SOCIETÀ

Chi è José Raúl Mulino, il nuovo presidente di Panama

Ha vinto il numero due, il gregario, quello che inizialmente era destinato a servire da vicepresidente. Poi però il “capo”, Ricardo Martinelli, imprenditore di chiare origini italiane, fondatore del partito conservatore Realizando Metas, che avrebbe tanto voluto candidarsi nuovamente alla Presidenza di Panama (carica già ricoperta dal 2009 al 2014, con lusinghieri risultati economici), è stato dichiarato ineleggibile dai giudici del Tribunale Elettorale per via di una condanna in primo grado a dieci anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di quasi 20 milioni di dollari, incassata nel 2023 per riciclaggio di denaro: una “macchia” non inconsueta da quelle parti. Così Martinelli, che dallo scorso febbraio vive rinchiuso nell’ambasciata del Nicaragua a Panama City, proprio per sottrarsi al carcere, ha lanciato nella competizione presidenziale il suo “delfino”, José Raúl Mulino, 64 anni, avvocato, ex ministro degli esteri, dell’Interno e della Sicurezza. E tanto è bastato per stravincere le elezioni di domenica scorsa nel piccolo stato del centro America, incastonato tra Costa Rica e Colombia, indispensabile cerniera commerciale tra i due oceani, Atlantico e Pacifico, uno dei “paradisi fiscali” per antonomasia (è presenza fissa nella black list dell’Ue, riservata a quei paesi che non soltanto hanno adottato regimi fiscali agevolati con tasse molto basse, ma che non hanno aderito al sistema di scambio dei dati fiscali con altri Stati) e al centro, nel 2016, di uno dei più clamorosi scandali fiscali mondiali con la pubblicazione, grazie al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, dei cosiddetti Panama Papers, un’enorme mole di documenti crittografati (11,5 milioni di file) di proprietà dello studio legale Mossack Fonseca, che ha consentito di rivelare come ricchi e potenti avevano nascosto per anni le loro ricchezze attraverso società offshore panamensi riciclando denaro ed evadendo le tasse (tra i “nomi” eccellenti coinvolti capi di stato, primi ministri e imprenditori di spicco, ma anche referenti di organizzazioni criminali). Mulino, che ha ottenuto il 34% dei voti, ha sfruttato nel migliore dei modi la débâcle del Partito Rivoluzionario Democratico (centrosinistra) del presidente uscente Laurentino Cortizo, con il candidato José Gabriel Carrizo che ha raccolto appena il 5,8% dei voti, la percentuale più bassa della sua storia. All’origine del clamoroso crollo di fiducia dell’elettorato verso il Partito Rivoluzionario, che ha perso due terzi dei suoi seggi, c’è il controverso accordo di rinnovo ventennale siglato lo scorso ottobre dal presidente uscente Laurentino Cortizo con il consorzio minerario canadese First Quantum Minerals per lo sfruttamento dell’enorme miniera di rame a cielo aperto Cobre Panamá, in un tratto di giungla sulla costa atlantica. Un rinnovo che aveva scatenato enormi proteste da parte dei gruppi ambientalisti, fermamente contrari a quel progetto che avrebbe di certo aggravato la deforestazione e “rubato” preziose riserve d’acqua. Proteste che si sono poi rapidamente trasformate in disordini politici, pretesto per esprimere sfiducia e malcontento, cui hanno partecipato sindacalisti, studenti e gruppi indigeni, con il presidente e il suo partito accusati di corruzione, di aver “venduto” la concessione per un tornaconto personale.

Al punto che quando la Corte Suprema, alla fine di novembre del 2023, ha ordinato la chiusura della miniera, giudicando incostituzionale la legge che aveva permesso il rinnovo della concessione, in molti hanno esultato parlando di “momento storico”. Come Lilian Guevara, dell’Environmental Advocacy Centre (CIAM), un’organizzazione di diritto ambientale no-profit con sede a Panama City: «Il popolo di Panama ha deciso che non vogliamo essere un paese minerario. Invece di sacrificare la cosa più preziosa che abbiamo per qualche milione di royalties, sarebbe bene invece sviluppare un modello di sviluppo sostenibile». La questione della miniera, che garantiva il 5% dell’intero Pil di Panama, è tra i primi punti sull’agenda del nuovo presidente José Raúl Mulino, che entrerà formalmente in carica il prossimo 1 luglio. Il quotidiano canadese Financial Post riporta una dichiarazione della First Quantum Minerals Ltd che commenta la sua elezione in toni tutt’altro che negativi: “Non vediamo l’ora di aprire un dialogo con la nuova amministrazione e di lavorare insieme per trovare una soluzione che sia nel migliore interesse di Panama”. Lo stesso quotidiano ritiene comunque che la vittoria di Mulino sia “un buon risultato” per First Quantum: «Le sue credenziali pro-business e il suo sostegno storico all’industria mineraria stanno facendo sperare in una riapertura».

