Daniele Mencarelli, poeta e romanziere, ha chiuso quest’anno con Sempre tornare (Mondadori) una “trilogia autobiografica” inaugurata nel 2018 da La casa degli sguardi (che ha vinto il Volponi, il premio Severino Cesari opera prima e il John Fante opera prima) cui è seguito nel 2020 Tutto chiede salvezza con cui si è aggiudicato lo Strega giovani.
Tratta da quest’ultimo, è andata in onda su Netflix, a partire dallo scorso 14 ottobre, l'omonima serie tv in sette puntate con la regia di Francesco Bruni, che ha avuto un bel successo di critica ma soprattutto di pubblico. Si è così tornati a parlare del romanzo, cosa che sarebbe bello accadesse più spesso, perché i romanzi non sono yogurt, anche se alle volte si ha la sensazione che vengano equiparati alle merci deperibili.
L’opera di Mencarelli raggiunge così una fetta di pubblico nuovo che andrà probabilmente a (ri)scoprire il testo per trovare con la serie identità (moltissime) e differenze (queste ultime, spiega l’autore – che ha lavorato anche alla sceneggiatura –, principalmente dovute allo spostamento temporale degli eventi dal 1994 a oggi) ma soprattutto a immergersi nell’opera letteraria che, per quanto vicina alla sua trasposizione televisiva, conserva la potenza della parola.
Mencarelli non fa mistero che quel che racconta gli è successo veramente ma, spiega, nonostante lui agisse tra le pagine (il protagonista ha proprio il suo nome e cognome, anche se in realtà poco importa), quel che sente di aver detto scrivendo ha piuttosto a che fare con gli altri, non con se stesso. “Per me” dice “Daniele di Tutto chiede salvezza, ora che la serie è stata girata, ha il volto e le fattezze di Federico Cesari, l’attore che lo ha impersonato, e non il mio volto”. Perché il suo, di volto, è come non l’avesse mai avuto, nonostante l’autore racconti con discreta precisione una vita che è la sua.
“ A terrorizzarmi non è l’idea di essere malato ma il dubbio che tutto sia nient’altro che una coincidenza del cosmo, l’essere umano come un rigurgito di vita, per sbaglio Daniele Mencarelli
La sua opera è un canto universale: quando l’artista riesce a mostrare quanto sfumati nella vita siano i contorni, ecco che ha fatto pienamente il suo mestiere. Il romanziere non è che sappia qualcosa che riproduce tracciando un segno definito, piuttosto intuisce una voce che, nella sua particolarità, è di tutti.
Il protagonista della storia, un ventenne alle prese con una vita come tanti, si trova a essere ricoverato una settimana per un trattamento sanitario obbligatorio, ricorda a stento cosa sia successo, si domanda se abbia senso per lui stare lì e se ne vergogna, ma proprio lì incontra “l’altro” nella più elevata forma di alterità e di vicinanza insieme. Nella camerata con lui c’è Gianluca, omossessuale, probabilmente borderline (ha “la nera” e “la bianca”: sono le personalità), Madonnina che grida alla Vergine di aiutarlo e che a Daniele ha dato fuoco ai capelli, Mario che ha già sessant’anni e per di là ci è passato molte volte – pare che sia diventato pericoloso per la sua famiglia, lui che sembra così riservato e che lì pensa solo a dar da mangiare a un passerotto sul davanzale –, Giorgio che ha perso la madre da un momento all’altro e non se ne fa una ragione anche se di acqua sotto i ponti ne è passata, Alessandro che sa solo guardare il vuoto.
Ma non serve stare in un reparto psichiatrico per sentirsi inadatti, per non capire cosa ci succede, per chiedersi quale sia il confine tra sanità e malattia, se Dio esiste e allora perché il mondo è così. Tutti siamo in cerca di salvezza.
“Quello che voglio per tanto tempo non è stato semplice da dire, tentavo di spiegarlo con concetti complicati […] Un poco alla volta ho accorciato, potato, sino ad arrivare a una parola sola. […] Salvezza. Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo? O forse questa cosa che chiamo salvezza non è altro che uno dei tanti nomi della malattia, forse non esiste e il mio desiderio è solo un sintomo da curare. A terrorizzarmi non è l’idea di essere malato […] ma il dubbio che tutto sia nient’altro che una coincidenza del cosmo, l’essere umano come un rigurgito di vita, per sbaglio”.
Abbiamo intervistato, oltre all’autore, Daniele Mencarelli, anche l’attore Andrea Pennacchi che nella serie televisiva veste i panni di Mario.