SOCIETÀ

La Bulgaria al doppio voto elettorale tra crisi sanitaria e aumento del costo della vita

Il prossimo 14 novembre la Bulgaria si troverà ad affrontare una doppia tornata elettorale, uno snodo fondamentale che determinerà il suo futuro politico. Dopo le dimissioni forzate dello scorso aprile di Boyko Borissov, leader del partito di centrodestra Gerb, accusato di corruzione non soltanto dalle fragorose proteste di piazza, ma perfino dal presidente della Repubblica, Rumen Radev («il suo è un governo mafioso», aveva dichiarato), e due elezioni consecutive (ad aprile e a luglio) che non sono riuscite a produrre maggioranze in grado di formare un esecutivo, gli elettori sono nuovamente chiamati a scegliere a chi affidare la guida del governo. Ma anche a nominare il nuovo presidente della Repubblica (con Radev che si ricandida per un secondo mandato).

Un crocevia politicamente complesso e dalle molte sfaccettature, ma che diventa perfino secondario di fronte al dilagare dell’emergenza Covid, che vede la Bulgaria (fanalino di coda in Unione Europea per numero di vaccini inoculati, soltanto il 21,8%della popolazione) nel pieno di una nuova ondata di contagi che continua a produrre record di vittime e uno spaventoso affollamento nelle terapie intensive degli ospedali (oltre il 90% dei posti letto è occupato). Impossibile scindere i due argomenti, pandemia e politica, inesorabilmente intrecciati in questa vigilia elettorale e nelle preoccupazioni degli elettori. «Non ci sono politici innocenti di fronte al Covid», ha commentato il sociologo Kancho Stoychev in un’intervista rilasciata pochi giorni fa a Radio Focus. «Il fattore più importante che determinerà l’affluenza alle urne sarà la crisi sociale e sanitaria in cui ci troviamo», sostiene Ivan Radev, dell'Associazione bulgara dei giornalisti europei. «Poi l’aumento dei prezzi al consumo, le tensioni dovute alle restrizioni per la pandemia e l’ansia per la qualità della vita durante il prossimo inverno: tutto questo potrebbe favorire un considerevole voto di protesta». Un problema assai serio quello dell’astensione, che va di pari passo con la disaffezione e la sfiducia nei confronti dei partiti politici (e dei governi, compresi quelli provvisori, per non aver saputo gestire la pandemia e comunicarne con autorevolezza la gravità): secondo i dati forniti dalla Commissione elettorale centrale, l’affluenza alle elezioni dello scorso aprile è stata del 49%, scesa al 41% nella tornata di luglio. Gli analisti ritengono che a novembre l’affluenza potrebbe tornare a essere più alta, ma soltanto perché si tratta di una doppia elezione, di un “2 in 1” che nel paese non ha precedenti e che, proprio per l’eccezionalità dell’evento, potrebbe spingere gli elettori alle urne. Pandemia permettendo, s’intende.

Verso una coalizione “semaforo”

La “partita tra i partiti” resta comunque aperta. Forse perfino troppo, al punto che resta intatto il rischio, come le due tornare precedenti, di una frammentazione talmente ampia da rendere difficile la formazione di un governo. E i sondaggi questo raccontano: un puzzle piuttosto disordinato, dove il pezzo più consistente resta comunque Gerb (Citizens for European Development of Bulgaria), la formazione conservatrice, populista ed europeista guidata dall’ex premier Boyko Borissov. La cui figura è diventata però assai ingombrante, col suo carico di accuse e di sospetti di corruzione, per aver favorito gli interessi di oligarchi locali, di criminali, di mafiosi: difficile per Borissov trovare alleati disposti a puntellare un suo nuovo governo. Gerb è stimata al 23% delle preferenze, piuttosto stabile, ma con un numero di voti non certo sufficiente per formare una maggioranza. Più indietro tutti gli altri, i cosiddetti “partiti del cambiamento”, sigle diverse, orientamenti diversi, ma con un unico comune denominatore: la distruzione e il superamento del “modello Borissov”. Dal Partito Socialista Bulgaro (BSP, in netto calo, stimato oggi al 16%) ai populisti di  centro-destra di “There Are Such People” (ITN), guidati dal comico-rocker Slavi Trifonov, già ribattezzato “il Grillo di Bulgaria”, vincitore dell’ultima tornata elettorale, ma con preferenze oggi dimezzate (13%) perché all’atto pratico ha deluso le aspettative, non riuscendo a formare un esecutivo. Senza dimenticare l’alleanza di centro sinistra “Democratic Bulgaria“ (DB, che comprende anche i Verdi, stimata all’11%), che fa della lotta alla corruzione il centro della sua azione politica, e la nuova formazione socialdemocratica “We Continue the Change” (PP, oggi avrebbe il 14% delle preferenze), guidata da due ex ministri del governo ad interim, Kiril Petkov e Asen Vassilev. Una coalizione tra questi quattro partiti, già ribattezzata “coalizione semaforo” dai media locali (sulla scia di quanto avvenuto in Germania), avrebbe i numeri per governare, almeno in teoria. Secondo Parvan Simeonov, direttore esecutivo dell'agenzia di sondaggi Gallup, un governo nato da questa alleanza potrebbe trovare la “quadra” su alcune questioni fondamentali, come la riforma della giustizia e un deciso incremento delle politiche sociali. Ma non dovrebbero esserci sforzi apprezzabili per l’abbandono del carbone: «Il futuro governo - sostiene Simeonov - potrebbe invece favorire la costruzione di nuovi impianti nucleari».