La siccità “restringe” il canale

Ovviamente le priorità nell’agenda del nuovo presidente, che da qui a luglio dovrà tentare di costruire una solida rete di alleanze per formare il nuovo governo, non finiscono qui: c’è da affrontare l’aumento del costo della vita che sta mettendo in difficoltà gran parte della popolazione di Panama (4,5 milioni di persone), un generale rallentamento dell’economia (il Fondo Monetario Internazionale prevede una crescita del 2,5% nel 2024, in netto calo rispetto al 7,5% del 2023), un’impennata della disoccupazione, almeno quella “ufficiale”, e naturalmente il tema della siccità, della grave carenza d’acqua che sta pesantemente condizionando il transito delle navi commerciali nel canale, ridotto in pochi anni da 40 transiti al giorno agli attuali 27, come media giornaliera. Il Canale di Panama, 81 chilometri di lunghezza, è alimentato da un lago artificiale, il lago Gatún, d’acqua dolce, che serve sia alle operazioni di passaggio delle navi attraverso un complesso sistema di chiuse (che sollevano o abbassano le imbarcazioni a seconda della direzione, poiché l’Oceano Pacifico si trova a un livello del mare più alto rispetto all’Atlantico: l’intero viaggio dura dalle 8 alle 10 ore) sia alla fornitura dell’acqua potabile. Il passaggio di ogni nave, soprattutto portacontainer ma anche altre che trasportano carburante, carbone, metalli e derrate alimentari, comporta un dispendio straordinario di acqua: oltre 50 milioni di galloni, pari a circa 200 milioni di litri. E l’acqua scarseggia sempre più in quella regione così piovosa (in media 2,5 metri di pioggia all’anno, concentrati tra maggio a dicembre), ma non tanto per colpa del cambiamento climatico, come è stato recentemente appurato da un team internazionale di ricercatori affiliati al World Weather Attribution, quanto per un andamento “naturale” delle precipitazioni legato al ciclo climatico di El Niño. Lo scorso ottobre è stato il mese più secco mai registrato, con precipitazioni diminuite del 41%. Il lago Gatún è passato da una profondità di circa 27 metri ai 24 attuali. Il che vuol dire che bisogna risparmiare acqua. Ma meno navi che attraversano il canale vuol dire anche una contrazione degli incassi per lo stato (in media 2,5 miliardi di dollari l’anno) attraverso la società Autoridad del Canal de Panamá. Il prezzo del pedaggio va da un minimo di 800 dollari per un’imbarcazione al di sotto dei 15 metri di lunghezza fino ai 300mila dollari (ma il prezzo reale dipende da un’infinità di fattori, non ultimo il peso della nave, e dai servizi richiesti). Il valore stimato delle merci che transitano per la “scorciatoia”, in condizioni normali, è di 270 miliardi di dollari l’anno (pari al 6% del commercio marittimo globale). Scegliere percorsi alternativi, allungando i tempi di percorrenza, farebbe lievitare i costi di spedizione. Il tempo medio di attesa per le navi che arrivano senza prenotazione, dato aggiornato allo scorso aprile, è di 2,5 giorni.

