SCIENZA E RICERCA
Cervello e sistema immunitario: nuove conoscenze per nuove terapie
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Nel 2015 Science stilava un sondaggio tra i suoi lettori per individuare la ricerca scientifica più importante dell’anno in una rosa di dieci selezionate dalla rivista. Se in cima alla classifica si piazzavano l'esplorazione di Plutone e la tecnica di editing genomico Crispr, ad aggiudicarsi il terzo posto fu la scoperta del sistema linfatico cerebrale da parte di un gruppo di ricercatori della University of Virginia School of Medicine, coordinati da Antoine Louveau. I risultati dello studio costituivano una pietra miliare nella storia delle neuroscienze, perché – a differenza di quanto si era ritenuto per lungo tempo – dimostravano chiaramente l’esistenza di un collegamento tra cervello e sistema immunitario, di cui i vasi linfatici sono una componente essenziale. Questa e altre scoperte, specie degli ultimi anni, sono le tappe di un percorso che ha portato a una rinnovata comprensione dell’immunità cerebrale, con ricadute che potrebbero essere significative sul fronte terapeutico, in malattie come l'Alzheimer, la sclerosi multipla, la depressione: a scriverne su Science sono alcuni scienziati del Weizmann Institute of Science di Rehovot in Israele, che ripercorrono la letteratura sull’argomento, soffermandosi sui contributi principali.
Gli autori dell’articolo scandiscono in tre momenti il cammino che ha portato alle conoscenze attuali. Almeno fino agli anni Sessanta del Novecento si riteneva che il cervello, difeso da barriere anatomiche impenetrabili, fosse un organo immunologicamente privilegiato. “Nel nostro corpo – spiega Claudio Gentili, medico e professore di psicologia clinica all’università di Padova, con cui abbiamo discusso il tema – esistono delle zone dette santuari anatomici, dei sistemi isolati dal sistema immunitario, come il testicolo e l’occhio: anche il cervello fino a qualche tempo fa era considerato uno di questi. Si riteneva che le cellule del sistema immunitario all’interno del sistema nervoso centrale non comunicassero con quelle del sistema immunitario esterno, ma una serie di riscontri anatomici hanno dimostrato il contrario”. In questi anni furono identificate cellule immunitarie residenti nel cervello, le microglia, ma la scoperta fu utilizzata come ulteriore argomento a sostegno dell’autosufficienza immunologica dell’organo.
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Nel periodo successivo, tra il 1990 e il 2010 secondo la scansione temporale che ne fanno i ricercatori su Science, si inizia ad attribuire alla risposta immunitaria un ruolo nel mantenimento e nella riparazione del sistema nervoso centrale e si scopre che le cellule immunitarie influenzano la neurogenesi e la cognizione. La neurogenesi è il processo di formazione di nuove cellule nervose da cellule staminali neurali, che avviene durante lo sviluppo, ma anche in età adulta, secondo ricerche pubblicate negli ultimi anni. Ebbene, è ormai provato che la formazione di nuovi neuroni lungo tutto il corso della vita è supportata dalle cellule dell’immunità adattativa, mentre una risposta immunitaria incontrollata, come nel caso di un’infiammazione, compromette la neurogenesi. In seguito, si è scoperto che anche altre funzioni cerebrali, come la capacità del cervello di affrontare lo stress, dipendono dall’integrità dell’immunità adattativa. “La neurogenesi – commenta Gentili – è un fenomeno che in alcune regioni del cervello dura tutta la vita, quindi è fondamentale per il funzionamento in condizioni normali, ma potrebbe anche essere orientata a stimolare la plasticità cellulare dopo un ictus o dopo patologie cerebrali gravi, o per contrastare l’invecchiamento cerebrale fisiologico e patologico, come nel morbo di Alzheimer”.
