Neuroni artificiali che “comunicano” con neuroni biologici tramite sinapsi nanoelettroniche. Il tutto via Internet. Non si tratta di fantascienza, come lì per lì verrebbe da pensare, ma dei risultati ottenuti da un consorzio europeo coordinato dall’università di Padova, nell’ambito del progetto Synch (A Synaptically connected brain-silicon Neural Closed-loop Hybrid system). Obiettivo finale, la realizzazione di neuroprotesi da impiegare in presenza di malattie neurodegenerative o altri tipi di patologie neurologiche.
“Quando parliamo di protesi – osserva Stefano Vassanelli, docente dell’università di Padova e coordinatore dello studio – la prima immagine che viene alla mente è un ausilio ortopedico o un impianto dentale. In questo caso al posto dell’osso si impiega una struttura costituita da materiale inorganico, magari metalli, che va a sostituire le proprietà meccaniche della parte che è andata in degenerazione e ne rimpiazza la funzione. Ci siamo chiesti: è possibile adottare lo stesso principio anche nel caso di lesioni cerebrali? È possibile realizzare delle neuroprotesi?”. Secondo Vassanelli, il risultato ottenuto è un passo importante in questa direzione, una pietra miliare per la creazione di neuroprotesi basate su reti neuronali artificiali che assistono le reti biologiche.
Lo studio nasce dalla collaborazione di tre centri di ricerca: gli scienziati dell'università di Padova hanno coltivato neuroni di ratto nei loro laboratori, mentre i partner dell'università di Zurigo e dell'Eidgenössische Technische Hochschule hanno creato neuroni artificiali su microchip di silicio. L’università di Southampton, infine, ha controllato le sinapsi nanoelettroniche (è stato impiegato un memristore che ha proprietà simili a quelle delle sinapsi, cioè cambia la propria capacità di condurre in funzione della storia passata degli impulsi che ha ricevuto). Ebbene, attraverso internet gli impulsi nervosi generati dai neuroni biologici in Italia sono stati trasmessi alle sinapsi inglesi e, attraverso queste, ai neuroni artificiali realizzati in Svizzera. La comunicazione, bidirezionale, è avvenuta in tempo reale.
Guarda l'intervento integrale di Stefano Vassanelli. Servizio di Monica Panetto, riprese e montaggio di Elisa Speronello
Secondo Vassanelli, se da un lato lo studio rappresenta un primo passo verso la realizzazione di neuroprotesi, dall’altro introduce anche una nuova prospettiva di ricerca, in cui laboratori interdisciplinari di microelettronica, di computer science e di neurobiologia lavorano insieme con il supporto della rete internet. Sulla stessa linea Themis Prodromakis, direttore del Center for Electronics Frontiers dell’università di Southampton: “Una delle maggiori sfide nel condurre ricerche di questo tipo e a questo livello è stata l'integrazione di tecnologie all'avanguardia e competenze specialistiche che solitamente non si trovano sotto lo stesso ‘tetto’. Creando un laboratorio virtuale siamo stati in grado di raggiungere questo obiettivo”.
Da più di 15 anni ormai Vassanelli si dedica a questo filone di ricerca. Nell’ambito di progetti come Cyber-Rat, Ramp e ora Synch, con il suo gruppo ha sviluppato tecnologie che consentono di creare vere e proprie reti neuronali artificiali elettroniche su microchip, cioè su dispositivi nanometrici o micrometrici, nell’intento di far “parlare” i neuroni artificiali con quelli biologici. “La nostra idea – sottolinea il docente – è di arrivare a utilizzare queste reti microelettroniche su chip come assistenti o, nella migliore delle ipotesi, addirittura come sostituti di reti neuronali cerebrali che vanno in degenerazione o che sono in una situazione di deficit funzionale. Potremo pensare di impiegare queste neuroprotesi in patologie come il Parkinson, ma anche in caso di ictus o lesioni traumatologiche a livello di midollo spinale”.
Nel caso del Parkinson, ad esempio, già da anni nei pazienti più gravi vengono impiegati dei dispositivi capaci di stimolare i neuroni, attraverso l’impianto di elettrodi che producono impulsi elettrici in specifiche aree del cervello. È una tecnica nota con il nome di stimolazione cerebrale profonda, utilizzata soprattutto quando le altre terapie non sortiscono effetto. Vassanelli spiega però che questi dispositivi sono molto migliorabili, dato che lo stimolatore non ha nulla a che vedere con una rete neuronale vera. Ciò a cui i ricercatori stanno lavorando dunque sono sistemi impiantabili “smart” in grado di stimolare il tessuto cerebrale ed eventualmente danneggiato – ma anche di sopperire a possibili perdite –, tramite reti neuronali artificiali che mimano in modo intelligente la funzionalità dei neuroni nativi.