La corsa alla presidenza: Radev in testa

Soltanto all’apparenza più semplice la lettura delle elezioni presidenziali, con il candidato uscente, Rumen Radev, nemico giurato dell’ex premier Borissov, che cerca un secondo mandato. La sua candidatura è solida, e diversi analisti prevedono che possa essere eletto al primo turno (secondo l'articolo 93 della costituzione bulgara, per ottenere una vittoria al primo turno un candidato deve ottenere più del 50% dei voti validi e l'affluenza alle urne deve essere superiore al 50%; altrimenti, dopo 7 giorni, i due più votati vanno al ballottaggio). Ma la scorsa settimana la Corte Costituzionale ha sostenuto che il presidente Radev ha violato la legge nominando ministro dell’economia del governo ad interim, lo scorso maggio, Kiril Petkov, che a quel tempo aveva la doppia cittadinanza: bulgara e canadese: un requisito esplicitamente proibito dalla Costituzione bulgara. Radev ha reagito definendole “norme obsolete”. Il suo rivale Borissov non si è fatto scappare l’occasione per attaccarlo:  «Non ho mai avuto un presidente che abbia violato la Costituzione: sarà il voto del popolo bulgaro a licenziarlo».

Ma tra i contendenti ce ne sono due che potrebbero contribuire a ribaltare i pronostici. Il primo è il rettore dell’Università di Sofia, Anastas Gerdjikov, sostenuto proprio da Gerd, il partito di Boyko Borissov: «Ritengo di poter essere utile, con le mie qualità, a rappresentare l'unità della nazione», ha detto Gerdjikov. L’altra candidatura “forte” è quella del capo della Corte Suprema di Cassazione, Lozan Panov, sostenuto tra gli altri dai partiti della coalizione “Democratic Bulgaria”: «Riteniamo che Panov possa realisticamente opporsi alla corruzione, intensificare il proprio sostegno allo stato di diritto e guidare lo sforzo per rafforzare la sovranità nazionale della Bulgaria all’interno dell’UE e della NATO», ha commentato un funzionario di DB. L’ultimo sondaggio realizzato da Gallup International Balkan accredita Radev di un 51,2%. Gerdjikov sarebbe al 22,5%, mentre Panov è poco sopra al 6% (ma si tratta di candidature assai recenti e potrebbero quindi avere ancora margini consistenti di crescita). Radev resta favorito, ma la partita è tutta da giocare. Anche le formazioni nazionaliste di estrema destra hanno espresso candidati, senza alcuna speranza di arrivare al ballottaggio. Ma uno di loro, Boyan Rasate, leader del “Bulgarian National Union”si è reso protagonista pochi giorni fa di un attacco squadrista contro il Rainbow Hub, un centro Lgtb a Sofia, che è stato devastato. Il politico (che si definisce “nazional-socialista” e che ha precedenti specifici) è stato arrestato con altre dieci persone: le autorità bulgare hanno deciso di revocargli l’immunità di cui godeva in quanto candidato alle presidenziali.

Prezzi e pandemia, suonano gli allarmi

Ma la politica resta comunque sullo sfondo: le vere preoccupazioni dei bulgari, in questa vigilia del “2 in 1”, sono altre. Come l’aumento dei prezzi al consumo, anche dei generi alimentari (fino al 10%), o l’impennata del prezzo del gas, che mette a rischio il prossimo inverno (anche se pochi giorni fa è stato raggiunto un accordo tra il fornitore statale Bulgargaz e Gazprom, che dovrebbe contenere gli aumenti). Ma c’è soprattutto una pandemia, sempre più drammatica, che non dà tregua (e l’allarmeriguarda tutti i paesi dell’Est Europa). Con un tasso di decessi cresciuto del 22% nell’ultima settimana (negli ultimi 14 giorni è stato registrato un tasso di 683 casi ogni 100mila abitanti, quasi il triplo della media dell'Unione Europea). La Bulgaria è oggi la nazione con la più alta percentuale di morti pro capite per Covid nel mondo (davanti al Brasile). E con il 45% della popolazione (la Bulgaria conta poco meno di 7 milioni di abitanti) che, nonostante tutto, non crede minimamente all’efficacia del vaccino: colpa di una generale sottovalutazione della pandemia, a partire da politici e medici, che hanno quasi incoraggiato la popolazione a diffidare. Così la situazione sanitaria è diventata gravissima, con gli ospedali che ormai sono al collasso. Al punto che fino alla fine di novembre sono stati sospesi tutti i ricoveri e gli interventi chirurgici non urgenti (esclusi i trapianti, le cure oncologiche e psichiatriche, i parti), come annunciato dal ministro della sanità, Stoycho Katsarov. «Non è soltanto una crisi sanitaria, ma un disastro nazionale», ha commentato Katsarov. Che ha poi lanciato un appello: «Possiamo uscire da questa crisi, ma bisogna indossare quelle maledette mascherine. Non uscire per le prossime settimane a meno che non sia assolutamente necessario. Disinfettare, ventilare, stare a distanza e, soprattutto, vaccinarsi. Il sistema sanitario non può farcela da solo senza la partecipazione di tutti noi come cittadini. La situazione è critica e lo sarà anche nelle prossime settimane». Un appello accorato, ma che rischia di trasformarsi in un ulteriore deterrente per chi, nonostante tutto, avesse ancora voglia di andare a votare. La Bulgaria, nonostante un tasso di disoccupazione al 5,5%, è il Paese più povero dell’Unione Europea, con il 65% dei suoi abitanti che non riesce a far fronte alle spese quotidiane, e un Pil pro capite pari a 12,77 euro.

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