Da una parte ci sono il direttore del Wall Street Journal, Gerard Baker, quello del New York Times, Dean Baquet e il direttore del Washington Post, Martin Baron. Dall'altra il vicepresidente di Google News, Richard Gingras, il direttore delle partnership mondiali sui contenuti di News Twitter, Peter Greenberger e la direttrice dei Prodotti News di Facebook, Alex Hardiman.
“I player della rete fanno ricavi sfruttando contenuti di altri. Occorre una distribuzione più equa dei guadagni o i nostri editori non ce la faranno più. Non stiamo chiedendo la luna. Anno dopo anno il giornalismo diventa sempre più antieconomico. L’oscurità si farà più impenetrabile e questo ucciderà la democrazie”, afferma Baker del Wall Street Journal.
“Dal nostro punto di vista gli editori hanno goduto di tecnologie per la distribuzione dei ricavi pubblicitari che hanno consentito loro di guadagnare 12,7 miliardi di dollari. Ogni mese da Google partono più di 10 milioni di visite alle pagine degli editori. Sarei cauto sulla richiesta di creare un altro sistema di distribuzione. Come si realizzerebbe tutto ciò? Ci sarà un'istituzione che decide quale è il giornalismo di qualità? Non dobbiamo creare strumenti artificiali”, ribatte Gingras di Google News.
Editori contro colossi del web. È in gran parte questo il dibattito al cuore della riforma della direttiva sul copyright, che era stata respinta al Parlamento Europeo nei primi di luglio. Nel maggio scorso, la questione, riportata dal Sole24Ore, era finita sul palco di “Crescere tra le righe”, il convegno organizzato dall'Osservatorio Giovani-Editori a Borgo La Bagnaia, nei pressi di Siena.
Oggi mercoledì 12 settembre il Parlamento Europeo è tornato al voto sulla medesima riforma. I numerosi emendamenti proposti non hanno di fatto modificato il nocciolo della direttiva. Con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni la riforma è stata approvata.
La riforma stabilisce che gli editori ricevano compensi “consoni ed equi” per l’uso dei loro materiali da parte dei “fornitori di servizi nella società dell’informazione”. La maggior parte dei guadagni derivanti dalla pubblicazione di contenuti online oggi viene dalla pubblicità; solo una piccola parte di questi ricavi però arrivano a chi questi contenuti effettivamente li produce, ovvero artisti, autori, giornalisti ed editori. L'obiettivo principale della riforma è dunque quello di tutelare i produttori di contenuti introducendo un compenso ai proprietari dei diritti d'autore ogniqualvolta un contenuto protetto da copyright viene condiviso da altri siti online.
Tale misura è stata concepita per il miglioramento della qualità dell'informazione online e per la lotta alle fake news, ma contro la proposta di riforma quest'estate si erano sollevate diverse voci, specialmente in merito all'articolo 11 e all'articolo 13. Il primo verte sulla cosiddetta link tax, il compenso da pagare all'editore o al titolare del diritto d'autore quando viene condiviso un link, o meglio uno snippet, ovvero quell'anteprima che presenta link, titolo e breve descrizione di un articolo. Il secondo introduce un sistema di filtri che le aziende private possono adottare per controllare la condivisione di contenuti soggetti a copyright.
Il creatore del Web Tim Berners-Lee già nel giugno scorso aveva inviato una lettera al Parlamento Europeo, firmata da altre numerose personalità di spicco, esprimendo le sue forti preoccupazioni: la riforma, oggi approvata, potrebbe stravolgere la natura stessa di internet, strutturato proprio attorno all'idea del libero link ipertestuale. Dalla parte delle companies americane questa volta si sono schierati anche gli attivisti difensori della libertà del web.
La crisi della carta stampata ha fatto sì che gli editori siano arrivati a pubblicare gratuitamente sulla pagina web i propri contenuti, in vista di ottenere un aumento del numero di lettori. Una volta online però i contenuti (articoli nel caso di un giornale) possono essere rilanciati da qualsiasi sito web, non necessariamente legato all'editore che li ha per primo pubblicati.