L’inferno del Darién Gap

Ma c’è anche un’altra “spina” nell’agenda che il prossimo presidente di Panama dovrà affrontare: la sempre più battuta, e pericolosissima, rotta migratoria attraverso il Darién Gap, un mix di giungla paludosa, foreste pluviali, montagne, che si estende per oltre 100 chilometri, unico corridoio di terra che collega il Sud America all’America Centrale. E dunque tappa obbligata per tutti coloro che, via terra, vogliono tentare di raggiungere prima il Messico e poi gli Stati Uniti: dal Venezuela, da Haiti, dalla stessa Cuba, dall’Ecuador, anche se sta aumentando anche il numero dei migranti provenienti dall’Africa. Il 2023 è stato un anno record: si calcola (ma le stime sono assai approssimative) che sia stato attraversato da 520mila persone, di cui 113mila bambini. Nel 2019 i “passaggi” erano stati appena 24mila. E le stime per il 2024 dicono che il numero potrebbe attestarsi attorno agli 800mila. L’ulteriore problema è che oltre alle insidie “naturali” (è considerato uno dei posti più inospitali della terra, senza strade tracciate, soltanto sentieri tra terreni ripidi e fangosi, e corsi d’acqua impetuosi da attraversare) c’è l’incognita dei gruppi criminali che presidiano l’area. Non c’è Stato a presidiare lì. Il lato colombiano è strettamente controllato dal più importante cartello della droga locale, il Clan del Golfo, una forza paramilitare che lo usa regola gli ingressi, che estorce denaro ai migranti (secondo Human Rights Watch la “tassa” media richiesta è di 125 dollari a persona), che impone le proprie regole anche alle popolazioni native con la violenza. Non va meglio sul versante panamense, dove gruppi di banditi armati impongono le proprie regole e dove sono sempre più frequenti rapine, violenze sessuali, omicidi. Il tutto praticamente senza alcun controllo, senza alcuna autorità che non sia quella dei gruppi criminali, ad eccezione dei centri di accoglienza gestiti dalle comunità locali (qui un reportage della redazione di The New Humanitarian, un’organizzazione giornalistica indipendente e senza fini di lucro, fondata dall’Onu, specializzata nella copertura di notizie dalle zone di crisi internazionali). «Nessuno è pronto ad attraversare il Darién Gap», scrive Alexandre Le Breton, capo della missione del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) a Panama in un rapporto pubblicato due mesi fa. «Nessuno è pronto a camminare attraverso la giungla per giorni, affrontando pericoli inevitabili e trovando cadaveri lungo la strada. Nessuno è pronto ad attraversare i fiumi con la paura molto concreta di perdere i propri figli. Nessuno».

In campagna elettorale José Raúl Mulino aveva affrontato di petto il problema: «Il confine degli Stati Uniti, invece di essere in Texas, si è spostato a Panama», aveva detto, prima di promettere: «Chiuderemo il Darién Gap e rimpatrieremo tutte queste persone». Ma non ha spiegato come, con quali forze, con quali strumenti, e soprattutto con quali conseguenze. Critico il commento di Juan Pappier, vicedirettore per le Americhe di Human Rights Watch: «Chiudere il Darién Gap è praticamente impossibile. Ma limitare il flusso dei migranti spingerebbe le persone a prendere strade ancora più pericolose, a rischio ulteriore della propria vita. I gruppi della criminalità organizzata diventerebbero ancora più ricchi e Panama avrebbe ancor meno il controllo della situazione». Per ora Mulino si gode la vittoria e ribadisce la sua intenzione di puntare forte sulla “rinascita economica” di Panama puntando a favorire gli investimenti dei privati (che genererebbero nuovi posti di lavoro), ma senza dimenticare «coloro che sono affamati e hanno bisogno di acqua potabile in tutto il paese». Intanto, appena saputo della sua elezione, è corso all’ambasciata del Nicaragua, con fotografi al seguito, per abbracciare il suo mentore: «Ricardo Martinelli: amico mio, missione compiuta. Quando mi avete invitato a fare il vicepresidente non immaginavo questo scenario, ma era il mio turno, e l’ho affrontato con enorme responsabilità e umiltà. Ma nonostante tutto quello che mi hanno fatto durante la campagna elettorale, non prenderò una goccia di vendetta contro nessuno». Tutto sta a capire chi sarà davvero il prossimo presidente, se il “regista” Martinelli non continuerà segretamente a “muovere i fili” dalla sua latitanza, magari in attesa di trovare una scappatoia, o un secondo grado di giudizio, che gli restituisca la libertà. José Raúl Mulino ha perfino sentito il bisogno di ribadirlo esplicitamente: «Non sono il burattino di nessuno».

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