© ESA/ATG medialab
Ormai non manca molto, un mese o poco più. A metà dicembre dalla base spaziale di Kourou, nella Guyana Francese, sarà lanciata la sonda spaziale Cheops (Characterising ExoPlanets Satellite). L’obiettivo della missione, la prima di classe Small del programma “Cosmic Vision 2015-2025” dell’Agenzia spaziale Europea (Esa), è di indagare la natura di pianeti extrasolari più grandi della Terra e più piccoli di Nettuno.
“Negli ultimi mesi – sottolinea Giampaolo Piotto, docente del dipartimento di Fisica e astronomia “G. Galilei” e membro del team scientifico della missione con altri scienziati dell’università di Padova – sono state testate tutte le componenti di Cheops e la strumentazione funziona perfettamente. Il satellite è stato trasportato alla sede Airbus di Madrid che lo ha assemblato nel box in cui viaggerà. La settimana scorsa è stato inviato via aerea da Tolosa a Korou. Ora sta aspettando il suo compagno di viaggio, il satellite Cosmo-SkyMed realizzato sempre dall’Agenzia spaziale italiana: entrambi saranno inseriti all’interno del razzo Soyuz e se tutto andrà secondo i piani il 17 dicembre, alle cinque di mattina ora locale, avverrà il lancio”. Cheops raggiungerà un’altezza di 700 chilometri e prenderà un’orbita intorno alla Terra che seguirà sempre il terminatore luce-giorno. Da questa posizione la strumentazione scientifica – un telescopio riflettore con uno specchio di 30 centimetri di diametro – acquisirà i dati per un periodo di tre anni e mezzo.
Giampaolo Piotto illustra il progetto Cheops e il contributo italiano e padovano alla missione. Riprese e montaggio di Barbara Paknazar, contributo foto © ESA/ATG medialab
L’obiettivo della missione non è tanto quello di scoprire nuovi pianeti, quanto piuttosto di determinare le caratteristiche fisiche di corpi già noti con una precisione senza precedenti. Per ottenere questo risultato si osserverà il passaggio dei pianeti davanti alla loro stella ospite utilizzando una tecnica chiamata fotometria di transito ad altissima precisione. Misurando l’affievolirsi della luce stellare durante il transito e il suo successivo rinvigorirsi è infatti possibile misurare il raggio del pianeta e stabilirne le dimensioni. Tale dato, combinato con la misura della massa (ottenuta in precedenza con la tecnica della velocità radiale), fornisce la densità, che è un elemento chiave per caratterizzare la natura di questi pianeti, per capire ad esempio se si tratti di corpi rocciosi come la Terra o Venere, o gassosi come Giove o Saturno.
Dal 1995, anno in cui Didier Queloz – quest’anno premio Nobel per la fisica con James Peebles e Michel Mayor e responsabile scientifico di Cheops – scoprì il primo esopianeta, sono stati identificati più di 4.000 nuovi corpi al di fuori dal nostro sistema solare. Nel corso del tempo, osserva Piotto, si è appurato tuttavia che ciò che vale per il nostro sistema solare non è la regola. Qui ad esempio i pianeti più interni, come Mercurio, Venere, la Terra e Marte sono rocciosi e di piccole dimensioni; quelli più esterni come Giove, Saturno, Urano e Nettuno invece sono grandi e gassosi. Ebbene, questo non vale per i pianeti extrasolari, a partire proprio da quello individuato da Queloz. 51 Pegasi b (questo il nome che gli è stato dato) è un pianeta paragonabile a Giove, che però orbita molto vicino alla propria stella ed è gassoso. “Tutto ci si poteva aspettare tranne questo – commenta Piotto –. Probabilmente il pianeta si è formato nella parte esterna del suo sistema planetario e poi per interazione gravitazionale con gli altri pianeti è finito molto vicino alla stella. In ogni caso, non possiamo più affermare che un corpo di piccole dimensioni sia sicuramente roccioso, perché esistono pianeti di due raggi terrestri che sono gassosi e altri più grandi che invece sono rocciosi”.
Immagine Esa
Caratterizzare le proprietà dei pianeti extrasolari si rivela dunque particolarmente importante, specie se l’intenzione in prospettiva è di individuare possibili forme di vita: in questo caso infatti sarà necessario concentrarsi su quelli di tipo roccioso che possiedono una atmosfera in grado di proteggere la vita stessa.
A questo scopo Cheops prenderà in esame tutte le stelle attorno alle quali esistono dei pianeti di cui si conosce la massa e di alcuni di questi riuscirà a osservare anche il transito. “Si deve considerare infatti che, se noi guardassimo il sistema solare dall’esterno la probabilità di vedere la Terra transitare difronte al Sole è dello 0.5%, cioè dovremmo considerare 200 stelle come il Sole per avere la probabilità di vedere un transito. Nel caso di Giove la possibilità sarebbe addirittura dello 0.09%”. Cheops inoltre andrà a indagare molti altri pianeti già osservati con la tecnica dei transiti, di cui però non si conoscono bene i parametri. È il caso ad esempio della missione Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellit) della Nasa, spiega Piotto. Lanciata nel 2018, ha lo scopo di identificare nuovi pianeti extrasolari: qualora si individuassero esopianeti di interesse e si rendesse necessario determinarne in modo più preciso il periodo di rivoluzione o il raggio, a quel punto interverrà Cheops misurando tutti i parametri orbitali.