Google News è quel servizio di Google che aggrega notizie prodotte da diversi editori, andando incontro a quelli che l'algoritmo di Google ritiene possano essere i gusti del lettore. Ogni articolo nella pagina di Google News è presentato appunto con uno snippet (o anteprima). Se il lettore resta su Google News, l'editore o il produttore del contenuto non ottengono alcun guadagno, mentre Google ottiene dalla pubblicità un guadagno proporzionale al traffico di utenti, aumentando al contempo il prezioso bacino di dati relativi agli utenti stessi.
Gli editori non hanno mai visto Google News come un potenziale alleato capace di portare traffico di lettori, hanno sempre visto piuttosto questi aggregatori di notizie come una violazione del copyright. Da qui il loro sostegno alla riforma e alla cosiddetta link tax.
Con la link tax, i piccoli siti aggregatori di notizie probabilmente saranno destinati a sparire, non disponendo delle risorse economiche sufficienti per sostenerla. Google News avrebbe al contrario le risorse per pagare questo compenso agli editori, ma non è detto che vorrà farlo.
Spagna e Germania hanno già adottato, a livello nazionale, misure analoghe alla riforma del copyright approvata oggi. Il risultato è stato che Google News ha scelto di chiudere (tanto il modello di business di Google è basato sulla pubblicità e le news non impattano in maniera sostanziale) e gli editori hanno visto una notevole riduzione del traffico di utenti.
Facebook probabilmente non sarà interessato dall'articolo 11 della riforma, perché sul social network sono gli editori e i giornalisti stessi a scegliere di postare la notizia o il contenuto. Per quanto riguarda la messaggistica istantanea (Messenger e WhatsApp) la normativa lascia spazio a qualche dubbio interpretativo, visto che si basa su un sistema di anteprime più o meno assimilabile agli snippet. Anche Wikipedia (progetto di conoscenza condivisa) non dovrebbe venire interessata in modo significativo, anche se nei giorni scorsi l'enciclopedia ha oscurato le immagini che corredano le sue voci per protestare contro le decisioni prese a riguardo della cosiddetta libertà di panorama, che prevede la possibilità di scattare o riprodurre fotografie di opere o luoghi pubblici senza infrangere il diritto d'autore che le coprirebbe. La direttiva inizialmente conteneva una libertà di panorama estesa a tutta l'UE, succesivamente si è scelto di lasciar ciascuno Stato Membro decidere autonomamente a tale riguardo.
Quanto all'articolo 13, l'idea complessiva è che ogni fornitore di servizi online adotti un sistema simile al “Content ID” di YouTube, volto a evitare che vengano caricati contenuti che violano il copyright. Ancora una volta, è probabile che le grandi piattaforme dispongano dei mezzi per munirsi di questo sistema di filtri, mentre le piccole no. Inoltre, si presenterebbe il problema etico di affidare a un algoritmo la responsabilità di decidere se un'opera di satira, ad esempio, o anche solo un meme, violi o no il diritto d'autore.
“ Il rischio potrebbe essere quello di andare verso un web in cui l'informazione online è a pagamento e controllata da pochi grandi editori
Un altro aspetto centrale è relativo al modello di business che questa riforma più o meno implicitamente promuove. Mentre il settore editoriale online sta iniziando a virare verso sistemi a pagamento e abbonamenti, la riforma sembra essere ferma a un sistema gratuito basato sul traffico e sui proventi della pubblicità. Venendo meno gli aggregatori di notizie gratuiti (quelli piccoli probabilmente impossibilitati a sostenere i costi della condivisione, quelli grandi poco propensi a farlo) gli utenti avranno meno opzioni per informarsi gratuitamente. Il rischio potrebbe essere quello di andare verso un web in cui l'informazione online è a pagamento e controllata da pochi grandi editori. Se ciò potrebbe essere una conquista per la categoria dei giornalisti, si potrebbe generare un problema per quanto riguarda il diritto al libero accesso all'informazione.
Quella di oggi era probabilmente l'ultima occasione utile per votare la riforma sul copyright, poiché la prossima legislatura con ogni probabilità mostrerà nuovi equilibri politici. I prossimi passaggi istituzionali prevedono ora la negoziazione tra istituzioni europee e stati membri.