E arriviamo agli ultimi anni: a partire dal 2010 hanno luogo una serie di scoperte che gettano nuova luce sul modo di intendere la relazione tra cervello e sistema immunitario. Si scopre che diverse cellule immunitarie popolano le meningi, il plesso coroideo e gli spazi perivascolari e da qui possono modulare la funzione e la riparazione del cervello. Nel 2015 come si è detto viene descritto il sistema linfatico cerebrale, e qualche anno dopo vengono individuati minuscoli canali vascolari che permettono al midollo osseo craniale di rifornire le meningi di cellule immunitarie quando il cervello subisce un’infezione o si trova in uno stato infiammatorio. Nel 2022 infine si dimostra che il liquido cerebrospinale o liquor può irrorare il midollo osseo del cranio e quindi influenzare l’ematopoiesi (il processo che genera nuove cellule nel sangue).
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È facile intuire come l'insieme di queste scoperte ponga le basi per un importante cambio di paradigma: se inizialmente si riteneva che la sorveglianza immunitaria del sistema nervoso centrale spettasse esclusivamente alla microglia, e che il cervello fosse dunque immunologicamente autosufficiente, si è giunti poi a riconoscere l'esistenza di una complessa rete cerebro-immunitaria che coinvolge molteplici attori immunologici periferici. Le interazioni tra il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale influenzano fortemente la salute del cervello. E anche se la barriera emato-encefalica limita questa comunicazione, ora è noto che le meningi attraverso i tessuti di confine del cervello facilitano la comunicazione intersistemica.
Oggi queste nuove conoscenze permettono di valutare e sperimentare nuovi approcci terapeutici. Nelle malattie cerebrali uno qualsiasi dei processi immunologici sopra descritti potrebbe essere malfunzionante e potrebbe costituire, teoricamente, il bersaglio di eventuali interventi farmacologici. In modelli murini della malattia di Alzheimer per esempio, riferiscono gli autori del paper su Science, è stata rilevata una disfunzione del plesso coroideo che influisce negativamente sulle prestazioni cognitive e sulla microglia. Inoltre, l’interruzione del drenaggio linfatico cerebrale è stato indicato come uno dei fattori che aggravano il carico di amiloide-β e provocano il deterioramento della memoria: potrebbe essere questo un possibile bersaglio terapeutico per rallentare il declino cognitivo.
Ancora, la mielopoiesi del midollo osseo (la formazione di globuli bianchi, globuli rossi e piastrine) potrebbe rappresentare invece un candidato bersaglio nella sclerosi multipla, poiché uno squilibrio di questo processo è legato all'infiammazione e alla demielinizzazione del sistema nervoso centrale.
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“La relazione tra sistema immunitario e patologie cerebrali – osserva Gentili – comincia a essere molto studiata. Le teorie patogenetiche della depressione per esempio stanno puntando molto sul sistema immunitario, già da un po’. Si ritiene che il paziente depresso abbia una ridotta neurogenesi nell’ippocampo e che, quando guarisce, dopo una terapia psicologica o un intervento farmacologico, la neurogenesi riprenda e il volume dell’ippocampo ritorni normale. Molti sostengono che la neurogenesi ippocampale sia la via finale comune di una serie di possibili processi mediati anche dalle citochine (molecole del sistema immunitario ndr). E non è un caso per esempio che la depressione dell’umore sia una condizione che si verifica molto spesso anche durante patologie organiche accompagnate da una attivazione del sistema immunitario”.
Il docente spiega che dal punto di vista biologico la depressione potrebbe anche essere il risultato di un processo infiammatorio. “Qualcosa di simile accade con l’influenza: il malato ha poca voglia di mangiare, preferisce stare a letto, presenta tutta una serie di sintomi che, in assenza di uno stato influenzale, potremmo definire simil-depressivi”. Queste considerazioni hanno traghettato le ricerche in ambito terapeutico verso nuovi approcci: “Da diversi anni si è iniziato a studiare farmaci che abbiano un’azione di modulazione immunitaria per la depressione, per esempio molecole che abbiano un effetto sul sistema del cortisolo, anche se per il momento di efficaci non ne sono ancora stati sviluppati”.
Claudio Gentili conclude con una riflessione: “In definitiva, le nuove scoperte sul sistema immunitario e sul suo ruolo nel funzionamento cerebrale normale e in corso di patologia suggeriscono che il sistema immunitario abbia funzioni molto più vaste di quelle tradizionalmente attribuitegli (come proteggere dalle infezioni): probabilmente è un complesso sistema di comunicazione tra organi e tessuti diversi”.