamento di acqua potabile: il principale servizio ecosistemico offerto dalle catene montuose, soprattutto in tempi di siccità prolungate. Senza i ghiacciai, nei mesi estivi, la portata dei fiumi del nord Italia verrebbe drasticamente ridotta, con ripercussioni sulla disponibilità di acqua potabile, la gestione energetica e l’agricoltura. E a questi effetti negativi dovremmo aggiungere anche gli impatti su un altro servizio ecosistemico delle Alpi che negli ultimi decenni abbiamo sfruttato come non mai: il turismo e le piste da sci. E no, coprire i ghiacciai con dei teli termici non è una soluzione. Anzi, rischia di essere parte del problema.