SOCIETÀ
Bollette più care: quali sono le cause dell'aumento del costo dell'energia?
Le fonti energetiche primarie da un lato, come i combustibili fossili, e l’energia elettrica dall’altro, che è un vettore, sono delle commodities, si dice in gergo. Sono delle merci: qualcosa che non serve di per sé, ma per gli utilizzi che ne facciamo, come l’acciaio che serve a costruire infrastrutture, o il grano che serve a fare la pasta. Ogni commodity ha un proprio profilo finanziario nel mercato di riferimento e il suo valore è volatile. Ci sono tendenze di lungo periodo e ci sono oscillazioni.
In autunno è atteso un forte aumento delle bollette dell’energia (luce e gas) per le famiglie italiane, addirittura il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ha parlato di un rialzo del 40% della bolletta elettrica. Se si tratti di una temporanea oscillazione o di una tendenza che verrà confermata nel lungo periodo è difficile da dirsi, ma secondo Fulvio Fontini, l’era del gas a basso prezzo è probabilmente terminata.
Fulvio Fontini è professore di economia energetica e ambientale al dipartimento di Scienze economiche e aziendali “Marco Fanno” dell’università di Padova e membro del centro studi di economia e tecnica dell’energia “Giorgio Levi Cases”. Con lui abbiamo provato a capire che effetto avranno questi rincari sulla transizione energetica, quali sono le cause dell’aumento dei costi dell’energia, e quanto tutto ciò impatterà sulle famiglie.
“È difficile fare stime esatte di quanto aumenterà la bolletta, perché ci sono diversi fattori da considerare” spiega Fontini. “Uno è la tipologia di contratto che l’utente ha con il proprio fornitore. Un altro è la dimensione dell’utente: cambia se è un’azienda commerciale o un utente domestico”.
Per quanto riguarda un utente domestico che aderisce al mercato tutelato, come si può leggere sul sito di Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, il costo della sua bolletta elettrica è dato da 4 componenti. Il primo, che pesa per il 59,2% è la cosiddetta componente energia: “tiene insieme quanto costa al nostro rivenditore comprare l’energia sul mercato e il margine di guadagno che ha nel vendercela”. Ci sono poi gli oneri di sistema (10,7%) e trasporto e gestione del contatore (17,5%): “riflettono il costo necessario a fornire a noi l’energia elettrica, i costi di gestione e manutenzione della rete e altre componenti secondo me un po’ improprie, come il canone Rai e i costi di smantellamento delle centrali nucleari che paghiamo da più di 30 anni”. Infine c’è la fiscalità (12,6%).
Arera
“La componente energia è quella più volatile” spiega Fontini, “e nel tempo è andata aumentando anche ben più del 40%, che è una cifra indicativa, una media di medie, e per verificarne la correttezza bisognerebbe vedere a quali medie fa riferimento. In ogni caso quel che è vero è che c’è una tendenza al rialzo del costo dell’energia elettrica”.
La stessa Arera già a luglio aveva previsto che nel terzo trimestre 2021 si sarebbe registrato un aumento del costo per l'energia elettrica del 9,9% rispetto al trimestre precedente per la famiglia tipo (che consuma 2.700 kWh all'anno con una potenza impegnata di 3 kW; per il gas i consumi sono di 1.400 metri cubi annui). Per quanto riguarda la bolletta del gas, l’aumento atteso sarebbe stato ancora maggiore, del 15,3%.
Il costo dell’energia elettrica
Nel mese di settembre il costo della componente energia sul mercato, ovvero quanto costa ai rivenditori l’acquisto dell’energia elettrica, ha superato i 180 €/MWh, secondo i dati raccolti da GME (Gestore Mercati Enrgetici). Per un raffronto, la media nel 2019 era stata di poco inferiore ai 50 €/MWh. “In realtà i prezzi si formano ora per ora e ci sono ore in cui i prezzi sono a zero, ed è normale che sia così, e ore in cui i prezzi vanno anche sopra i 200 €/MWh” specifica Fontini.
“Prima della crisi economica e finanziaria del 2008-2010 non si osservavano prezzi sostanzialmente difformi da quelli attuali, seppur in una struttura di mercato molto differente in termini di tipologie di offerte, impianti e prodotti esistenti. Poi nell’ultimo decennio si è osservato un calo dei prezzi, che son rimasti mediamente più bassi per via di diversi fattori: un aumento dell’offerta, centrali più efficienti, e l’entrata in scena delle rinnovabili”.
Una delle principali cause che determina il prezzo dell’energia è il costo della materia prima che viene trasformata in energia elettrica. Ad oggi nel mondo, circa un terzo dell’energia elettrica viene prodotta in centrali termoelettriche a partire dal carbone, quasi un quarto a partire dal gas, il nucleare contribuisce con il 10%, l’idroelettrico ne produce circa il 15% e le altre rinnovabili, nuove arrivate e in crescita, sono anch’esse attorno al 10%.
