Ansia, dipendenza e altri disturbi psichiatrici sono spesso caratterizzati da un intenso stato di attivazione neurovegetativa dell’organismo: il cuore batte velocemente, la pressione sanguigna aumenta, il fiato diventa corto. Ebbene queste condizioni fisiche, a loro volta, possono influire sulla nostra capacità di prendere decisioni. Nel tentativo di capire come questi stati possano influenzare i processi decisionali del cervello, gli scienziati della Icahn School of Medicine al Mount Sinai hanno condotto uno studio su alcune scimmie, rilevando una effettiva correlazione tra attività cardiaca e risposta neurale. I risultati sono stati recentemente pubblicati nella rivista scientifica Pnas (Interaction between decision-making and interoceptive representations of bodily arousal in frontal cortex).
“La relazione tra la nostra performance in generale - esordisce Claudio Gentili, del dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova, con cui abbiamo approfondito l’argomento - che si tratti di dare un esame, essere concentrati o svolgere un compito motorio come una gara di atletica, dipende dal nostro grado di attivazione (arousal). All’aumentare dell’arousal noi mettiamo in atto una serie di risposte neurali, ma anche in generale somatiche, che ci permettono una performance migliore e sono in parte legate a un aumento della pressione arteriosa, a un aumento del battito cardiaco, a una respirazione che cambia, dunque tendenzialmente collegate a una stimolazione del sistema nervoso autonomo e in particolare del sistema nervoso simpatico. È noto da anni in psicologia comportamentale che quando l’arousal supera una certa soglia, però, la performance decade: in termini tecnici si chiama effetto a U rovesciata, poiché la performance prima sale e poi scende”. In pratica, un arousal considerato funzionale è quella “scarica di adrenalina”, si direbbe nel parlare comune, che ci allerta e ci aiuta.
“Questo - continua Gentili - è noto anche nella psicologia della decisione: le decisioni, cioè, vengono prese meglio quando c’è un certo grado di attivazione e vengono prese meno bene invece quando il grado di attivazione o è troppo basso o è eccessivo. Nello studio pubblicato su Pnas i ricercatori hanno dimostrato che le aree cerebrali che tradizionalmente sono considerate aree del decision making non solo si attivano nelle decisioni, ma hanno una scarica che è coerente, che correla con l’attività cardiaca”.
Intervista completa a Claudio Gentili del dipartimento di Psicologia generale dell'università di Padova su ansia, disturbi psichiatrici e decision making. Montaggio di Barbara Paknazar
I ricercatori, in un primo momento, hanno testato la capacità di tre scimmie di scegliere tra due ricompense: come atteso, gli animali hanno optato per la ricompensa migliore, arrivando in media più velocemente alla decisione, quando la frequenza cardiaca era maggiore, avvalorando in questo modo l’idea che un certo stato di attivazione favorisca una performance migliore.
In seguito, gli scienziati hanno analizzato l'attività elettrica dei neuroni degli animali in due centri decisionali del cervello, la corteccia orbitofrontale e la corteccia cingolata anteriore dorsale, rilevando che l’attività di circa un sesto dei neuroni in entrambe le aree era correlata alla variazione della frequenza cardiaca. Se variava la frequenza cardiaca, anche l’attività di tali neuroni cambiava, rallentando o accelerando. Gli studi condotti, dunque, suggerivano che lo stato di attivazione corporea altera l'attività di questi centri decisionali.
A quel punto i ricercatori si sono chiesti cosa potrebbe accadere durante alcuni stati di attivazione particolarmente accentuati che si osservano, per esempio, in pazienti che soffrono di ansia, dipendenza e altri disturbi psichiatrici. Per cercare di trovare una risposta, hanno “spento chirurgicamente” in ogni animale l’amigdala, il centro emotivo del cervello. Ebbene dopo la lesione dell’amigdala, la frequenza cardiaca è aumentata e la relazione tra l’attività cardiaca e i tempi di reazione è stata alterata. Più aumentavano i battiti, più lentamente gli animali sceglievano la ricompensa, suggerendo che uno stato di attivazione dell’organismo particolarmente elevato, ostacola il processo decisionale.
Gli scienziati hanno inoltre rilevato che l’accresciuto stato di attivazione corporea diminuisce il numero di neuroni coinvolti nel processo decisionale: “E’ come se il dover monitorare il battito cardiaco togliesse risorse (neuroni) all’altro compito che si deve fare, cioè prendere una decisione - commenta Gentili -: più neuroni tengono conto del ritmo cardiaco e meno possono essere impegnati a prendere la decisione giusta”.