IN ATENEO
Capire le migrazioni tra popolazioni di 5.000 anni fa partendo dal DNA di persone contemporanee
di Redazione
Nello studio dal titolo “Ancestry-specific analyses reveal differential demographic histories and opposite selective pressures in modern South Asian populations” pubblicato sulla rivista «Molecular Biology and Evolution» (MBE) sono stati analizzati i genomi di 565 persone (indiane e pakistane) per approfondire le conoscenze disponibili in merito alle migrazioni e agli eventi di mescolanza genetica avvenuti nel subcontinente indiano negli ultimi 5000 anni. La ricerca, coordinata da Luca Pagani del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, è stata condotta, fra gli altri, da Burak Yelmen, Mayukh Mondal, Francesco Montinaro e Davide Marnetto dell’Institute of Genomics dell’Università di Tartu in Estonia.
I genomi degli indiani e pakistani contemporanei sono stati confrontati con quelli di altre popolazioni umane antiche e moderne per identificare, tra i frammenti genetici che compongono il DNA moderno, quali potessero essere etichettati come “autoctoni” (più simili ai genomi appartenuti alle popolazioni che da sempre abitano la regione) e quali riferibili alle popolazioni dell’Asia occidentale che arrivarono nella zona in seguito a grandi migrazioni cominciate nell’età del bronzo. Questi frammenti, o componenti genetiche antiche, sono quindi riscontrabili, mescolate, all’interno dei genomi di indiani e pakistani moderni.
Questo fenomeno di mescolanza, che dovrebbe essere in teoria del tutto casuale, ha invece creato degli squilibri in una piccola porzione del genoma delle popolazioni contemporanee: in alcune regioni del genoma, infatti, si riscontra un eccesso di frammenti “autoctoni”, mentre in altre si osserva un eccesso di frammenti “immigrati”, come se le varianti geniche autoctone presenti in queste regioni fossero state favorite o sfavorite da processi di selezione naturale avvenuti dopo l’evento di mescolanza genetica, in virtù della loro interazione con l’ambiente circostante.
“ I genomi degli indiani e pakistani contemporanei sono stati confrontati con quelli di altre popolazioni umane antiche e moderne
«Siamo riusciti - dice il primo autore dello studio Burak Yelmen - a estrarre componenti genetiche antiche dai genomi degli asiatici contemporanei. Queste si sono rivelate fondamentali per descrivere le popolazioni che vivevano nel subcontinente indiano, che include gli stati compresi fra il Pakistan a occidente ed il Bangladesh a oriente prima dell’arrivo di gruppi e culture dall’Asia Occidentale, potenzialmente connesse all’arrivo delle lingue indoeuropee nella regione. I frammenti antichi sono fondamentali, vista anche la limitata disponibilità di DNA antico nella regione, soprattutto da resti umani che precedano queste imponenti migrazioni».
Studiando gli eventi di mescolanza genetica che hanno portato alla formazione dei moderni indiani, i ricercatori si sono anche accorti che non tutte le porzioni del genoma studiate si comportavano in modo atteso. Alcune regioni geniche mostravano infatti un eccesso o una carenza di una data componente ancestrale, come se le varianti genetiche emerse nelle popolazioni locali o nelle popolazioni dell’Asia occidentale arrivate in zona a partire da 5000 anni fa potessero conferire ai portatori un maggiore o minore vantaggio per affrontare gli stimoli ambientali del sub-continente indiano.
«Analizzando le regioni genomiche che si comportavano in modo inatteso, abbiamo trovato - afferma Mayukh Mondal co-primo autore dello studio - geni importanti per la risposta immunitaria e per l’adattamento a particolari abitudini alimentari, come ci si potrebbe aspettare da popolazioni esposte a nuovi patogeni e a una diversa disponibilità di risorse nutritive.
Forse in modo più inatteso, abbiamo trovato anche che, a giudicare dalla loro abbondanza o penuria nei genomi studiati, due delle varianti geniche responsabili per il colore della pelle degli asiatici occidentali e degli europei sembrano essere state sottoposte a pressioni selettive opposte. Una delle due varianti, presumibilmente arrivata nel subcontinente durante queste antiche migrazioni - continua Mayukh Mondal - è stata quasi del tutto rimossa dal genoma degli Indiani moderni. L’altra variante, invece, sembra addirittura più frequente di quanto ci si dovrebbe attendere se l’evento di mescolanza genetica fosse avvenuto in modo casuale. I fenomeni biologici che sottendono alla pigmentazione della pelle sono sicuramente una materia affascinante e al contempo complessa e stiamo ancora cercando di capire quali possano essere le implicazioni adattative per il segnale genetico che abbiamo riscontrato».
«Più in generale - conclude Luca Pagani, coordinatore senior della ricerca - il nostro studio dimostra che è possibile ottenere componenti genetiche antiche da genomi moderni, come se ciascuno di noi le contenesse nel proprio DNA, analogamente ai ritrovamenti di piccoli animali inglobati e conservati per migliaia di anni nell’ambra. Questi segnali dal passato possono aiutare a mettere al posto giusto e a integrare i molteplici tasselli che ci giungono grazie al campo del DNA antico. Il nostro studio mostra infatti come, al contrario dei resti umani antichi, i genomi contemporanei possano fornire dati di alta qualità e a basso costo, specialmente in regioni geografiche dove la conservazione dei resti umani e archeologici è sfavorita da condizioni climatiche ed ambientali avverse e per le quali il DNA antico potrebbe non essere una soluzione percorribile nel breve e nel medio termine».