In Italia invece, secondo i dati IEA riferiti al 2019, produciamo dai combustibili fossili quasi il 60% dell’energia elettrica (40% solo dal gas), mentre il restante 40% circa è prodotto dalle rinnovabili (idroelettrico, solare, eolico, biocombustibili). Gli obiettivi del Green Deal europeo prevedono di aumentare la quota di energia elettrica prodotta da rinnovabili fino al 65% entro il 2030. La IEA invece, così come IRENA, prevedono che per raggiungere gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050 il 90% dell’energia elettrica dovrà essere generata da fonti rinnovabili, e il 70% solo da solare ed eolico.
Far funzionare una centrale termoelettrica a gas o carbone infatti costa. “Grazie a dio non si paga il sole per funzionare o il vento per soffiare, dunque il prezzo della componente energia delle rinnovabili è più basso, quasi nullo”. Gli anni del Covid hanno accentuato la tendenza al calo del costo dell’energia elettrica, mentre ora stiamo assistendo a un aumento significativo, osserva Fontini.
Il costo del gas
Oltre al prezzo dell’energia elettrica, sui mercati è schizzato alle stelle anche il prezzo del gas, che utilizziamo sia direttamente per riscaldare le nostre abitazioni, sia per produrre energia elettrica con centrali termoelettriche. È arrivato a circa 44 centesimi di euro per metro cubo di gas ad agosto 2021, un prezzo 4 volte più alto dell’era pre-Covid, quando ad agosto 2019 era a 10,7 cent/mc. A settembre in Europa è arrivato a quasi 5 volte il suo prezzo pre-pandemia. Una crescita della domanda di gas dopo i lockdown e una diminuzione delle scorte (la fine dello scorso inverno è stata insolitamente fredda) sono tra le cause di questo aumento.
“Il prezzo del gas è molto importante non solo per il suo impatto sulla componente energia della bolletta elettrica, ma anche perché le centrali a gas forniscono quei fondamentali servizi di bilanciamento: servono a gestire ad esempio gli sbalzi di tensione della rete che si generano quando ognuno di noi accende o spegne un interruttore, oppure l’entrata o l’uscita di energia prodotta da fonti rinnovabili che per loro natura sono discontinue”.
La componente gas ha avuto un forte aumento per diverse ragioni, spiega Fontini. Una ha a che fare con l’aumento del costo dei cosiddetti permessi di emissione della CO2. “Chi genera CO2 producendo energia deve anche comprare dei permessi di emissione per l’equivalente di CO2 che genera. Fino a qualche anno fa oscillavano tra i 3 e i 5 euro a tonnellata di CO2 emessa, adesso sono intorno ai 60 euro per tonnellata, perché sono aumentate le domande di permessi di emissioni, perché col tempo sono venuti meno alcuni meccanismi di condivisione dei permessi e perché si è scelto di esentare sempre meno impianti e sempre meno settori industriali dal dover pagare le conseguenze ambientali delle loro emissioni. Quest’ultima è certamente una scelta politica. Il problema semmai è chi paga questo aumento? Chi utilizza l’energia che ha generato quelle emissioni, cioè l’utente finale. Da un lato questo disincentiva a utilizzare fonti di energia che consideriamo inquinanti, dall’altro però ha un effetto ridistributivo non indifferente perché pesa in modo diverso su fasce di reddito differenti, e in particolare pesa di più per le famiglie meno abbienti”.
Tuttavia, secondo il vice presidente della Commissione Europea Frans Timmermans nonché direttore dei lavori della Commissione sul Green Deal le quotazioni della CO2 sono responsabili per solo un quinto dell'aumento del prezzo dell'energia. La maggior parte dipende da dinamiche di mercato. Per Timmermans, la scarsa autonomia dal gas e la quota ancora troppo bassa di rinnovabili sono parte del problema.
L’aumento del prezzo del gas infatti è legato a una dinamica della domanda. “Il mondo, o meglio la sua parte industrializzata, sta iniziando a uscire dagli effetti del Covid, per lo meno da un punto di vista economico prima che sanitario. C’è quindi un forte aumento della domanda, anche di energia, che porta a un aumento dei prezzi”. Questi ultimi però sono saliti a livelli più alti di quelli dell’era pre-Covid. “È difficile dire perché, ma certamente la transizione energetica è un fattore” dichiara Fontini. “La domanda di energia (non solo elettrica) si sta spostando dal petrolio e dal carbone al gas, che potrebbe fungere da fattore intermedio per favorire la transizione energetica. Nella misura in cui questo aumento della domanda di gas è permanente, non solo adesso ma anche per il prossimo futuro, avremo un significativo aumento del suo prezzo sul mercato”.
