Musei come centri di ricerca e formazione, “policlinici dei beni culturali”. È questo il modello che propone Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, oggi all’università di Padova.
“Penso che l’aspetto più importante sia riconoscere che i musei e i luoghi della cultura sono essenzialmente luoghi di ricerca”. Quando gli chiediamo quali siano oggi le criticità nella gestione del patrimonio artistico e culturale italiano e quali invece gli strumenti per la valorizzazione, Greco non esita.
Si rifà innanzitutto all’articolo 9 della Costituzione che parla di patrimonio culturale e di ricerca tecnico-scientifica. I musei oggi, secondo il direttore, vengono visti come istituzioni distaccate dall’accademia alle quali non è riconosciuto il ruolo di enti di ricerca e formazione, e questo costituisce un problema. In realtà un museo non può esistere senza la ricerca e senza ricerca non può esservi tutela e valorizzazione.
I musei, come i parchi archeologici o le sovrintendenze, si prendono “cura” del patrimonio, ma non c’è cura senza conoscenza del patrimonio. “La ricerca consente di conoscere, la conoscenza permette di capire come si deve intervenire per salvaguardare il patrimonio e salvaguardarlo significa anche farlo conoscere”. Secondo Greco se si dà alla ricerca un ruolo centrale, il patrimonio culturale potrà essere visto in un’ottica diversa anche sul piano della sostenibilità economica. “La ricerca va finanziata primariamente da risorse pubbliche e private e spero che si possa fare un grande accordo in Italia per dare alla ricerca un ruolo centrale e tornare a curare il nostro patrimonio”.
Christian Greco parla di strumenti per la valorizzazione museale, nuove tecnologie e rapporti con il territorio. Riprese e montaggio di Elisa Speronello
La formazione e i rapporti con le università assumono un ruolo altrettanto di primo piano. “Anche in questo campo vorrei attuare una rivoluzione copernicana, portando le università all’interno dei musei. Spesso il direttore o i curatori vengono invitati a fare lezione in accademia. Io invece vorrei fare il contrario: vorrei che gli atenei entrassero al nostro interno”. Il modello a cui guarda il direttore è l’Ecole du Louvre, una scuola creata in seno al museo in cui professori universitari e curatori formano le future generazioni che andranno a occuparsi dei musei. “Noi siamo pronti ad accogliere le università e a divenire centri di formazione: mi piacerebbe che diventassimo dei policlinici dei beni culturali”. Un po’ come avviene negli ospedali universitari in cui oltre alle prestazioni cliniche vengono svolte attività di ricerca e di formazione.
“Anche il rapporto con il territorio è importantissimo – continua Greco – e nel caso del museo egizio è duplice. Esiste innanzitutto una relazione molto forte con l’Egitto: siamo un museo archeologico e senza l’Egitto non potremmo vivere. Per questo siamo tornati a scavare, e ogni anno tornare allo scavo significa per noi documentare e capire i nostri oggetti e cercare di riportare in museo anche il paesaggio, dato che il museo separa l’oggetto dal proprio ambiente di appartenenza”. Quello a cui si riferisce è lo scavo italo-olandese (Università di Leiden e Rijksmuseum van Oudheden di Leiden) nella necropoli del Nuovo Regno di Saqqara, che Greco sta coordinando con l’egittologa Lara Weiss.
Il museo, infine, non è un luogo neutro ma possiede un proprio pubblico, si inserisce in contesto cittadino, provinciale, nazionale e internazionale che va curato, perché il museo oltre che centro di ricerca deve diventare sempre più inclusivo e compartecipativo.