Alla Commissione trasporti della Camera è in discussione il testo del nuovo codice della strada che dovrebbe entrare in vigore nel 2019. Di ufficiale non c'è ancora nulla, ma sono trapelate importanti novità, e, ancora prima dell'approvazione, sono già scattate le polemiche.
La novità che avrebbe più impatto sull'umore e i portafogli femminili sarebbe l'obbligo del casco per tutti i ciclisti. Se prima evitando moto e motorini ci si salvava, ora le chiome leonine verrebbero piallate, mentre chi in testa ha i classici quattro spaghetti li vedrebbe ridursi a due. I parrucchieri brindano al colpaccio, le clienti un po' meno, ma qualcuno sta già pensando a postazioni di noleggio asciugacapelli e ferri arriccianti.
Un'altra delle modifiche sarebbe quella che prevede l'aumento esponenziale delle aree urbane con il limite dei 30 chilometri orari (come se si fosse mai rispettato quello dei 50): si sa, tutto ciò che è slow va di moda, soprattutto se ti licenziano per i continui ritardi e ti ritrovi costretto a far passare quelle eterne otto ore sperando che nel frattempo arrivi il reddito di cittadinanza. Questo nuovo limite, però, potrebbe facilitare una delle novità più contestate: il controsenso ciclabile. Le bici potrebbero circolare contromano anche in carreggiate più strette rispetto ai 4.25m previsti ora salvo deroga. A ispirare la decisione, oltre al tentativo di limitare le emissioni inquinanti favorendo i mezzi a due ruote, c'è un certo desiderio di emulazione dei paesi del nord (ma non solo).
Le sperimentazioni già avviate in Germania, Francia, Belgio, Svizzera, Spagna, Ungheria e nei paesi del Nord Europa hanno dimostrato che non solo permettere alle bici di procedere in contromano in determinati tratti non aumenterebbe gli incidenti, ma, anzi, li renderebbe meno probabili, perché per una sorta di "ipercorrettismo stradale" le auto, sapendo di rischiare il frontale, andrebbero meno veloci e i guidatori sarebbero più attenti.
Uno studio condotto a Bruxelles, dove l'80% delle strade a un solo senso di marcia può essere percorso contromano dai ciclisti, solo il 5% degli incidenti è avvenuto su queste strade, e la maggior parte di essi si è verificato vicino a un incrocio o a un bivio.
Un'altra variabile da considerare è che molte bici corrono sui marciapiedi quando non hanno una carreggiata disponibile. Certo, non potrebbero, ma talvolta l'anarchia ciclistica è impossibile da contrastare. Le vittime in questo caso sono i pedoni, che avrebbero il diritto di camminare con tranquillità sui marciapiedi, senza doversi votare al primo santo schiva-bici disponibile sul mercato. È vero che, mediamente, un sinistro tra auto e bici porta a conseguenze più gravi di quelle che queste ultime infliggerebbero a un povero pedone, ma non è un buon motivo per sacrificare chi non siede su un sellino.
Certo, si parla di paesi civilissimi, i cui abitanti probabilmente i metterebbero a piangere appena usciti da Fiumicino, o perlomeno dopo i primi dieci minuti passati a cercare di attraversare una strada. Ma siamo davvero sicuri che in Italia non potrebbe funzionare? Se il tentativo del 2012 da parte di Ivo Rossi a Padova non è andato a buon fine nonostante gli auspici di Legambiente e un parere più o meno favorevole da parte del Ministero, in realtà diverse pare abbia funzionato: Reggio Emilia con il sindaco Delrio è diventata famosa, ma iniziative analoghe sono state avviate anche a Pesaro e Forlì. Città di dimensioni limitate, certo, ma persino a Milano la sperimentazione è cominciata con successo: via Brera è stato il primo tratto cittadino in cui è stato permesso alle biciclette di circolare liberamente contromano, anche in virtù del fatto che era una strada poco trafficata (trattandosi di Milano, però, è tutto dire).
Insomma, come spesso accade, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Sotto al quale, comunque, è sempre bello pedalare (semicit).