Poi c’è anche una dinamica dovuta all’offerta. I mercati del gas sono più regionali rispetto al mercato globalizzato del petrolio. Il gas si trasporta o tramite gasdotti o via navi gasiere che trasportano gas liquefatto. “Il costo delle navi è aumentato sia perché sono state ferme a lungo per effetto dei lockdown e ora hanno ricominciato a viaggiare, sia perché sono aumentati tutti i costi dei trasporti. È poi aumentata la domanda di gas nei Paesi di transito. È aumentata la domanda di gas da parte dell’Asia e in particolare della Cina, che è uscita dalle restrizioni pandemiche prima degli altri: la domanda industriale cinese è aumentata ed è aumentata prima di quella degli altri Paesi. Di conseguenza la maggior parte dei contratti e delle navi gasiere sono andati in Cina”. Anche in Giappone, dopo l’incidente nucleare di Fukushima, la domanda di gas è cresciuta: “oggi il gas è la loro principale fonte di generazione di energia elettrica”.
Anche l’incertezza geopolitica ci ha poi messo del suo. In che misura questo effetto sia strutturale o contingente è la questione che si stanno ponendo tutti. “Io ho l’impressione che sia un po’ più strutturale rispetto a prima e che l’era del gas a basso prezzo (per altro solo per alcuni Paesi) sia destinata a non tornare più”.
Il ruolo delle rinnovabili
Un ulteriore fattore che ha inciso sull’aumento del prezzo dell’energia è la naturale volatilità della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: “abbiamo avuto un anno di calo della piovosità che ha ridotto la produzione dall’idroelettrico”, un fattore che potrebbe diventare nel tempo più incisivo con i cambiamenti climatici, nota Fontini. “In Sud America i bacini idrici sono al minimo storico per via di una forte crisi idrogeologica e un calo della piovosità. In alcuni Paesi come il Brasile in cui l’idroelettrico è ancora molto importante si crea una forte pressione per l’aumento della domanda di gas”.
“Abbiamo anche avuto un calo dell’incremento di produzione da eolico, perché gli investimenti in questo settore si sono fermati per il combinato disposto da un lato della riduzione degli incentivi che hanno portato all’espansione delle rinnovabili negli ultimi 10 anni, dall’altro per effetto del Covid che ha ridotto il Pil e quindi anche gli investimenti”.
Fiscalità e uguaglianza nella transizione energetica
Per far fronte all’aumento dei costi dell’energia proprio in questi giorni il governo sta ridiscutendo il metodo di calcolo della bolletta e potrebbe aver deciso di mettere a disposizione almeno 3 miliardi di euro per attenuare i rincari. Una delle precondizioni della realizzazione del PNRR, dei cui oltre 200 miliardi circa 70 sono destinati alla transizione ecologica, del resto era la riforma del sistema fiscale.
“Per realizzare la transizione dobbiamo ridurre i consumi di energia totale (e questo lo fa il costo della materia prima) e spostare quote di energia primaria dai combustibili fossili all’energia elettrica, ovvero abbiamo bisogno di incrementare l’elettrificazione” sostiene Fontini. “Però c’è da considerare un serio effetto redistributivo”. L’energia elettrica infatti è un bene primario, ovvero meno si è ricchi più si tende a consumarla, e ha un peso maggiore nei bilanci delle famiglie più povere e più trascurabile nelle famiglie più ricche. "L’aumento del costo dell’energia elettrica può quindi diventare un ostacolo per la transizione energetica", spiega Fontini, "perché possono venir preferite quelle fonti di energia che costano di meno ma che magari sono più inquinanti".
“Ben venga allora la riforma della fiscalità, ma innanzitutto bisogna togliere tutte quelle componenti improprie degli oneri di sistema della bolletta elettrica che poco hanno a che fare con l’energia elettrica, come il canone Rai, ma non solo. Da più di 30 anni paghiamo anche una quota di decommissioning delle centrali nucleari che negli anni è andata sì a remunerare SOGIN, al società costituida ad oc per lo smantellamento delle centrali nucleari, ma che tutto si può dire tranne che abbia soddisfatto questo obiettivo in maniera efficiente, prova ne è che dal 1986, data del referendum sul nucleare, ancora non abbiamo il deposito temporaneo delle scorie nucleari”
La riforma della fiscalità energetica inoltre non dovrebbe fare affidamento su singoli bonus energetici, secondo Fontini, ma affrontare le difficoltà delle famiglie in stato di povertà energetica in maniera più strutturale: “la corretta manovra da fare sarebbe quella di inserire nella fiscalità una compensazione, tramite riduzioni o voucher, a chi è relativamente più povero. Quindi non abbassare il prezzo dell’energia, ma dare una compensazione a chi quel prezzo non riesce a sostenerlo”.